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 2006  marzo 30 Giovedì calendario

La carestia colpirà tutto il paese: a Pechino si trasformano in orti i campi di pallacanestro e 2 milioni di galline invadono i balconi; nonostante l’immensità della Cina e l’estrema varietà di condizioni naturali e colture, nessuna provincia è al riparo

La carestia colpirà tutto il paese: a Pechino si trasformano in orti i campi di pallacanestro e 2 milioni di galline invadono i balconi; nonostante l’immensità della Cina e l’estrema varietà di condizioni naturali e colture, nessuna provincia è al riparo. Il che basterebbe a dimostrare l’inanità dell’incriminazione ufficiale per le "più grandi catastrofi naturali in un secolo". In realtà il 1954 e il 1980 furono anni, dal punto di vista meteorologico, ben più difficili; nel 1960 solo 8 stazioni meteo su 120 parlarono di grave siccità, e meno di un terzo parlò semplicemente di siccità. Ora, il raccolto del 1960, con 143 milioni di tonnellate di cereali, è inferiore del 26 per cento a quello del 1957 (quello del 1958 lo superava appena); si è ricaduti al livello del 1950, ma con 100 milioni di cinesi in più. Le città, privilegiate nella ripartizione delle scorte e favorite dalla prossimità degli organi di potere, sono colpite meno duramente (nel 1961, nel momento più nero, i cittadini possono disporre in media di 181 chilogrammi di cereali, mentre gli abitanti delle campagne ne ricevono solo 153; la razione di questi ultimi è diminuita del 25 per cento, contro l’8 per cento per quella dei cittadini). Mao, conformemente alla tradizione dei governanti cinesi, ma contrariamente alla compiacente leggenda tessuta attorno a lui, rivela in questa occasione la sua scarsa preoccupazione per la semplice sopravvivenza di quegli esseri grossolani e primitivi che sono i contadini. D’altra parte le diseguaglianze regionali, se non addirittura locali, sono forti: le province più fragili, quelle del Nord e del Nordovest, le uniche ad avere conosciuto delle carestie nell’ultimo secolo, sono Iogicamente tra le più colpite. Lo Heilongjiang invece, all’estremo nord, poco colpito e ancora largamente vergine, vede la sua popolazione passare d’un balzo dai 14 ai 20 milioni di abitanti: è un’oasi per gli affamati. In un processo ben noto alle carestie del passato in Europa, le regioni specializzate in colture industriali (canna da zucchero, oleaginosi, barbabietola e soprattutto cotone), i cui prodotti non possono più essere acquistati dagli affamati, vedono la produzione crollare (a volte di due terzi), mentre la fame vi infierisce con particolare durezza: il prezzo del riso sui mercati liberi (o al mercato nero) si moltiplica per 15 se non addirittura per 30. Il dogma maoista raddoppia il disastro: poiché le comuni popolari devono consentire l’autosufficienza, i trasferimenti di viveri da provincia a provincia vengono drasticamente ridotti; trasferimenti che, peraltro, risentono della penuria di carbone (i minatori affamati sono partiti a cercare di che mangiare o coltivano orti) e della tendenza generale all’apatia e alla dissolutezza generata dalla fame. In una provincia industrializzata come il Liaoning, i due effetti si assommano: la produzione agricola del 1960 è la metà di quella del 1958 e, se negli anni Cinquanta vi arrivavano in media annualmente 1 milione 660.000 tonnellate di prodotti alimentari, a partire dal 1958 i trasferimenti si riducono per tutto il paese a 1 milione 500.000 tonnellate. Che la carestia sia di natura politica è dimostrato dal concentrarsi in larghissima misura della mortalità nelle province dirette da maoisti radicali, anche quando si tratta di zone, in tempi normali, esportatrici di cereali: Sichuan, Henan, Anhui. Quest’ultima, al centronord, è senza dubbio la più colpita: la mortalità balza nel 1960 al 68 per mille (contro il 15 circa in circostanze normali), mentre la natalità crolla all’11 per mille (contro il precedente 30 circa). Risultato, in un solo anno la popolazione diminuisce di 2 milioni di persone (il 6 per cento del totale). Gli attivisti dello Henan sono convinti, come Mao, che tutte le difficoltà nascano dal fatto che i contadini nascondono il grano: secondo il segretario della prefettura di Xinyang (10 milioni di abitanti), dov’era stata lanciata la prima comune popolare del paese, "non è che manchi il cibo. C’è grano in quantità, ma il 90 per cento degli abitanti ha problerni ideologici". contro l’insieme dei lavoratori delle campagne (i "livelli di classe" sono per il momento dimenticati) che nell’autunno del 1959 viene scatenata un’offensiva di tipo militare, per la quale i responsabili evocano i metodi della guerriglia antigiapponese. Almeno 10.000 contadini vengono gettati in prigione, e molti vi moriranno di fame. Si dà ordine di fare a pezzi tutti gli utensili da cucina dei privati (quelli che non sono già stati trasformati in acciaio inutilizzabile), in modo da togliere loro ogni possibilità di autoalimentazione e ogni desiderio di rubacchiare a danno dei beni della cooperativa. Si giunge a vietare qualunque fuoco, mentre il duro inverno s’avvicina! Gli slittamenti della repressione sono terrificanti: torture sistematiche su migliaia di detenuti, bambini uccisi, messi a bollire e poi utilizzati come concime, mentre una campagna nazionale incita a "imparare dallo Henan". Nell’Hanui, dove si proclama l’intenzione di "mantenere la bandiera rossa anche con il 99 per cento di morti", i quadri riprendono la buona vecchia abitudine di seppellire vive e torturare con ferri roventi le loro vittime. I funerali sono proibiti: si teme che il loro numero possa sconvolgere i superstiti e che si trasformino in occasioni di protesta. Si vieta di raccogliere i tanti bambini abbandonati: "Più se ne raccoglieranno, più ne verranno abbandonati".I contadini disperati che cercano di raggiungere le città vi sono accolti a mitragliate. Il distretto di Fenyang registra oltre 800 morti, e il 12,5 per cento della sua popolazione rurale, vale a dire 28.000 persone, viene punito in vario modo. La situazione assume le dimensioni di una vera e propria guerra anticontadina. Come ha scritto Jean-Luc Domenach, "I’intrusione dell’utopia nella politica ha coinciso perfettamente con quella del terrore poliziesco nella società". La mortalità per fame supera in certi villaggi il 50 per cento; a volte solo i quadri che abusano del loro potere riescono a sopravvivere. E, come nello Henan, i casi di cannibalismo sono numerosi (63 riconosciuti ufficialmente), in particolare attraverso mutui patti in cui ci si scambia i figli per mangiarli. Nel momento in cui Cagarin si lancia nello spazio, e in un paese dotato di oltre 30.000 chilometri di ferrovie, del telefono, della radio, si ritrovano le devastazioni caratteristiche delle grandi crisi dell’ancien régime europeo, ma che qui colpiscono una popolazione pari, nel XVIII secolo, a quella del mondo intero: si hanno così miriadi di affamati che tentano di nutrirsi di poltiglie d’erba, di cortecce, di foglie di pioppo in città, che vagano per le strade alla ricerca di qualunque cosa commestibile, che tentano di saccheggiare i convogli di viveri, che si lanciano, di quando in quando, in jacquerie della disperazione (distretti di Xinyang e Lan Kao nello Henan): non si manderà loro niente da mangiare, ma si fucileranno, a volte, i quadri locali "responsabili". L’accresciuta sensibilità a malattie e infezioni moltiplica la mortalità; le donne, sfinite, non riescono quasi più a concepire e mettere al mondo figli. I detenuti del laogai non sono gli ultimi a morire di fame, anche se la loro situazione non è necessariamente più precaria di quella dei contadini vicini, che arrivano a volte alle porte del campo a mendicare un po’ di cibo: i tre quarti della brigata di lavoro di Jean Pasqualini nell’agosto del 1960 erano, un anno dopo, morti o moribondi e i superstiti ridotti a cercare chicchi di granoturco non digeriti nello sterco dei cavalli e vermi in quello delle mucche. Essi servono inoltre da cavie per la sperimentazione di surrogati a cui ricorrere in caso di carestia, come la miscela di farina con il 30 per cento di pasta da carta da usare per fare il pane o il miscuglio di plancton di palude con la pappa di riso: la prima fa precipitare l’intero campo in spaventose crisi di stitichezza, che portano molti alla morte; la seconda causa anch’essa malattie, e i più deboli muoiono.