Corriere della Sera 29/03/2006, pag.39 Sergio Luzzatto, 29 marzo 2006
Quando il popolo scopre che il Potere è nudo. Corriere della Sera 29 marzo 2006. «Noi vogliamo un re
Quando il popolo scopre che il Potere è nudo. Corriere della Sera 29 marzo 2006. «Noi vogliamo un re. Ma dobbiamo tenerci un imbecille, una marionetta, un traditore, uno spergiuro; un uomo che ormai la gente detesta e in nome del quale regnerà la malafede». Dixit un prete, Thomas Lindet, nel luglio del 1791, dopo che il re di Francia Luigi XVI aveva cercato di scappare da Parigi per sottrarsi alla Rivoluzione. Dopo che il fuggiasco era stato rocambolescamente acciuffato nel villaggio di Varennes, a due passi dalla frontiera dei Paesi Bassi austriaci, ed era stato ricondotto nella capitale sotto scorta armata. E dopo che i deputati dell’Assemblea nazionale, pur sentendosi traditi dal tentativo di fuga del sovrano, avevano deciso di mantenere Luigi XVI sul trono: re disprezzato e dimezzato, ma pur sempre re. Non è facile per un popolo liberarsi di chi è al potere. Non è facile neppure in democrazia, quantunque il suffragio universale rappresenti il più semplice e il più garantito degli strumenti di revoca del mandato popolare: perché il potere è carismatico anche quando ha perso ogni carisma, e perché prima ancora di essere controllo sull’informazione o reciprocità di favori il potere è fascino del déjà vu, logora chi non ce l’ha. Meno che mai era facile liberarsi di un re nell’età delle monarchie assolute. «Quando si scorre l’elenco degli imbecilli e inetti che hanno occupato il trono, si è tentati di non salvarne nessuno», poteva ben scrivere il curato Lindet. Che però era il primo a sapere con quante esitazioni, quanto a malincuore, i francesi andavano disamorandosi del loro re. Pubblicato dal Mulino, lo splendido libro di uno studioso americano, Timothy Tackett, racconta proprio questo: la fine della storia d’amore fra un popolo e un re. Per raccontarla, giustamente l’autore non avverte il bisogno di trattare dell’ultimo show-down, quello parigino del gennaio 1793: la ghigliottina sulla Place de la Révolution, la folla avida di sangue, l’esecuzione di Luigi XVI per mano del boia. Storico di razza, Tackett sa che in ogni storia d’amore finita male non è decisivo il momento della vendetta, ma il momento del disincanto: quando un amante si accorge che l’altro è diverso da come l’ha pensato, l’ha voluto, l’ha immaginato. In politica, decisivo è il momento in cui un popolo si accorge che il re è nudo. La storia d’amore non era ancora finita la notte del 21 giugno 1791, quando Luigi XVI, sua moglie Maria Antonietta e i loro due bambini, con un paio di guardie del corpo e di dame di compagnia, si infilarono in due carrozze per scappare di nascosto dalla reggia delle Tuileries e puntare in incognito verso la frontiera. Travestito da lacchè, il re non era nudo. E il popolo di Francia continuava a fidarsi di lui, nonostante la diffidenza con cui fin dal 1789 Luigi XVI aveva guardato agli eventi e agli uomini della Rivoluzione. I francesi diffidavano bensì della regina, Maria Antonietta l’Austriaca: molti la odiavano, accusandola di essere corrotta, immorale, ninfomane... Ma finché il re non era scappato nottetempo, dopo avere travestito se stesso e i suoi bambini, i francesi avevano creduto nell’antico mito del re buono traviato dai cattivi consiglieri. A Varennes, quel mito si scontrò con la realtà di un oscuro patriota, un giovane mastro di posta, Jean-Bapstiste Drouet, che volle saperne di più su quel convoglio diretto oltre frontiera. Già da giorni circolava la voce che il re di Francia meditasse di squagliarsela, e inquietanti movimenti di truppe mercenarie erano stati registrati nella zona. Allora, Drouet non si accontentò di mettere a disposizione dei viaggiatori due tiri di cavalli freschi. L’intraprendente mastro di posta volle guardar dentro le due diligenze, scrutandone i passeggeri a uno ad uno. E l’incosciente sovrano di Francia non fece nulla (o quasi) per nascondere la propria identità. Aduso alla devozione del popolo, Luigi XVI non aveva capito che l’incantesimo amoroso era finito. Così, come in una qualunque pièce del teatro settecentesco, ebbe luogo l’agnizione. Nel viaggiatore travestito da lacchè Drouet riconobbe i lineamenti del sovrano, che gli erano noti attraverso la sua effigie sulle monete. Arrestare il convoglio fece tutt’uno con l’arrestare il re. Poi, i patrioti di Varennes si riunirono a consiglio. Un’improvvisata giuria composta da un magistrato, un droghiere e un conciatore ordinò di rispedire la famiglia reale a Parigi. Un picchetto armato fu allestito alla bisogna. E nei quattro giorni successivi, in un viaggio di ritorno tanto emozionante per i patrioti quanto umiliante per il sovrano, decine di migliaia di uomini, donne, bambini si unirono al corteo che lentamente procedeva verso le Tuileries: un popolo di sudditi che la nudità del re aveva trasformato in un popolo di cittadini. «Imbecille», «idiota», «stupido», «codardo», «mostro», «patetica ombra di re»: pubblicando articoli sui giornali o scrivendo agli elettori di provincia, i deputati dell’Assemblea costituente non andarono per il sottile nell’esprimere davvero quel che pensavano di Luigi XVI al suo ritorno da Varennes. Se lo conservarono sul trono a dispetto del discredito nel quale era caduto, fu soltanto perché molti di loro temevano che la Rivoluzione potesse altrimenti divenire qualcosa di incontrollabile. Neppure per una classe politica è facile liberarsi di un re, soprattutto quando si temono (a torto o a ragione) le conseguenze di un trasferimento della sovranità. Inquietanti, in effetti, furono le ricadute del ritorno di Luigi XVI a Parigi, re nudo e virtualmente prigioniero. Sul Campo di Marte, una manifestazione di protesta contro la decisione di mantenerlo sul trono si risolse, per ordine dei moderati, in un massacro degli innocenti. Ma nella Francia di provincia, il timore che la Rivoluzione potesse fallire, e che l’antico regime potesse rinascere dalle proprie ceneri, diede spazio a una spinta radicale. I patrioti intrapresero una caccia all’uomo contro chiunque fosse sospetto di ostilità alla Rivoluzione, in particolare nobili e preti. Così, raccontando la storia di Un re in fuga, Timothy Tackett finisce per fare storia delle origini del Terrore. In un film del 1982 altrettanto riuscito di questo libro, Ettore Scola diede la sua versione della fuga di Luigi XVI dalla Francia in rivoluzione. Il regista immaginò radunati in un’unica diligenza sei o sette personaggi lo scrittore Restif de la Bretonne, una misteriosa aristocratica francese, un giovane giacobino, il rivoluzionario americano Thomas Paine, una cantante lirica italiana, il libertino Giacomo Casanova che il road-movie conduceva infine al villaggio di Varennes: nel cuor della notte del 21 giugno 1791, giusto in tempo per constatare che la voce in giro era esatta. Luigi XVI aveva cercato di fuggire, ma era stato riconosciuto, fermato, e ignominiosamente spedito a casa. Ormai, ciascuno dei personaggi era chiamato a fare i conti con la fine di un grande amore, e a trovarsi un posto nel mondo nuovo. Un mondo finalmente senza il re. Né travestito, né nudo. Sergio Luzzatto