La Repubblica 21/03/2006, pag.58-59 Gianni Clerici, 21 marzo 2006
Noi, i maestri del fair play ma nel tennis è più facile. La Repubblica 21 marzo 2006. Da bambino, e poi da ragazzo, la buona sorte mi ha assegnato maestri di qualità
Noi, i maestri del fair play ma nel tennis è più facile. La Repubblica 21 marzo 2006. Da bambino, e poi da ragazzo, la buona sorte mi ha assegnato maestri di qualità. A insegnarmi il tennis fu un inglese, Daniel Sweet, che impartiva lezione sul campo Numero Uno dell´Hanbury Tennis Club di Alassio, allora colonia britannica. Giocavo una finalina under dieci con un bimbetto della mia età e, ad un certo punto, la palla dell´avversario va a finire negli immediati dintorni della mia riga di fondo. «Out» esclama l´arbitro. Sinceramente, era più fuori che dentro. Sto per cambiare rettangolo, che mi sento addosso uno sguardo tagliente. Dalla tribuna, Mr. Sweet mi guarda tra l´incredulo e l´infuriato. Ritorno a esaminare il marchio della palla. E devo ammettere che ha sfiorato la riga. «E´ buona» dico all´arbitro. E mi rendo conto che Mr. Sweet mi perdona. Nel calcio, boy del Como, ho avuto un grande, Annibale Frossi, due goal decisivi alla Germania nella finale olimpica di Berlino 1936. Giochiamo un giorno allo Stadio Sinigaglia di Como, in anteprima, contro i boys dell´Inter. Bello alto per i miei quindici anni, Frossi mi spedisce sempre avanti, sui corner. Arriva il pallone, salto, non ci arrivo e istintivamente lo schiaffeggio con la mano. Fischio dell´arbitro, rete. Mi viene in mente Sweet, e mi mescolo ai miei avversari indignati per segnalare all´arbitro che ho usato la mano, non la testa. Veniamo battuti. Qualcuno dei miei compagni mi manifesta un - diciamo così - vivo dissenso. Arriva Frossi, e, prendendomi da parte «Sei stato onesto, e hai fatto bene. Ma ricordati che questo non è il tennis. Qui ci sono anche gli altri». Non racconto questi due piccolissimi aneddoti per sottolineare che l´onestà sportiva non sia univoca. Ma solo per dire che, in un gioco individuale, essere onesti non solo è più facile, ma addirittura ovvio. Non si contano, infatti, gli esempi, grandi e piccoli. Famoso quello del Barone Gottfried Von Cramm, n.2 del mondo, che nel corso di un decisivo doppio di Davis contro gli americani Allison-Van Ryn, si affrettò verso l´arbitro, per segnalargli che una palla giudicata a suo favore l´aveva invece sfiorato. Da Von Cramm non è difficile passare ad un altro gentiluomo, Mats Wilander, che durante una semifinale parigina contro Clerc riuscì a convincere il recalcitrante arbitro Dorfman di un errore a danno del suo avversario, sul match point. E saranno in molti a ricordare l´onestissima dichiarazione di Andy Roddick, l´anno passato, al Foro Italico. Rifiutò, l´americano, di vincere contro Verdasco per un errore dell´arbitro Ferguson. E finì battuto, ma non certo pentito. Chapeau. Se è questa la regola generale di comportamento del tennis, pare giusto ricordare che, soprattutto di recente, si sono visti fior di ladri, tipi che non solo contestavano chiamate in malafede, ma addirittura tentavano di intimorire i giudici. Connors e McEnroe son stati i fondatori e i più noti membri di questo Sgraffigna Club, come lo chiamerebbero a Milano. Pare anche giusto ricordare che la tendenza alla correttezza, al fair play, non trova ospitalità presso le nostre amate tenniste. Chi ha mai visto una campionessa restituire una palla all´avversaria è pregato di farmelo sapere, scrivendo alla nostra redazione. Gianni Clerici