Geminello Alvi Corriere della Sera, 15/01/2002, 15 gennaio 2002
più ecologico aumentare i salari che importare gente, Corriere della Sera, martedi 15 gennaio 2002 Abbondano in questi giorni le cattive notizie sull’ambiente, di quelle che non pochi lettori ormai leggono apposta di sfuggita, nervosi d’evitare l’ansia che dopo ne deriva
più ecologico aumentare i salari che importare gente, Corriere della Sera, martedi 15 gennaio 2002 Abbondano in questi giorni le cattive notizie sull’ambiente, di quelle che non pochi lettori ormai leggono apposta di sfuggita, nervosi d’evitare l’ansia che dopo ne deriva. La stessa che eccita invece gli antiglobalisti, che in sfilata saltelleranno come tarantolati per protestare contro l’aria che inquina, però felici se importiamo più immigrati. Quasi estinti i Verdi, prevale una confusa miscela d’ecologia e terzomondismo. Blandita da schiere di canzonettisti che denigrano quel consumismo a cui debbono i loro soldi. E che, come tutti gli altri, obliano che, pure in Italia, i guai ambientali hanno una causa non meno potente del capitalismo: l’eccesso di popolazione. Nell’Italia di Michelangelo e Leonardo c’erano 25 abitanti per chilometro quadrato, oggi ce ne sono 191, ovvero più di sette volte tanto. Il che significa che i quasi 58 milioni di italiani sono così fitti che, distribuiti equidistanti, l’uno potrebbe vedere quello accanto. Ma in Lombardia e Campania la densità è almeno doppia. Per non dire dei 7 mila abitanti a chilometro quadro di Milano, dove appunto non si respira bene. Si giustifica qualche claustrofobia, che s’aggrava purtroppo se a queste aritmetiche aggiungiamo un altro calcolo, quello di quanti abitanti può reggere l’Italia. In uno studio del 1989 si calcolava il fabbisogno di spazio necessario allora a nutrire, far lavorare e respirare aria pulita a un abitante medio. Se ne deduceva che una popolazione di circa 30 milioni era quella ecologicamente ottimale per l’Italia. Forse si esagerava, limitando l’insediamento in collina a soli 5 milioni di persone, al fine di allargarvi le foreste bastanti ad assorbire l’anidride carbonica prodotta. Ma correggendo questo e altri dati si potrebbe salire a circa 38 milioni. Pur sempre venti in meno di quelli odierni. E non v’è dubbio che calcoli come questi sono disputabili. Ma i conti del Living Planet Report 2000 elaborato dall’Onu, dal Wwf internazionale e da altri istituti, li confermano. Nel rapporto si è calcolata, nazione per nazione, l’impronta ecologica d’ogni singolo abitante, ovvero la terra coltivata per produrre i suoi alimenti, compresi i pascoli, le foreste necessarie per ottenere il legname che consuma e assorbe l’anidride carbonica che produce, la superficie necessaria per ospitare la sua abitazione e i luoghi dove lavora. Il risultato è per l’Italia un deficit ecologico. Secondo Living Planet, per mantenere gli italiani in un modo sostenibile per l’ambiente ci vorrebbe più di un’altra Italia e mezzo. La conclusione non tiene in conto le importazioni di alimentari, energia, legnami dall’estero. Ma, considerandole, rieccoci a gravitare verso l’intervallo ottimale di 30-38 milioni detto sopra. Calcoli come questi sono fatti di mille semplificazioni certo contestabili. Ma hanno un gran pregio: costringono a riflettere sul fatto che, per quanta buona volontà ci si metta a diminuire le automobili, mangiare meno carne, asfaltare e cementificare di meno, c’è un più originario vincolo umano. Dimezziamo le auto, ripopoliamo la collina, aumentiamo le foreste, votiamoci al vegetarianesimo, bene alla fine, dopo qualche decennio di tali solerzie, avremo elevato forse di una decina di milioni il livello della popolazione ecologicamente ottimale. Difficile fare meglio. E allora sarebbe bene riflettervi. Per esempio se il regredire della popolazione è male per i conti dell’Inps o dell’assistenza sanitaria, potrebbe essere bene per l’ambiente. Dunque se c’è bisogno di lavoratori, sarebbe più ecologico farvi fronte elevando i salari, e riconvertendo l’istruzione, invece d’importare immigranti a milioni. Se siamo già troppi, vacillano tanti luoghi comuni degli ecologisti consueti. Geminello Alvi