Il Sole 24 Ore 29/03/2006, pag.9 Andrea Malan, 29 marzo 2006
Smart, quando l’idea costa troppo. Il Sole 24 Ore 29 marzo 2006. "Siamo stati ingenui: all’inizio volevamo vendere un’idea e non un’auto
Smart, quando l’idea costa troppo. Il Sole 24 Ore 29 marzo 2006. "Siamo stati ingenui: all’inizio volevamo vendere un’idea e non un’auto. Ma la gente vuol comprare automobili, non idee". stato così - per citare un manager della Mercedes - che in otto anni sul mercato la Smart, unica auto da città a due posti, ha saputo affermarsi come fenomeno di successo (in particolare in Italia) ma non dal punto di vista finanziario. Dopo anni di perdite il consiglio di sorveglianza della casa madre DaimlerChrysler dovrebbe approvare domani un duro piano di ristrutturazione: stop al modello a quattro posti (dopo la spider "fermata" un anno fa) e nuovi tagli all’organico. Ma sono in molti, tra gli analisti finanziari e gli investitori, a ritenere che il destino del marchio sia ormai segnato. L’"auto Swatch". Quando era ancora un progetto, la Smart era soprannominata auto Swatch. L’idea venne infatti ancora alla fine degli anni 80 a Nicholas Hayek, padre della famosa marca di orologi (si veda l’articolo a fianco). Dopo aver fatto, come suol dirsi, il giro delle sette chiese, Hayek trovò un po’ a sorpresa un socio nella Mercedes, la quale vide nel progetto un modo per ridurre i livelli medi di consumo ed emissioni della sua gamma, oltre che di attrarre nuovi clienti nelle fasce di età più giovani. La joint venture (51% Mercedes) nacque nel ’94, ma fu sciolta nel ’98, all’epoca del debutto; la Smart biposto arrivò sul mercato quell’anno come un ibrido, ma non nel senso voluto da Hayek. Il motore era convenzionale, restava il marketing elitario: poche concessionarie con grandi torri di vetro, ben distinte da quelle Mercedes - che non volevano confondersi con la "parente povera". Una fabbrica di perdite. Ancor prima del debutto, a fine ’97 il famigerato test dell’alce aveva fatto uscire di strada la vettura e i suoi piani di lancio, costringendo a un rinvio di sei mesi. Nel mercato dell’auto, chi crea una nicchia riesce di solito a fare ottimi profitti - almeno finché i concorrenti non copiano l’idea. Smart invece, pur rimanendo per otto anni l’unica auto da città a due posti, non è mai riuscita a guadagnare un euro: tra le due cose c’è un legame forse non casuale. Quanto è costata l’avventura alla DaimlerChrysler? Non è facile calcolarlo, poiché il gruppo "annega" i conti di Smart in quelli della casa madre. Se si sommano le perdite operative ai costi delle ristrutturazioni, la bolletta dovrebbe essere compresa fra i 4 e i 5 miliardi di euro; secondo gli analisti finanziari, Smart rrivata a perdere 4mila euro a vettura, il 30% del prezzo di vendita. Le ultime cifre sono da capogiro: 1 miliardo di euro il peso della ristrutturazione sui conti 2005, un altro miliardo in arrivo adesso. DaimlerChrysler tata lenta ad affrontare il problema anche perché il progetto era un pallino dell’ex presidente Schrempp (che ha lasciato il volante all’inizio di quest’anno). La patata bollente ra in mano al suo successore Dieter Zetsche, il quale ha impresso alla pratica una decisa accelerazione: poco più di un anno fa Smart aveva ancora tre modelli in gamma e stava studiando un fuoristrada per il mercato Usa; adesso si prospetta un futuro monoprodotto. Gadget di lusso o auto da città? Il paradosso è che la Smart è stata, per alcuni versi, un successo. Il marchio si è affermato con una rapidità fuori del comune, ben al di là degli appassionati di auto. Ciò vale in particolar modo per l’Italia che è stata fin dall’inizio uno dei Paesi di maggior successo per la miniauto, come sa benissimo chi vive a Milano o a Roma. Il nostro Paese è il secondo dopo la Germania, e l’anno scorso è arrivato ad assorbire il 30% di tutte le Smart vendute. "La Smart è riuscita nel nostro Paese a coniugare l’esigenza di mobilità con quella di un prodotto alla moda - soprattutto presso il pubblico femminile" spiega Klaus Davi, che ha collaborato al lancio in Italia. Almeno da noi, insomma, Smart è riuscita a "vendere un’idea". La mobilità facile ha però un rovescio della medaglia: chi compra una Smart trova parcheggio dovunque, ma proprio per questo rinuncia a portare più di due persone - pagando però un prezzo comparabile (spesso superiore) a quello di altre auto da città. Per questo le vendite della biposto si sono fermate a poco più di 120mila unità annue, ben al di sotto dell’obiettivo iniziale di 200mila. Hayek sognava un’auto "di alta qualità, ad alti volumi e a basso costo", ma l’equazione si è rivelata impossibile da risolvere. I costi di produzione nello stabilimento costruito all’uopo in Lorena sono troppo elevati. Alcune idee di marketing si sono rivelate inutilmente costose, come l’opzione del cambio dei pannelli delle portiere - scelta pochissimo utilizzata dai clienti. Dopo il famigerato test dell’alce dovette essere aggiunto l’Esp, il controllo elettronico della stabilità, che fece lievitare ulteriormente i costi. L’allargamento della gamma, infine, è stato troppo ambizioso e rapido; le vendite della versione a quattro posti non si sono mai avvicinate ai livelli sperati. La stessa politica di marketing ha dovuto essere più volte rivista, fino alla decisione - che dovrebbe essere ratificata domani - di integrare completamente Smart nell’organizzazione di vendita Mercedes. La scommessa americana. La Smart ha ancora un futuro? L’erede della biposto ForTwo dovrebbe arrivare l’anno prossimo, ma gli analisti restano scettici: "Gli oneri di 1,2 miliardi per la ristrutturazione rappresentano trent’anni di utili a pieno regime, se Smart arrivasse a fatturare 3 miliardi di euro" osserva uno di loro da Londra. Sembrano scettici anche i potenziali acquirenti visto che la banca d’affari Goldman Sachs, arruolata da Zetsche per filtrare le proposte d’acquisto, non ne ha trovata una accettabile. Staccare la spina non è però una decisione facile per Mercedes. L’ex presidente di DaimlerChrysler, Juergen Schrempp, aveva un ovvio legame con un progetto che aveva contribuito a lanciare - e che è stato una delle ragioni delle sue dimissioni forzate. Zetsche ha meno remore, ma non deve essere facile anche per lui ammettere un tale smacco, proprio mentre la storica rivale Bmw è riuscita con straordinario successo a rilanciare la Mini. Ci sono ragioni più prosaiche, come gli onerosissimi contratti firmati con i partner produttivi all’epoca del lancio: secondo la stampa francese, il gruppo ha pagato oltre 400 milioni l’anno scorso per la cancellazione del progetto fuoristrada e i volumi inferiori al previsto della ForFour. L’ultima speranza potrebbe arrivare dall’America: la decisione finale sullo sbarco negli Usa - più volte rinviata - dovrebbe essere presa entro l’assemblea dei soci DaimlerChrysler, tra due settimane. Vendere un’auto da taschino nel regno del maxi non è uno scherzo - ma Zetsche conosce bene il mercato Usa, avendo guidato la Chrysler prima di tornare da numero uno a Stoccarda. Una cosa è certa: la sua decisione peserà, prima o poi, anche sul paesaggio urbano delle nostre città. Andrea Malan