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 2006  aprile 11 Martedì calendario

DE BENEDETTI Paolo Asti 1927. Biblista • «[...] famiglia borghese, [...] il padre [

DE BENEDETTI Paolo Asti 1927. Biblista • «[...] famiglia borghese, [...] il padre [...] era ebreo e permise che a dieci anni fosse battezzato - nella cappella del vescovo, che gli regalò un libriccino - a patto che l’educazione religiosa gliela impartisse sua madre. [...] bambino leggeva i libri dei bambini tra cui la Bibbia Salani del padre Gallina che in fondo a ogni pagina riportava un versetto biblico; ma ne aveva anche un’altra, meravigliosa, dalle cui illustrazioni traeva spunto per i teatrini che disegnava con Maria, la sorella. I classici, ma anche Wodehouse, li leggeva a voce alta la mamma. Il liceo lo ha fatto a Asti, il primo anno di filosofia alla Cattolica - tra i compagni di corso ricorda Emilio Tadini - poi è passato a Torino. [...] Per la Bibbia e il giudaismo, De Benedetti è autodidatta. L’ebraico, un po’ di babilonese, il siriaco, l’aramaico, altre lingue orientali le ha imparate negli anni dell’università dal presidente del Tribunale di Asti. Ad Asti viveva un’altra persona meravigliosa, Sara Treves, che aveva studiato con Arturo Graf ed era stata insegnante di lettere del padre di Paolo. Tutte le settimane passava a Paolo i foglietti che le arrivavano dall’Unione delle comunità israelitiche, scritti da Dante Lattes: sulle letture ebraiche settimanali, la Torà, Pirqe Avòt, i Salmi. De Benedetti li ha conservati e rilegati. In Dante Lattes PDB riconosce il suo maestro di giudaismo anche se non lo ha mai incontrato: solo gli scrisse un giorno per chiedergli di pubblicare da Bompiani la traduzione che aveva fatta con la figlia de Il torto diventerà diritto di Agnon. [...] PDB si è formato da solo ma non è mai stato un solitario, né ha mai nascosto la propria peculiarità ai compagni di studio e di lavoro. Tanti di loro sono scomparsi, ma quanti restano gli rimproverano unicamente di non avere più tempo per loro. Umberto Eco, che lavorò con lui da Bompiani, ha prestato il suo modo di parlare a un personaggio de Il pendolo di Foucault. Valentino Bompiani lo definiva ”il più eretico dei cristiani e il più ortodosso degli ebrei”. Nella sua autobiografia, Via privata (Mondadori 1973), ha ricordato l´ingresso di PDB nell’editoria: ”Celestino Capasso aveva tirato dentro il Dizionario delle opere e dei personaggi un altro amico: Paolo De Benedetti. ’ un santo”, mi spiegava [...]. Non capivo che rapporto potesse avere la santità con la filologia. L’ho capito più tardi, nella partecipazione e nel distacco, nella ricerca della parola unica, o verbo, e nella visione della cultura come un accidente di carattere universale. De Benedetti o P.D.B., come lo abbiamo sempre chiamato, è un cristiano con albero genealogico ebraico che ha rapporti fraterni col Cristianesimo e filiali col Giudaismo. Dopo la morte di Capasso, prese lui il Dizionario che ha portato a conclusione [...]”. Le case editrici naturalmente gli affidavano quanto attineva alle scienze bibliche. Quando fu in bozze la traduzione della Bibbia CEI, che i vescovi avevano basato su una traduzione pubblicata dalla Utet, PDB fu spedito a Roma. La mattina passava dal Biblico e con la sua scassatissima Seicento il padre Martini lo conduceva agli uffici CEI dove confrontavano le due versioni in vista dei diritti d´autore. Il ricordo di questo episodio mette PDB di straordinario buon umore. Durante tutta la brillante carriera editoriale, Paolo si tenne sempre un giorno libero. Per dieci anni fu assistente volontario di Giovanni Rinaldi, il somasco che teneva il corso di perfezionamento in lingue orientali alla Cattolica. Negli anni ’70 Pino Colombo lo chiamò a insegnare giudaismo alla Teologica di Milano e Italo Mancini lo volle all’Istituto di scienze religiose di Urbino. Quindi fu chiamato a Trento. PDB non ha mai fatto un concorso accademico, il suo ultimo esame è stato quello di guida. Solo quando il cattivo carattere del dottor Garzanti lo ha indotto alla pensione, De Benedetti si è dedicato a tempo pieno al suo itinerante magistero, a riempire i vuoti, a porre al centro la marginalità» (Silvia Giacomoni, ”la Repubblica” 11/4/2006).