Corriere della Sera 25/03/2006, pag.23 Eva Cantarella, 25 marzo 2006
Terme, sauna e gladiatori Roma capitale dei piaceri. Corriere della Sera 25 marzo 2006. Ad Alessandro Magno, che gli chiedeva di esprimere un desiderio, Diogene di Sinope rispose: «Spostati, la tua ombra mi impedisce di prendere il sole»
Terme, sauna e gladiatori Roma capitale dei piaceri. Corriere della Sera 25 marzo 2006. Ad Alessandro Magno, che gli chiedeva di esprimere un desiderio, Diogene di Sinope rispose: «Spostati, la tua ombra mi impedisce di prendere il sole». Secondo i precetti della scuola cinica, Diogene disprezzava ricchezza, onori e lusso; non aveva una casa, possedeva solo un vestito, una bisaccia e aspirava a una totale autosufficienza. Ma chi autosufficiente non era (la grande maggioranza delle persone), aveva esigenze diverse. La vita di relazione determina nuovi bisogni, il progresso economico porta a desiderare soddisfazioni materiali e sociali sempre maggiori. Ne sappiamo qualcosa noi, oggi, nel nostro mondo consumistico. E ne sapevano qualcosa già i greci e i romani. Ma in che modo, in quale misura? Quali erano, per loro, i contenuti dello stato fisico e mentale che definiamo benessere? Pensiamo all’ ateniese medio. Parlando di benessere, non parliamo degli schiavi che lavoravano nelle miniere del Laurion. Per questi, il problema non era il benessere, ma la sopravvivenza. Parliamo del cittadino che godeva dei pieni diritti e partecipava attivamente alla vita politica; quello che possedeva una casa, una famiglia e beni materiali sufficienti. In casa, questo cittadino passava ben poco tempo. Al lavoro pensavano altri, schiavi e dipendenti. A lui restava il tempo per la palestra, la piazza (agorà) e il banchetto. In piazza intrecciava i rapporti sociali, economici e politici: la stima sociale e la visibilità pubblica erano parte importante del suo benessere. Ma anche il corpo voleva la sua parte: per essere kalos kai agathos (bello e nobile), come l’ etica sociale richiedeva, il greco passava molte ore in palestra, esercitando il corpo, facendolo massaggiare, tenendolo in forma. La palestra era fatica, ma anche piacere, aumentato (e non poco) dalla possibilità di ammirarvi i paides, i bei ragazzi che come è ben noto i greci usavano corteggiare. E a sera, lontano dalla moglie (cui non era consentito accompagnarlo), in compagna di qualche dama dai costumi più rilassati, ecco l’ ateniese pronto per partecipare al simposio, momento di incontro conviviale diverso e ben più importante di un normale banchetto. La prima parte era dedicata al cibo: un vero e proprio pasto. Delle cucina greca sappiamo (poco) da alcuni frammenti di Archestrato tramandati da Ateneo: si mangiavano legumi, formaggio, pesci, crostacei, carni (arrosto o in umido), soprattutto cacciagione, volatili e lepri. Dopo il pasto le mense venivano tolte, il pavimento pulito, e iniziavano le libagioni, accompagnate da interminabili discussioni filosofiche: cos’ è il bello, cos’ è il giusto? La convivialità e il piacere del dibattito intellettuale erano importanti per il benessere dei greci. Diverso, diversissimo, il discorso sul benessere femminile: secondo Pericle la gloria delle donne consisteva nel fatto che si parlasse pochissimo di loro, in lode o in biasimo. Se esse condividevano questo ideale, dovremmo concludere che raggiungevano il benessere con poco: bastava fossero invisibili. Ma con tutto il rispetto per Pericle sembra veramente difficile che così fosse: e qui dobbiamo fermarci, perché il discorso richiederebbe un lungo viaggio fra fonti di difficile valutazione. Meglio passare ai romani, un esempio chiarissimo della relazione tra la crescita di una comunità e il moltiplicarsi dei bisogni la cui soddisfazione contribuisce al benessere dei suoi componenti. Al cittadino della prima Roma bastavano i prodotti dell’ heredium, il piccolo appezzamento di terra che secondo la leggenda Romolo aveva assegnato a ogni paterfamilias, e che ciascuno di questi coltivava con l’ aiuto dei figli. Ma l’ abitante della città diventata la capitale di un impero mondiale non si accontentava più di pane, formaggio di capra e insalata: ormai voleva cibi raffinati, ostriche, datteri di maree, aragoste, caviale che arrivava a carissimo prezzo dal Mar Nero. Per vestirsi non gli piaceva più la lana tessuta dalla moglie e le donne di casa (che pure continuava a lodare). Erano di moda, per donne e uomini, vesti raffinate, preziose, ricamate. Molto apprezzata la seta, gia nota ai greci. Racconta Plinio il vecchio che Panfila, figlia di Apollo, inventò un tessuto «leggero come il vento» che si chiamava bombicina dal nome dell’ animale, bombyx, da cui si ricavava il filo con cui la stoffa era tessuta. Ad accrescere il benessere fisico del romano contribuivano poi, e sensibilmente, le terme (peraltro frequentate anche dalle signore): piscine calde (calidarium) e fredde (frigidarium), il tepidarium per il bagno tiepido, la sala calda e asciutta detta laconicum (una sauna ante litteram, per intenderci). Come è noto i romani passavano, si può dire quotidianamente, lunghe ore in questi locali, alternando i bagni ai massaggi, ai giochi e agli incontri: alle terme si discutevano e si intrecciavano alleanze politiche, si concludevano rapporti di affari... nel massimo agio. E per finire il circo: i ludi gladiatorii, gli spettacoli con le fiere importate dall’ Africa, a volte qualche esecuzione capitale. Per i romani anche questo era divertimento. Ma c’ era chi rimpiangeva i tempi antichi, la frugalità di una volta: l’ aria di campagna è più salubre di quella della città, dicevano Catone e Varrone. All’ età di Augusto (effetto, certamente, anche della continua esaltazione delle antiche, austere virtù che avevano fatto grande Roma e la cui perdita veniva additata come causa di ogni male) l’ elogio della vita di campagna diventa un leitmotiv: «Felice colui che lontano dagli affari, come la antica progenie dei mortali, lavora i campi paterni con i buoi, libero da ogni guadagno», scrive Orazio; «Mi basta un campicello, mi basta riposare in un letto, stendere le membra sul solito giaciglio», dichiara Tibullo; «Beato che conosce gli dèi dei campi, Pan, il vecchio Silvano e le sorelle ninfe. Non lo corrompono i fasci del popolo, la porpora dei re e la discordia, che agita i fratelli rendendoli infidi, non si vergogna di aver compassione del povero e non invidia il ricco. Coglie i frutti che i rami spontaneamente producono, non conosce il diritto inflessibile, il foro insano, gli archivi del popolo», sentenzia Virgilio. Elogi di stile, forse; elogi di moda, certamente... ma per molti anche un reale desiderio. E per finire vi era chi si preoccupava del benessere intellettuale e morale: Seneca e Cicerone, ad esempio. Alcuni, seguendo gli insegnamenti di Epicuro, spiegavano che per perseguire il piacere bisognava liberarsi da ogni paura della morte, del dolore, degli dei. Ma questo al livello delle élites. La maggior parte dei romani aveva una visione meno intellettuale della vita. Un’ iscrizione molto significativa trovata a Roma (CIL 6.15258), e probabilmente rappresentativa di una diffusa opinione popolare recita, testualmente: «Terme, vino e sesso rovinano i nostri corpi; ma cosa rende la vita degna di essere vissuta se non terme, vino e sesso?». Eva Cantarella