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 2006  marzo 31 Venerdì calendario

Mr Ikea l’uomo che battezza i comodini. La Stampa 31 marzo 2006. Berlino. A cinque anni andava in bicicletta da Agunnaryd a Malmoe, comprava i fiammiferi a pacchi e li rivendeva ai vicini a decine

Mr Ikea l’uomo che battezza i comodini. La Stampa 31 marzo 2006. Berlino. A cinque anni andava in bicicletta da Agunnaryd a Malmoe, comprava i fiammiferi a pacchi e li rivendeva ai vicini a decine. A nove andava a pescare e recapitava i salmoni a domicilio. A 17 creava una società di vendita per corrispondenza: biro, portafogli e semi di verdure consegnati dal lattaio. A 27 il suo primo mobilificio. Oggi Mr. Ikea è il quarto uomo più ricco del mondo. Ieri ha compiuto 80 anni ed è ancora pieno di progetti: «C’è troppo da fare perché abbia tempo per morire». Infatti non si ritira e tiene sulla corda i tre figli. Tutti in azienda, ma a sovranità limitata. Anni fa dicevano che li avrebbe diseredati, perché avessero il gusto di creare qualcosa di loro. Ora ha annunciato che lascerà l’intero patrimonio a quello che avrà meglio gestito Habitat, la catena di mobili di alta gamma nata nel 1992. Ingvar Kamprad ha la nazionalità svedese ma la testa tedesca, eredità dei nonni. E’ laborioso, disciplinato, modesto. Ed è pure un originale. Uno di quelli che in Germania chiamano «Querdenker», un pensatore laterale. Uno che fa il contrario degli altri. Ha un motto: in ogni problema c’è un’opportunità. Adesso si lamenta che di problemi ne ha troppo pochi. Voleva fare soldi: suo nonno - un contadino emigrato in Svezia a fine ’800 dai Sudeti - si era ucciso perché non riusciva a ripagare il prestito con cui aveva comprato la fattoria. Lui ha un patrimonio valutato 15 miliardi e sistemato in modo molto opaco tra l’Olanda e il Lussemburgo. Possiede di tutto, compresi vigneti in Francia e una linea ferroviaria per le merci Svezia-Germania. Vive in Svizzera, sul lago di Losanna. Per le tasse? «Diciamo non per amore delle montagne», ha risposto un collaboratore a un giornalista ficcanaso. La sua avarizia è leggendaria. Come la sua - discretissima - filantropia. Va in ufficio in metropolitana, fa la spesa quando il mercato sotto casa smonta, viaggia in classe economica, non butta via un foglio se non è stato usato da entrambi i lati, si fa tagliare i capelli dalla moglie e, quando dal bar della camera d’albergo prende una bevanda, la rimpiazza con una comprata al supermercato. E’ un imperativo morale: «Se pratico il lusso, non posso predicare il risparmio. E’ una questione di buona leadership». Il padre di Kamprad era guardaboschi e questo spiega l’interesse del figlio per il legname e i suoi derivati. Comincia con una sedia, una poltrona e un tavolino basso, che fa costruire in una falegnameria vicino a casa e mette in vendita a un prezzo del 30% più basso del mercato. Ben presto si allarga: nel 1953 compra delle baracche abbandonate, cambia le finestre e apre il primo punto-vendita, dove si può toccare e provare. I clienti vengono accolti con un caffè e un panino. «Nessuno compra mobili se ha la pancia vuota», scriverà nella sua autobiografia - «La storia dell’Ikea» - uscita nel 1998. Il marchio è sempre quello della vecchia società, un acronimo: I come il suo nome, K come il suo cognome, E come Elmtaryd la fattoria, A come come Agunnaryd il villaggio. Chiede ai designer di progettare componenti e non pezzi interi: occupano meno spazio, riducono le spese di trasporto e magazzino. Ricicla gli scarti di una lavorazione in nuovi prodotti. E chiede ai clienti di montare i mobili da sé: «Tu fai la tua parte, noi facciamo la nostra e insieme risparmiamo». Battezza ogni pezzo: nomi femminili per le camere da letto, maschili per le cucine. I concorrenti sono colti di sorpresa dal nuovo marketing e dal suo successo. E si alleano per tenere Kamprad fuori dalle fiere del mobile. Ricattano i fornitori: se lavorate per lui, avete chiuso con noi. Lui risponde facendosi consegnare la merce di notte. Ma quando ha un ordine di 40 mila sedie e nessuno che gliele fabbrica in tempo, si guarda intorno e le fa costruire in Polonia. A Varsavia scopre, oltre alle gioie della delocalizzazione, anche quelle della vodka. E’ il suo peccato, pienamente confessato: «Amo l’alcol. Faccio pause da astemio per evitare problemi, ma poi ricomincio». L’altro peccato sono i trascorsi nazisti. La nonna, che amava Hitler perché aveva annesso i Sudeti alla Germania, lo infetta con l’entusiasmo per il Fuehrer e lo manda alle riunioni filonaziste. La vicenda viene a galla nel 1994 e sarebbe un disastro d’immagine, se Kamprad non avesse l’abitudine delle lettere di scuse ai dipendenti: per un obiettivo mancato, una decisione sbagliata, un prodotto malriuscito. Anche questa volta parte una lettera: «E’ stato il più grande errore della mia vita. Lo rimpiango amaramente. Perdonatemi». L’espansione continua. Oggi il catalogo Ikea - 160 milioni di copie in 24 lingue diverse - è il testo più letto al mondo dopo la Bibbia. Marina Verna