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 2006  marzo 30 Giovedì calendario

Falsi miti sulla povertà in Italia. Il Sole 24 Ore 30 marzo 2006. ”In Italia lo spettro della povertà si allarga

Falsi miti sulla povertà in Italia. Il Sole 24 Ore 30 marzo 2006. ”In Italia lo spettro della povertà si allarga... i ceti medi sono costretti, per la prima volta dopo decenni, a difendersi dal pericolo di una incalzante proletarizzazione” (Eurispes, ”Rapporto Italia 2004”). La povertà è un problema reale e drammatico: ma non è con simili assurdità che si contribuisce alla sua comprensione e soluzione. Per iniziare è importante sgombrare il campo da quattro miti che circolano insistentemente in questi tempi. Mito no. 1: il ceto medio si è impoverito. Qualsiasi definizione si voglia utilizzare di ceto medio, i dati ci dicono che il suo reddito reale (cioè depurato dell’ inflazione) è aumentato negli ultimi anni. Alcuni centri di ricerca e certe inchieste giornalistiche hanno accreditato l’ idea che il costo della vita sia aumentato del 30 percento in due anni, ben oltre le stime ufficiali, e che il livello di vita sia sceso nella stessa misura. Se fosse vero, la caduta del tenore di vita in Italia in questi anni sarebbe stata doppia di quella avvenuta durante la devastante crisi argentina del 2001, e superiore a quella della Grande Depressione americana!  dunque totalmente fuorviante parlare, come fanno per esempio Massimo Gaggi ed Edoardo Narduzzi nel libro ”La fine del ceto medio”, di un ceto medio ”sempre più schiacciato verso modelli sociali da Terzo Mondo” . Per avere un’ idea delle grandezze, il reddito medio italiano è pari a 4 volte il reddito medio dell’ America Latina e 46 volte quello indiano. Nessuno vuole disconoscere le difficoltà della ”generazione mille euro”: ma essa gode pur sempre di un reddito disponibile superiore a quello medio ungherese. Mito no. 2: la povertà è aumentata negli ultimi anni. La povertà relativa, cioè la percentuale delle famiglie che ha un reddito inferiore a quello medio nazionale, è aumentata nella recessione del 1992-93 e da allora è rimasta stabile, con un piccolissimo aumento, peraltro normale in tempi di rallentamento ciclico, nel 2004. Per misurare un eventuale impoverimento è più rilevante la povertà assoluta, cioè la percentuale delle famiglie che non possono permettersi un dato paniere di beni e servizi, costante nel tempo. Questa misura è sempre diminuita dal 1993.  certamente vero che tutti i redditi sono aumentati meno che negli anni ottanta, perché l’ economia ristagna da lungo tempo: e come sempre, certe particolari categorie di cittadini in certe città possono aver visto diminuire il proprio tenore di vita. Ma nella media i redditi del ceto medio e dei meno abbienti non sono diminuiti. Quando il programma dell’ Unione scrive che "in questi anni si e’ realizzato un drammatico impoverimento nel potere d’ acquisto dei redditi medio-bassi" l’ affermazione è quindi molto discutibile, ed in particolare l’ aggettivo ”drammatico” appare senza fondamento. Mito no. 3: le retribuzioni reali dei lavoratori sono diminuite. Negli ultimi 10 anni (inclusi gli ultimi 5) la retribuzione media dei lavoratori dipendenti è aumentata in termini reali (cioè al netto dell’ inflazione); l’ aumento è stato ben superiore a quello della produttività del lavoro, il che spiega perché le imprese italiane abbiano perso competitività. Fra i lavoratori dipendenti, è leggermente diminuito il salario mensile reale degli operai delle grandi imprese, ma solo perché sono diminuite drammaticamente le ore medie lavorate. Mito no. 4: l’ Italia è diventata il paese delle rendite. Questo mito si basa su un presunto declino della quota da lavoro dipendente nel reddito nazionale, che porterebbe automaticamente ad aumento delle rendite. Questa posizione contiene due errori. Come ha ricordato Luca Paolazzi su queste pagine, in realtà la quota del reddito da lavoro dipendente è salita costantemente negli ultimi dieci anni, dopo essere scesa anch’ essa nei primi anni novanta. Inoltre, come ha ricordato Luigi Zingales, non tutti i redditi diversi dal lavoro sono ”rendite”; e non tutti sono ”cattivi”, cioè non tutti sono remunerazioni di posizioni monopolistiche: fra essi vi sono per esempio i rendimenti dei risparmi, che non hanno nulla di reprensibile. Naturalmente, che la povertà sia diminuita e la quota del reddito da lavoro sia aumentata sono ben magre consolazioni per chi povero lo è veramente. Nel programma della Casa della Libertà la politica sociale consiste prevalentemente nell’ aumentare le pensioni sociali, uno strumento costosissimo e notoriamente rozzo per combattere la povertà. Il programma dell’ Unione prevede tra l’ altro di istituire il reddito minimo di inserimento, una idea apprezzabile se ben attuata. Ma i precedenti non lasciano presagire nulla di buono. Quando nel 2000 l’ ultimo governo di centrosinistra iniziò una ”sperimentazione” all’ italiana del reddito minimo di inserimento, il disegno del programma ignorò largamente l’ esperienza internazionale accumulata in tante sperimentazioni rigorose nei paesi anglosassoni e scandinavi. Non furono prese misure per raccogliere dati utilizzabili scientificamente, cosicché non disponiamo di valutazioni quantitative rigorose dell’ esperimento. E non fu fatto niente per far funzionare una componente chiave, i programmi di attivazione al lavoro. Il risultato fu il fallimento. Non illudiamoci dunque: chiunque vinca, anche nella prossima legislatura non assisteremo alla nascita di un welfare state moderno in Italia, che affronti con competenza il problema dei veri poveri. Per questo sono necessarie risorse che possono venire solo da una riduzione della spesa per pensioni e per il personale pubblico, entrambe tra le più alte d’ Europa: e nessun governo di destra o di sinistra lo farà mai. Ma sono necessarie anche competenze specifiche; non si improvvisano dall’ oggi al domani programmi di welfare-to-work efficaci, soprattutto se vengono concepiti ed attuati da persone che non comprendono o non accettano l’ economia di mercato. Roberto Perotti