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 2006  marzo 30 Giovedì calendario

Il museo più ricco è tutto rubato. Corriere della Sera 30 marzo 2006. Berlino. Cos’hanno in comune I giudici integri di Jan e Hubert van Eyck, la Madonna dei Fusi di Leonardo da Vinci, il Concerto di Jan Vermeer, la Veduta di Auvers-sur-Oise di Paul Cézanne, La spiaggia di Scheveningen di Vincent van Gogh, Il poeta povero di Carl Spitzweg, il Grido di Edvard Munch e il Ritratto di Francis Bacon di Lucian Freud? Sono opere che appartengono tutte allo stesso museo

Il museo più ricco è tutto rubato. Corriere della Sera 30 marzo 2006. Berlino. Cos’hanno in comune I giudici integri di Jan e Hubert van Eyck, la Madonna dei Fusi di Leonardo da Vinci, il Concerto di Jan Vermeer, la Veduta di Auvers-sur-Oise di Paul Cézanne, La spiaggia di Scheveningen di Vincent van Gogh, Il poeta povero di Carl Spitzweg, il Grido di Edvard Munch e il Ritratto di Francis Bacon di Lucian Freud? Sono opere che appartengono tutte allo stesso museo. Fanno parte di una delle più grandi, straordinarie ed eclettiche collezioni d’arte del mondo, forte ufficialmente di oltre 170 mila pezzi tra dipinti, sculture, arazzi, mobili, gioielli e capolavori d’oreficeria, in realtà di dimensioni ancora maggiori e sconosciute. Ma è un museo che non ha sede, edifici o depositi. una galleria senza indirizzo, che vive soltanto nella realtà virtuale di banche dati insufficienti e incomplete. Come il resto della raccolta, infatti, quelli elencati in apertura sono tutti quadri rubati. Sarebbe stato di 8miliardi di dollari il valore delle opere d’arte trafugate nel mondo nel 2005, secondo le stime del Federal Bureau of Investigation. Una cifra del tutto approssimativa, quella del Fbi, giudicata dagli esperti molto inferiore a quella reale, visto che non esistono statistiche ufficiali e che in alcuni Paesi, la Germania è uno di questi, gli oggetti d’arte rubati che non hanno un preciso valore di mercato vengono contabilizzati con il valore simbolico di 1 euro. Su una cosa però Interpol e autorità nazionali di polizia sono d’accordo: dopo la droga e la tratta degli esseri umani, quello dell’arte è ormai uno dei business più lucrativi della criminalità internazionale. Si ruba dappertutto, neimusei, nei parchi pubblici, ma soprattutto (il 54 per cento del totale) nelle collezioni private, magari tenute in casa, dove le misure di sicurezza sono più blande. E si ruba di tutto: «Opere celebri e opere di valore. Quadri di piccole dimensioni, ma anche le sculture di Richard Serra da 38 tonnellate o quelle di Henry Moore, come la gigantesca Figura reclinata portata via a dicembre da un parco nell’Hertfordshire», spiega la signora Ulli Seegers, che dirige la sezione tedesca di Art Loss Register (www.artloss.com), la più grande banca dati che registra e cataloga opere d’arte trafugate, con sede a Colonia (le altre filiali sono a Londra, Mosca, New York e New-Dehli). Sono in verità le bande organizzate, preparatissime, brutali e pronte anche a uccidere, i nuovi protagonisti di un genere delittuoso, per decenni legato a figure quasi mitologiche e tutto sommato simpatiche. Appartiene ormai all’aneddotica di un tempo lontano il miliardario pazzo che commissiona il furto di un capolavoro, come il Dottor No di Agente 007: licenza di uccidere, che oltre ad accarezzare il gatto amava godersi la vista del Ritratto del Duca di Wellington di Francisco Goya, rubato (davvero) da uno sconosciuto nel 1961 alla National Gallery di Londra. O il ladro gentiluomo, con barba finta, bombetta e abito da Savile Row, che esce indisturbato dal Prado con un Renoir arrotolato sotto il braccio o, nel peggiore dei casi, fugge dai tetti per riparare senza problemi nella sua suite all’Hotel Ritz. Leggende. Oggi, i banditi che nel 2003 rubano la leonardesca Madonna dei Fusi da un castello scozzese, ne tengono i proprietari per ore sotto la minaccia delle armi. E quelli che nell’estate del 2004 si portano via in pieno giorno due Munch, il Grido elaMadonna, dall’omonimo museo di Oslo, puntano fucili a canne mozze contro i visitatori terrorizzati. Ma soprattutto pochi ormai rubano lavori artistici su commissione. «Semmai lo ha fatto, la passione non c’entra più nulla: l’arte oggi viene trafugata soltanto per denaro», spiega Stefan Koldehoff, autore di un fondamentale libro sull’argomento ( Aktenzeichen Kunst, DuMont Verlag, 2004). E indica tre sorprendenti sviluppi, negli obiettivi perseguiti dalla nuova criminalità dell’arte. Il primo è quello del ricatto, esercitato nei confronti del privato, del museo o dell’assicurazione per convincerli a pagare in cambio della restituzione dell’opera. il cosiddetto Art-napping, che non sempre tuttavia funziona, dal momento che moltissimi musei pubblici per ragioni di bilancio hanno dovuto rinunciare al costoso lusso di una polizza assicurativa. Anche perché non potrebbero mai permettersi di aggiornare continuamente i sistemi d’allarme, come prescritto dalle compagnie. La seconda variante suona ancora più atipica. «Le opere d’arte rubate – dice Koldehoff – possono anche essere usate come mezzo di pagamento diretto o indiretto, in quest’ultimo caso come strumento nel riciclaggio di denaro». L’esempio da manuale è quello di un’organizzazione che vuole entrare nel commercio della droga e paga una partita di eroina dalla Turchia con un quadro rubato: « successo veramente, era un’opera del pittore olandese del XVII secolo, Gabriel Metsu», spiega lo studioso. In un altro caso concreto, un olio di Vermeer è stato dato a garanzia di un credito, usato per acquistare la quota di una banca di comodo, con sede fiscale ad Antigua, nei Caraibi, dove far transitare denaro sporco. Terza e non ultima destinazione, l’uso dell’opera d’arte rubata come carta negoziale, che un criminale può tirar fuori per migliorare la propria posizione, nel caso di arresto per altri reati. Posto in modo banale, io dico dov’è il Rembrandt, voi mi date uno sconto di pena. Resta ovviamente sempre aperta la strada della discreta ricollocazione sul mercato, in genere non prima di tre anni dal furto, quando l’eccitazione per la scomparsa è passata. L’eccezione conferma la regola: ai primi di marzo di quest’anno, un quadro di Matisse, I giardini del Lussemburgo, rubato appena la settimana prima da un museo di Rio de Janeiro, è stato messo all’asta per quattro ore sul sito russo Mastak, prezzo di base 13 milioni di dollari, prima di scomparire di nuovo. L’Interpol sospetta che l’opera, rubata insieme a tre quadri di Monet, Picasso e Dalì, sia in mano a trafficanti di droga. La rivendita sul mercato è una strada resa più difficile dalla comparsa, negli ultimi anni, di istituzioni come Art Loss Register o più di recente Swift-Find, le banche dati che grazie ai loro dettagliati cataloghi sono in grado di esercitare un certo controllo su fiere e aste internazionali, dove le opere potrebbero riemergere. «Ma non è semplice – spiega Dick Ellis, uno dei creatori di Swift-Find ”, solo i pezzi più celebri sono facilmente riconoscibili». «Un altro problema nella caccia ai lavori rubati – aggiunge la signora Seegers – è che le polizie nazionali non hanno molti esperti, gente cioè con una preparazione storico-artistica, impegnati in questo lavoro e che non sono ben collegate fra di loro».  un fatto che alcuni capolavori spariscono per sempre. I giudici integri dei van Eyck, valore inestimabile, furono trafugati dalla cattedrale di Gand nel 1934 e da allora non se n’è saputo più nulla. Il poeta povero di Carl Spitzweg manca da un museo berlinese sin dal 1989, mentre il Concerto di Vermeer venne sottratto dall’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston l’anno seguente. Quanto al suo piccolo Ritratto di Francis Bacon, carpito qui a Berlino nel 1988 durante una mostra alla Neue Nationalgalerie, Lucien Freud ha visto cadere nel vuoto i numerosi appelli per la restituzione. Né a molto è valsa la ricompensa di 300 mila vecchi marchi (circa 150 mila euro) promessa dal pittore a chi avesse fornito informazioni utili al ritrovamento. A tutt’oggi, il quadro fa parte della grande collezione delle opere rubate. Paolo Valentino