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 2002  gennaio 03 Giovedì calendario

Senza i poveri non c’è sviluppo, Corriere della Sera, giovedì 3 gennaio 2002 Sviluppo. Anch’io se fossi il più grave errore del mio tempo andrei a nascondermi dentro a questa parola

Senza i poveri non c’è sviluppo, Corriere della Sera, giovedì 3 gennaio 2002 Sviluppo. Anch’io se fossi il più grave errore del mio tempo andrei a nascondermi dentro a questa parola. Si tratta della parola meno discussa del mondo. La nostra civiltà e il nostro futuro sono praticamente impensabili senza, e dalle nostre lingue è scomparsa persino la tentazione di opporle un contrario praticabile: laddove nei vocabolari il contrario di sviluppo viene individuato in parole come arresto, stallo, stasi o regresso, tutti noi siamo stati educati, ormai, a concepire una sola alternativa a questa parola, ”sottosviluppo”, che alternativa non lo è affatto, e non fa che rinforzarne l’obbligatorietà. Che scelta avremmo mai, infatti, tra mangiare sempre di più e seguitare a mangiare secondo le nostre abitudini, se nel secondo caso si venisse considerati sottoalimentati? Ma non è vero che questa parola non abbia alternative; e non è vero nemmeno che non venga messa in discussione. La recente polemica innescata da Gianni Vattimo su ”l’Unità” parte proprio da una sua (sacrilega a quanto pare) messa in discussione del valore da attribuire al concetto di sviluppo; e in realtà questo concetto viene attaccato da molti anni, da numerose persone di valore che nella ricerca dell’errore in cui sta incappando il nostro tempo – perché un errore c’è, non si può negarlo -, non hanno omesso di andare a guardare dentro la parola senza alternative. Basti ricordare Aurelio Peccei e il suo Gruppo di Roma, che in pieno boom economico pubblicarono un testo per molti versi profetico, intitolato per l’appunto, I limiti dello sviluppo. Oppure, oggi, basterebbe ascoltare, tra le tante, la voce di Wolfgang Sachs, dell’Istituto Wuppertal, che da oltre dieci anni va dimostrando quanto lo sviluppo, così com’è inteso dalle economie occidentali, sia in realtà diventato una pericolosa, ingannevole allucinazione. L’idea di una crescita senza fine, e di un progressivo arricchimento delle condizioni di tutti i popoli della Terra, sono state introdotte ufficialmente nel mondo dal discorso d’insediamento del presidente Truman, il 20 gennaio 1949: fu lui, al comando della più formidabile potenza economica mai apparsa sul nostro pianeta, a parlare per la prima volta di sviluppo come gioco globale a somma sempre positiva – e in quel momento circa tre miliardi di abitanti della Terra diventarono di colpo sottosviluppati. Cinquantatré anni dopo la civiltà occidentale è ancora perfettamente allineata su quell’assunto, ma le condizioni oggettive in cui si trova il nostro pianeta ne hanno già da tempo segnalato il fallimento. Sachs indica due motivi di questo fallimento, abbastanza facili da capire: l’emergenza sociale e quella ambientale. L’emergenza sociale è rappresentata dalla violenza che si sta accumulando nel mondo, quasi sempre riconducibile alla reazione che gli have nots oppongono a un processo ineludibile che prima li cattura e poi li esclude; quella ambientale è determinata dalla limitatezza delle risorse della Terra, una limitatezza che si è già segnalata con fenomeni assai critici sebbene la grande allucinazione dello sviluppo abbia finora coinvolto solo il 20 per cento della popolazione mondiale. Se anche, per miracolo, si riuscisse ad annullare la prima emergenza, cioè si riuscisse a distribuire a tutti gli abitanti della Terra il libero accesso ai consumi resi possibili dall’economia globalizzata, immediatamente la seconda emergenza si farebbe terminale, e la Terra esploderebbe. L’esempio più noto è rappresentato dall’effetto serra: a meno che gli scienziati di tutto il mondo non ci abbiano solennemente preso in giro, noi tutti viviamo grazie a una biosfera che è in grado di assorbire senza danni 2,3 tonnellate annue pro capite di emissioni di ossido di carbonio – che non è poco; ma si dà il caso che ogni cittadino americano ne produca 20 all’anno, ogni tedesco 12 e ogni italiano 10. Poiché nei programmi dell’Ocse non è previsto che gli americani debbano ridurre del 900 per cento i propri consumi (né i tedeschi del 500 per cento, né gli italiani del 400 per cento), è evidente che la somma del gioco globale chiamato sviluppo non può essere immaginata positiva se non continuando a escludere da esso i quattro quinti dell’umanità. Dice: l’economia mondiale non può essere fermata. Dice: da qualche anno alla parola sviluppo è stato affiancato l’aggettivo sostenibile. Ma la realtà è che noi continuiamo a ballare sull’orlo del burrone e a far finta di niente. In Italia quasi nessuno sa chi era Peccei, e in Germania quasi nessuno sa chi è Sachs; i loro moniti – severi certo, ma sobri, lucidi e tutt’altro che ideologici – rimangono lettera morta, e se uno stimato filosofo italiano, membro del più importante partito della sinistra e del parlamento europeo, si azzarda a mettere in discussione la parola magica della nostra stregoneria globale, in discussione viene messo lui. E intanto a Rio de Janeiro si rende necessaria la ristrutturazione dello stadio Maracanà per via della corrosione prodotta dai tifosi che da cinquant’anni orinano sulle strutture di cemento armato. Dice: e questo non c’entra? C’entra. Sandro Veronesi