Il Messaggero 22/03/2006, Roberto Gervaso, 22 marzo 2006
Yehudi Menuhin. Il Messaggero 22 marzo 2006. Caro Signor Gervaso, sono un appassionato di musica classica e suono il violino
Yehudi Menuhin. Il Messaggero 22 marzo 2006. Caro Signor Gervaso, sono un appassionato di musica classica e suono il violino. Ho studiato al Conservatorio, ma per tante ragioni che sarebbe lungo spiegare, al terzo anno, ho dovuto lasciare, non le dico con quale rammarico e con quanti rimpianti. Il mio compositore preferito è Brahms che ascolta volentieri anche lei; il direttore d’orchestra, Carlo Maria Giulini, del quale, tempo fa, lei tracciò un affettuoso profilo. Le sarei grato se, alla prima occasione, facesse la stessa cosa con il violinista che è stato il mio beniamino: il russo, naturalizzato americano, Yehudi Menuhin che, proprio quest’anno, ne compirebbe novanta. Ha avuto la grande fortuna di conoscerlo? Nicola Cristofori - Bologna L’accontento volentieri perché questa grande, grandissima fortuna l’ho avuta nel 1978 quando, a Londra, gli feci una lunga intervista. Fu un incontro indimenticabile, uno dei più poetici della mia lunga carriera di giornalista e di scrittore. Menuhin stava fra l’asceta, il cherubino, il folletto. Minuto, la chioma argentata, il viso pallido, le mani bianche e sottili, gli occhi sognanti e luminosi: una statuina di Capodimonte animata da un’invisibile scintilla. Camminava in punta di piedi e, quando si sedette sul divano della splendida villa alla periferia di Londra, affogata in un aromatico bosco, sembrava una piuma. Parlava sottovoce, quasi bisbigliando. Dalla sua bocca, più che vocali e consonanti, uscivano note, tanto melodioso era il suo eloquio. Era stato un enfant prodige, ma guai a ricordarglielo. Quando, incautamente, glielo dissi, mi rispose che non aveva mai creduto ai prodigi, ma solo al talento individuale. Mozart e lo stesso Chopin manifestarono prima degli altri un’eccezionale, quasi soprannaturale precocità. Geni come lui, come Jascha Heifetz, David Oistrach, Isaac Stern, Arthur Rubinstein, Vladimir Horowitz, Andrés Segovia, Arturo Toscanini, Wilhelm Furtwängler, Herbert von Karajan, riescono a convogliare mirabilmente le loro energie nel giusto alveo. L’Arte, per loro, era la più alta forma di artigianato. Domandai a Menuhin se fosse d’accordo con Ovidio, per il quale l’arte consisteva nel nascondere l’arte. Sottratta al sapiente sortilegio - mi rispose - diventa puro e semplice lavoro, invece che gioco dell’intelligenza, del cuore, dello spirito, e della tecnica. L’arte va prima sentita, poi compresa, ammesso che sia possibile spiegarla. Chi possiede questo inestimabile dono, lo fonde con la vita, realizzando così la propria vocazione. Quando gli chiesi se anche lui avesse avuto maestri, mi rispose che senza maestri non ci sono allievi, e che alle sue guide doveva quel formidabile mestiere che ne aveva fatto uno dei violinisti più eclettici e acclamati del Novecento. L’arte è l’espressione del bello, ma anche del vero. Basta ascoltare Bach, Mozart, Vivaldi, e gli altri grandi della composizione per averne la stentorea, inappellabile conferma. Certo, ci sono le imitazioni e le contraffazioni, ma è facile smascherarle, perché sono come la saccarina, surrogato dello zucchero. E il segreto della perfezione? Avere un proprio stile, essere riconosciuti fra mille, diecimila, centomila, un milione. Di tutte le arti, la musica è la più universale. Il suo linguaggio lo comprendono tutti perché va diritto al cuore, commuove, conforta, rianima, dà gioia allo spirito. Le sue vibrazioni trascendono la routine e c’impregnano l’anima, motivandola e arricchendola. A generarle e a diffonderle è la natura, senza la quale non ci sarebbe il mondo perché l’uomo non crea nulla. Si limita a cogliere, anzi a captare, le vibrazioni superiori, senza avere coscienza del miracolo di cui è l’involontario artefice e il privilegiato beneficiario. Il solo rischio che l’artista, anche grande, grandissimo, corre, è quello del virtuosismo, del compiacimento della propria abilità tecnica. Virtuosismo che gli fa fare con lo strumento o con la voce ciò che vuole, ben oltre quella misura che è il presupposto dell’armonia, intima fusione fra talento e metodo. Dal salotto, dove si svolse l’incontro, il Maestro mi accompagnò nello studio, e qui mi mostrò, custoditi come reliquie in una vetrina dalle cornici di mogano, uno Stradivari del 1714 e un Guarnieri del 1742. Prima di congedarmi mi regalò alcuni suoi concerti per violino e orchestra di Bach, Beethoven, Brahms, Mendelssohn, e duetti con Stephane Grappelli. Ignoravo che suonasse Gershwin, Berlin, Kern, Rodgers, Cole Porter. Anche in questo sorprendentemente eclettico. Roberto Gervaso