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 2006  aprile 12 Mercoledì calendario

LO PICCOLO Salvatore Palermo 20 luglio 1942. Mafioso. Arrestato insieme al figlio Sandro il 5 novembre 2007 a Montelepre (Palermo) • «[

LO PICCOLO Salvatore Palermo 20 luglio 1942. Mafioso. Arrestato insieme al figlio Sandro il 5 novembre 2007 a Montelepre (Palermo) • «[...] Sembrerà un paradosso, ma [...] sbirri e magistrati avevano fatto il suo gioco. Avevano arrestato Bernardo Provenzano [...] aprendo la partita della successione al vertice di Cosa Nostra, e due mesi dopo gli hanno liberato il campo dagli avanzi corleonesi. La cattura del ”triumvirato” che governava Palermo – Nino Rotolo, Antonino Cinà e Francesco Bonura, i quali ancora considerano Totò Riina come una stella polare – con annessi ”rappresentanti”, aveva spianato la strada al trono mafioso per Salvatore Lo Piccolo [...] l’autista diventato boss, cresciuto alla scuola palermitana dei ”perdenti”, passato coi vincenti e poi schieratosi al fianco dell’ultimo padrino, Provenzano, pronto a mettersi contro i vecchi alleati, nuovamente avversari. Tolti di mezzo nel giugno 2006 dagli arresti della polizia, invece che col piombo. Tanto di guadagnato per il nuovo capomafia [...] Nel cifrario in cui Provenzano aveva catalogato i mafiosi lui era il numero 30, suo figlio Sandro il 31, Cinà il 164, Rotolo il 25. [...]» (Giovanni Bianconi, ”Corriere della Sera” 6/11/2007) • «[...] latitante dal 1983. Quasi un fantasma, come Provenzano. Anche lui durante questi tempi segnati da pesanti perdite per l’organizzazione mafiosa, sarebbe stato molto vicino a Bernardo Provenzano nella gestione degli affari illeciti, soprattutto gli appalti pubblici e le estorsioni. Il figlio Sandro, a soli trent’anni, si è ritagliato uno spazio di riguardo nel gotha della mafia beccandosi un ergastolo per due omicidi e una serie di condanne per estorsione. Giovane e scapestrato, è latitante da cinque anni. noto per il suo spessore criminale e le quaranta sigarette al giorno fumate, prima della fuga, in una tabaccheria di Sferracavallo trasformata in quartiere generale. [...]» (Enzo Mignosi, ”Corriere della Sera” 12/4/2006). «Il padrino più potente di Palermo [...] il capo indiscusso del mandamento cittadino di Tommaso Natale [...] Il nome non dice nulla, ma il voluto anonimato del buon ”Totuccio” Lo Piccolo nasconde il cuore e la furbizia del vero capo. Il borsino di Cosa nostra lo colloca in cima alla scala, sullo stesso gradino di Matteo Messina Denaro. ”Totuccio” ha navigato a vista flirtando con successo coi corleonesi di Totò Riina, senza mai esporsi del tutto. Già condannato all’ergastolo, ha eliminato parecchia gente e ha fatto ricchi traffici con la cocaina e con gli appalti pubblici. in contatto con i ”cugini” d’America, con i quali ha avviato affari intercontinentali, ed ha messo le mani sul fiorente mercato del pizzo alle imprese del mandamento mafioso di San Lorenzo, che costituisce una delle articolazioni più vaste dell’organizzazione mafiosa. Il territorio dei Lo Piccolo comprende non solo la parte nord-occidentale della zona metropolitana di Palermo, ma anche le famiglie dei comuni di Capaci, Isola delle Femmine, Carini, Villagrazia di Carini, Sferracavallo e Partanna-Mondello. Dopo la cattura del capomafia trapanese Vincenzo Virga, Lo Piccolo ha esteso la sua influenza anche ad alcune zone della provincia di Trapani. Sandro e Salvatore Lo Piccolo restano però i ”padroni” dello Zen, una vasta zona a residenza popolare alla periferia della città, inesauribile serbatoio di manodopera e formidabile nascondiglio per ogni genere di necessità, nel cuore del mandamento mafioso di cui padree e figlio sono al vertice. E allo Zen finiscono i bottini dei mille traffici della zona Nord della città. Lì si ricoverano armi e auto per gli assalti e i raid. E con la droga si alimenta il bilancio degli stipendi dei galoppini. Da quando i Lo Piccolo hanno messo sotto il loro tallone anche lo Zen è stato di aiuto mettersi al riparo dell’ala protettrice di Bernardo Provenzano con il quale avevano costanti rapporti personali ed epistolari. Col tempo e con una regia accorta di alleanze hanno consegnato al vecchio padrino corleonese mezza città. Gli hanno offerto un braccio armato di cui era sprovvisto, intento a costruire relazioni verso l’alto. Ne hanno ricevuto in cambio un via libera incondizionato di Provenzano. Sul finire degli anni Novanta ”Totuccio” Lo Piccolo si è anche smarcato dal ruolo angusto di alleato territoriale più vicino al feudo di Vito Vitale da Partinico, paese a trenta chiometri da Palermo, un boss che si era alleato con Brusca. Sotterranea, la frattura ha prodotto un paio di cadaveri. La storia del clan è storia relativamente recente che punta al controllo degli appalti, a partire dalla realizzazione degli svincoli autostradali, estorsioni e guardianie. Ma anche l’esazione sistematica di una quota sociale per le utenze elettriche: 15 euro per non avere problemi e tenere le lampadine accese nei cubi di cemento con i muri in cartongesso dello Zen2. Con l’incoronazione che li ha fatti padrini, i Lo Piccolo hanno avviato una campagna di reclutamento, annettendosi anche un pezzo della vecchia mafia di San Lorenzo e Tommaso Natale: due mandamenti che sono da sempre un termometro sensibile di ciò che accade all’interno dell’organizzazione. La tregua è rotta di rado. E l’atmosfera che i boss impongono è quella di una calma piatta che tiene lontani guai e curiosità. Così come ha insegnato loro Bernardo Provenzano. Mezza imprenditoria che ha messo radici da quelle parti è stata coinvolta in indagini antimafia: per collusioni e intimidazioni. Così anche l’elenco dei fiancheggiatori dei Lo Piccolo, degli amici, degli indifferenti è lunghissimo. Con una costante ricorrente. Nei racconti dei pentiti, padre e figlio sono sempre da qualche parte dello Zen: visibili a tutti meno che ai segugi dell’antimafia. Visibili e mobilissimi.[...] Francesco Campanella, un piccolo politico di Villabate, racconta che in un bar Totucccio Lo Piccolo abbia incontrato Bernardo Provenzano. In un altro interrogatorio, sempre Campanella, conferma quel che già era noto: l’asse di ferro che lo lega a Matteo Messina Denaro, il principe del Trapanese. Un patto cementato ancora una volta durante un incontro ravvicinato. Una stretta di mano tra i due principi destinati, ciascuno a suo modo, a un futuro da re nell’era dei postcorleonesi adesso che il vecchio padrino è finito in cella dopo 43 anni di latitanza» (Lirio Abbate, ”La Stampa” 13/4/2006).