Attilio Geroni Il Sole-24 Ore, 02/01/2002, 2 gennaio 2002
Nei Paesi dell’Est c’è la fila per cambiare i marchi in dollari, Il Sole-24 Ore, mercoledì 2 gennaio 2002 Perfino il presidente della Banca centrale europea, Wim Duisemberg, lo aveva ammesso nel luglio scorso: uno dei motivi che potevano aver contribuito all’indebolimento dell’euro erano le massicce vendite di marchi contro dollari dei cittadini residenti in Europa dell’Est e in Russia
Nei Paesi dell’Est c’è la fila per cambiare i marchi in dollari, Il Sole-24 Ore, mercoledì 2 gennaio 2002 Perfino il presidente della Banca centrale europea, Wim Duisemberg, lo aveva ammesso nel luglio scorso: uno dei motivi che potevano aver contribuito all’indebolimento dell’euro erano le massicce vendite di marchi contro dollari dei cittadini residenti in Europa dell’Est e in Russia. Duisemberg aveva inoltre segnalato un «drastico calo» della circolazione di banconote di grosso taglio - sempre marchi - che probabilmente erano il frutto di attività illegali e/o dell’economia sommersa. Il fenomeno è qualcosa in più di una semplice suggestione. Un economista autorevole, il presidente dell’Ifo di Monaco, Hans-Werner Sinn, l’ha studiato a fondo nei mesi scorsi sostenendo una stretta correlazione tra la debolezza della moneta unica e le vendite di marchi avvenute al di fuori dell’Unione monetaria e dell’Unione europea. Così come all’inizio degli anni 90, con l’apertura dei mercati dell’Est, la domanda di marchi da quest’area aveva generato una forte pressione al rialzo per la valuta tedesca, allo stesso modo il fenomeno inverso ha indebolito, sia pur indirettamente attraverso l’aumento della richiesta di dollari, la moneta unica europea. Il problema nasce dal fatto che una parte consistente dei marchi, almeno un terzo, circola al di fuori della Germania, soprattutto in Russia, Polonia e Turchia. Con la caduta del muro di Berlino, la fine del comunismo e la disgregazione dell’Unione Sovietica, la valuta tedesca è subito diventata una valuta di riferimento per le economie di questi Paesi, un antidoto all’inflazione che divorava i risparmi in rubli, zloty o corone ceche. Lo stesso discorso vale per la lira turca, alla quale i milioni di Gastarbeiter hanno subito preferito il marco. Infine, la Germania è il partner commerciale più importante di questi Paesi. Il changeover è quindi un problema concreto anche per loro, un meccanismo complicato e un passaggio storico del quale molti - a Kiev, Pristina, Belgrado o Bucarest - sanno ancora molto poco. Nell’incertezza, dunque, come sostiene lo stesso Sinn, «in tanti hanno preferito convertire i propri risparmi in una valuta tangibile, il dollaro». Il resto lo ha fatto, e lo sta ancora facendo, la criminalità organizzata dell’Est. La mafia russa e quella ucraina, segnalano i servizi segreti, hanno già riciclato in valuta americana ingenti quantitativi di marchi con l’obiettivo di non creare flussi finanziari sospetti durante il passaggio all’euro. Le ultime stime della Bundesbank sui marchi in circolazione al di fuori dell’Unione europea risalgono al 1995. La ricerca di Sinn attualizza questa cifra a circa 46 miliardi di euro. Calcoli dell’Ifo e stime della Banca nazionale austriaca - che per anni ha monitorato l’offerta di D-mark in Croazia, Slovenia, Ungheria, Repubblica Slovacca e Repubblica Ceca - quantificano in 33 miliardi lo stock presente in Europa dell’Est all’inizio del 2001. Secondo l’istituto tedesco e la banca centrale austriaca circa 13 miliardi di marchi sarebbero potenzialmente candidati alla conversione in dollari fino al febbraio 2002, quando il passaggio all’euro fisico sarà completato. In ciascun Paese, però, si intrecciano dinamiche diverse: «In Polonia la conversione delle valute nazionali europee è stata accelerata dalla decisione del Governo di tassare alla fonte i rendimenti dei conti bancari. Questa imposta non viene comunque applicata a strumenti d’investimento a lungo termine denominati in zloty. In molti hanno quindi cambiato a favore della moneta nazionale», spiega Konrad Szelag, direttore del Dipartimento di integrazione europea della Banca nazionale polacca. Secondo le ultime rilevazioni, in Polonia il 6-7 per cento dei cittadini ha risparmi in una delle dodici valute nazionali dell’Uem contro il 10-12 per cento di tre mesi fa. Le autorità monetarie hanno lanciato la campagna d’informazione in maggio intensificando il messaggio a partire dalla seconda metà di dicembre. Da gennaio, invece, si pagheranno commissioni che per le banconote saranno del 2 per cento e per le monete del 50 per cento. Quanto alla consapevolezza del changeover e al fatto che l’euro, presto o tardi, diventerà moneta nazionale, anche per i Paesi attualmente candidati alla Ue, un recente sondaggio condotto da un istituto di ricerca belga per conto del ”Wall Street Journal” indica che soltanto un terzo dei polacchi vogliono convertire la propria valuta in euro, subito o in futuro. Qui lo scetticismo è più alto se paragonato all’Ungheria o alla Repubblica Ceca, dove rispettivamente il 69 e il 62 per cento dei cittadini sono favorevoli alla conversione. Se i flussi economici e commerciali hanno fatto del marco la moneta di riferimento, la valuta straniera più apprezzata in queste zone resta sempre il dollaro. Attilio Geroni