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 2002  gennaio 08 Martedì calendario

Varenne, immobile e statuario, ti guarda sapendo di essere un campione, Guerin Sportivo, 8 gennaio 2002 Campo di Carne (Latina)

Varenne, immobile e statuario, ti guarda sapendo di essere un campione, Guerin Sportivo, 8 gennaio 2002 Campo di Carne (Latina). Il più grande atleta del momento è un cavallo che si chiama Varenne e vive a trenta chilometri da Roma. Varenne ha un mantello baio e un padre americano e farfallone che si chiama Waikiki Beach. è nato sette anni fa a Copparo, in provincia di Ferrara, un luogo piatto, ampio e pieno di zanzare di razza polesine, le più ambite per una notte di tregenda. Copparo è disteso fra il Po di Volano e il Po di Fossetta lungo il grande delta, zone un po’ noiose, afose d’estate e gelide d’inverno, piene di frutta e di piccole fabbriche che vendono tecnologia. Varenne nasce in fondo a un parto difficile, rischiano di morire lui e la madre, la bellissima Ialmaz, fattrice instabile e sentimentale che il mito vuole essersi una notte perdutamente innamorata di Waikiki e a lui aver sacrificato quel che restava della sua antichissima professione. Né Ialmaz né Waikiki Beach sono stati due fuoriclasse. Nessuno pensa onestamente che dall’unione possa nascere qualcosa di storico. Infatti nasce Varenne, maschio baio così chiamato dal nome della strada che a Parigi ospita l’ambasciata d’Italia. Varenne non è né bello né brutto. è un ”ragazzo” ardente, vivace, anche bello, ma non fa sognare. Ce ne sono di migliori nell’allevamento Zenzalino, su, nell’afa di Copparo, fra le promesse delle sette fattrici che esercitano il loro profondo mestiere per conto di due allevatori, Sandro Viani, il padrone di tutto, e Jean Pierre Dubois, il trainer driver francese che per dieci milioni riscatta il piccolo Varenne e lo porta con sé in Normandia. C’è qualcosa che non va in Varenne, come una diversità che tarda a mostrarsi, una differenza che diventa faticosa. Intanto ha un chip, un frammento cartilagineo nel posteriore destro che potrebbe fermarlo in breve tempo. Sono micce che nessuno di solito vuole spengere. Un cavallo con un chip è condannato al poco. Nessuno investe sull’animale fragile. Infatti Dubois vende Varenne poco dopo il suo debutto. Vuole 180 milioni, diciotto volte quello che lo ha pagato. Deve rifarsi delle spese di un anno. Ma fa fatica. Quel chip è una condanna. Nessuno ha la forza di andare oltre. Resta solo Giampaolo Minnucci, un driver romano che cerca un cavallo per Enzo Giordano, cambiavalute napoletano. Decide il parere di Pio Iannarelli, il veterinario. Con molto buonsenso ridimensiona il problema della cartilagine: il chip c’è ma è in una posizione che non dà problemi. Avrà ragione lui. Varenne si trasferisce nel team Minnucci-Turja nel silenzio di Tor San Lorenzo. Comincia qualcosa che cambia la storia di questo sport. Varenne vincerà tutto, dall’Amerique 54 anni dopo l’ultimo cavallo italiano, Mistero, al Lotteria di Agnano; dall’Elitlopp di Solvalla, in Svezia, alla Breeders Crown di New York, un grande slam riuscito solo una volta a Roquepine ma senza il record mondiale di velocità cui invece non ha rinunciato Varenne. Nessun cavallo italiano, nessun cavallo al mondo ha fatto più di Varenne. Lo incontro all’Horse Trading Centre di Campo di Carne in una giornata di sole arido, fredda e lucente, con le pozzanghere piene di acqua ghiacciata e i cani che si allungano sull’erba per succhiare fino in fondo la luce di mezzogiorno. Niente indica che qui vive il più grande cavallo del mondo. Non vedo il paradiso che ho letto. C’è una natura algida, quasi brulla come tutta questa lunga campagna intorno, terra povera, arricchita solo dalla vicinanza del mare e da tutto quello che in cemento questo significa a trenta chilometri da Roma. C’è un silenzio operoso, un’allegria fiduciosa, gente che si conosce, abituata a capirsi con un gesto, un’efficienza di piccole cose. E l’assuefazione agli estranei. Io navigo come posso in quest’isola piena di allenatori finlandesi, preparatori svedesi e ragazzi di stalla slavi, con qualche proprietario pieno di sigari e di giacche di pelle che fuma e parla di soldi. Ma si capisce al volo che sono appena tollerato. Hanno tutti il loro compito da svolgere. Prendono un cavallo, lo accarezzano, montano un sulky e partono verso la pista. Sorridono e ti guardano come un venusiano su marte, mi sento goffo e incolto, non capisco il finlandese, non conosco l’inglese, non ho dimestichezza con i cavalli, non so che dire, da dove cominciare se non dall’accarezzare i cani, tutti scomposti sull’erba, come casuali, come chi sa di non aver posto nel quadro e si fa piccolo e senza voce per strappare un rimedio. Varenne arriva dieci infiniti minuti dopo. Gli va incontro una piccola ragazza bionda. Si chiama Iina Rastas, è finlandese come Turja, viene da un paese a duecento chilometri ad ovest di Helsinki. Iina ha ventitré anni, è arrivata quattro anni fa interrompendo i suoi studi per fare la groom, alla lettera il palafreniere, la strigliatrice, di Varenne. In realtà la sua vera e propria tata. Non c’è movimento, non c’è vita in Varenne che Iina non controlli. Adesso che è tornato stanco di polvere e sudore dalla pista, Iina lo striglia e lo rimette in sesto, poi lo copre con un doppio plaid bianco a quadri azzurri, vagamente civettuolo. Varenne è immobile, pieno di eternità e sudore, con il fumo che gli sale dal corpo statuario. Sembra pensi che gli è tutto dovuto. Iina mi dice che Varenne è perfettamente consapevole della sua differenza, sa di essere il migliore. Minnucci, il suo driver, sostiene di parlare con lui, dice che Varenne sente la corsa, è capace di concentrazioni inesauste, di raddoppiare gli sforzi, di gestire la gara. C’è un vasto respiro umano intorno a questo cavallo che resta fermo nel freddo a farsi toccare dalla piccola ragazza del profondo nord. Varenne ha sette anni, più o meno trenta di un uomo. è un ragazzo maturo, splendido e quasi al limite della sua carriera. Alla fine di questa stagione dovrà ritirarsi, non correrà più, comincerà la lenta e ricchissima professione dello stallone. Una sua notte d’amore non varrà meno di sette-ottomila dollari, fra i quindici e i venti milioni di lire. Mi dicono ci sia già un elenco di fattrici lungo come da qui al mare di Tor San Lorenzo, un mare comune fra il popolo di Roma, immenso e banale, un mare che per dieci mesi l’anno però è fra i più solitari del mondo, lunghe pianure di sabbia su cui Varenne ama lanciarsi per poi sfinirsi nell’acqua salata. Iina ora lo asciuga, poi gli copre gli stinchi con carta di giornale e gliela tiene ferma con i coprigarretti. Poi gli lava le gambe e la pancia e lo porta ad asciugarsi passeggiando sotto il sole, tenendolo al guinzaglio come uno dei cani che dormono sull’erba. Iina è dolce, ma decisa. Fa quello che deve, Varenne è come la lasciasse fare, è chiaro che conosce la mano. Ha imparato il finlandese per amore di Iina dopo che gli avevano insegnato già l’italiano e il francese. Iina è molto carina, con una piccola goccia d’oro incastrata su un dente, unica civetteria per questa ragazza lontana che forse sta rinunciando troppo a se stessa per il suo amico campione. è gentile e brusca, come volesse un’attenzione, ma forse assuefatta al peso di essere il tutor di Varenne. Forse gli pesa anche un’atmosfera così molto maschile (il freddo, i cowboys, le tute da allevatori, dense e ingoffite dai maglioni, i cappellini della scuderia che fanno sembrare tutti uguali). Forse comincia ad essere troppo per lei quel posto un po’ brusco, così pieno di obblighi elementari, continui, preziosi. Iina mi dice che quando Varenne smetterà, lei tornerà in Finlandia. Che Varenne si è fatto più esigente con il passare del tempo. All’inizio era quasi autosufficiente. Poi è diventato mano mano sempre un po’ più pigro, si lascia fare completamente. Vuole la sua bionda madrina e da lei si fa guidare dovunque. La stalla è piena di balle di paglia. Iina le muove ogni sera quando appena dopo il tramonto Varenne viene portato a riposare. è il suo modo di rifargli il letto. La stalla è normale, tre metri per quattro, dentro un capannone con l’aria che entra dai due lati, un freddo generico e un grande senso di praticità domestica. Ci sono dentro una trentina di cavalli. Mi vengono i brividi vedendo che qualche cavallo guarda attento Varenne mentre torna dal suo box. è come lo spiasse, ne cercasse la differenza. è come ci fosse la luce dell’invidia nello sguardo. Qualcosa che spaventa ora che Iina va a svolgersi i capelli e io resto solo fra questi animali pieni zeppi di privilegi, bestie superiori cui ti accosti con un rispetto primitivo. Mi raccontano che il cavallo ha circa sessanta milioni di anni (l’uomo circa tre) e all’origine della sua evoluzione era una specie di marmotta che si chiamava eohippus e non arrivava ai quaranta centimetri. è quello che si chiama un animale da fuga, cioè corre essenzialmente per scappare dai predatori. L’uomo lo ha cacciato a lungo fino a pochi millenni fa. Era carne buona e facile. Poi per fortuna capì che il cavallo gli poteva servire molto di più da vivo, se gli lavorava al fianco. E lì cominciò la civiltà, cioè la storia che l’uomo faceva insieme a qualcosa di esterno. Mi dicono che il cavallo abbia grandi istinti atavici e che questo giovi moltissimo nella corsa. Quando gareggia, Verenne sa di dover vincere. Non solo, vuole vincere, perché vincere significa inconsciamente riuscire a fuggire al suo predatore, cioè assecondare, forse rimettere in moto il suo istinto di conservazione. è strano come la parte che a noi sembra più umana di un cavallo, la sua coscienza, sia in fondo la parte più ”animale” del cavallo, il suo stesso istinto. O forse siamo solo noi che pensiamo che qualunque cosa di umano sia migliore di qualunque cosa di animale. Di certo questo maschio baio il cui marrone bruciato finisce nel nero delle gambe come a inseguire la forza delle vene dilatate, è un monumento alla regalità, alla fragilità infrangibile, a una perfezione complessa, a una specie di anima del mondo. La sua diversità è evidente. Non c’è in tutto il paddock tra uomini, cavalli e cani qualcosa che gli stia vicino. Siamo tutti un groviglio di imperfezioni al suo confronto. Non c’è cavallo che non muova testa, che non sia inquieto. Non c’è persona che non gesticoli. Soltanto lui è immobile e semplice, assolutamente lontano, come perso nel suo mondo di vincenti. Niente lo sposta, niente lo tocca. Iina è evidentemente fiera di questo gelo regale che attraversa Varenne. Come se la differenza di Varenne partisse dalla sua posizione. Non c’è cavallo che non alzi una zampa. è un’autodifesa, un tentativo di risparmiare quella che sente essere la parte più debole del corpo. Non c’è cavallo che non sia emotivo e sensibile. Un animale di grande memoria, abituato a vedere cose che l’uomo non vedrà mai. La sua vista è infatti quella di un animale da fuga, quella di chi scappa per difendersi. Quindi può vedere davanti, di lato e indietro. 360 gradi, un orizzonte infinito che forse gli falsa la profondità. è per questo che tante volte il cavallo s’impenna, si ferma, s’impunta o scappa. Vede un ostacolo solo suo, vede cose che noi non vediamo. Per questo nasce il proverbio ”matto come un cavallo”. In realtà il cavallo è uno degli animali più sensibili e intelligenti. Ha bisogno di essere blandito e corteggiato, seguito, vezzeggiato. Poi ricorderà per tutta la vita. Ma Varenne è immobile e sacro, senza paure presenti o ataviche. E poggia su tutte e quattro le zampe, sicuro, impressionante. è come se gli altri cavalli lo guardassero in questa sua diversità, come se volessero capirla. Varenne non li degna molto. Accetta solo Iina e con la pazienza un po’ arrogante dei forti. Sa che lei e Turja lavorano per allargare la differenza che divide lui dai suoi simili. Ma è evidentissimo che comanda lui. Ha una luce che brucia anche in questa terra algida e un po’ ovvia dove tutti i suoi simili mostrano di vivere senza la gloria. Varenne ha un solo vero amico fra gli altri cavalli. Si chiama Tank Om ed è l’unico che lo diverta. Chissà quali sono i dialoghi cavallini, chissà a che cosa ricorra Tank Om per rubare l’assenso del suo freddo imperatore. Ma non c’è altro cavallo che lo interessi. Per lui i cavalli sono animali da mettersi alle spalle. Minnucci dice di fare spesso fatica a trattenerlo in corsa. Varenne vuole scappare dal branco subito, qualunque sia la strada. L’unica difficoltà è tenerlo, gestirlo. Per fortuna che con Varenne si può parlare, che Minnucci sappia come. Varenne sa che di Minnucci può fidarsi, per questo gli lascia in mano parte della sua regalità. Hanno vinto insieme 48 delle 58 corse cui hanno partecipato. In tutto solo una volta non si sono piazzati. Varenne è grato a Minnucci e lo segue. Ma è come se questo splendido cavallo tenesse tutti sotto esame. Come se non ci fosse mai niente di definitivo, se aspettasse sempre qualcosa in più, da se stesso e dagli altri. Minnucci e Truja lo presero nel ’98, aveva problemi di assetto, non sapeva affrontare le curve. Lo hanno fatto allenare con un bastone fissato fra la schiena e la pancia finché non ha imparato. Ora è la curva il suo regno. Il resto lo ha fatto la natura. Pio Iannarelli, il veterinario, dice che Varenne ha qualcosa di divino dentro di sé. Dieci minuti dopo l’Amerique di un anno fa, aveva già 78 battiti al minuto, come se non avesse mai corso. In quattro anni che lo cura, Varenne ha avuto solo due volte la febbre. Ogni settimana gli fanno le analisi del sangue e delle urine. Niente, ogni volta meglio. Ora che è un passo oltre il suo massimo, ora che qualunque cavallo comincia un lento declino, Varenne continua a dare risultati clinici sempre migliori. Come se il Dio dei cavalli non volesse rinunciare così presto alla creatura più perfetta che abbia mai costruito. Varenne ha delle doti che sono inquietanti. Spesso prima delle grandi gare fa stretching da solo, si allunga i muscoli e mette la testa fra le zampe per concentrarsi. Sa perfettamente cosa sta per accadere e perfino come deve svolgersi. Iina mi dice che Varenne sa di essere il migliore. Una coscienza profonda di se stesso che lo inorgoglisce e lo porta lontano dagli altri. Sembra che qualche volta in pista arrivi a spingere avanti Tank Om, come lo invitasse a prendere per una volta la testa. Tank Om è uno splendido cavallo brocco, non ha né forza né testa per stare davanti a Varenne. E non capisce la finezza di quella cortesia. Capisce qualcosa di più Titan, il cane nero e tozzo che ora si alza dal sole e dall’erba e corre lentamente a leccargli i rari peli sotto il naso. Varenne si allunga per avvicinarsi, si ferma, gli sposta la testa con la sua, sembra sorridere. Iina dice che sarebbe bello se Varenne potesse vivere come vuole. Invece ci sono ormai centinaia di persone come me che ogni giorno vengono a vederlo. Varenne è distante come tutte le star, ma sente di essere osservato. Chi vuole solo e sempre la stessa persona ad accudirlo, è chiaramente in grado di capire quando ha estranei davanti. E forse non gradisce. Forse è anche questa la sua immobilità. Il suo non darsi. Anche se i medici dicono che la sua più grande qualità è proprio la capacità di non disperdere energie. Agraz, suo fratello che vive anche lui a Campo di Carne ma sotto un altro tetto, è invece molto più inquieto e agitato. Dicono sia un problema normale. Tipica psicologia universale: non è facile avere fratelli come Varenne, nemmeno per i cavalli. Per questo li tengono lontani. Accanto al box di Varenne, c’è quello di Vayant, un vecchio amico. Sono cresciuti insieme. C’è stato un periodo quando erano molto giovani, che Vayant sembrava migliore. Tanto che Luciano Moggi, volendo un puledro, scelse Vayant. Da molti anni non c’è gara. Vayant campa di compromessi e sogni antichi nella visione quotidiana della grandezza di Varenne. Nel box Iina massaggia gambe e zoccoli di Varenne con una crema rinfrescante e anti-infiammatoria che mischiata con il grasso umido dovrebbe tenere freschi e riposati i piedi. Varenne abbassa appena appena gli occhi, guarda Iina, chissà come la vede nella sua vista totale. Dicono che i cavalli vedano anche con gli orecchi. Che saltino gli ostacoli aiutati da una specie di radar. Infatti si muovono benissimo anche di notte. Ma è probabile che vedendo troppo, vedano tutto sfuocato. Iina mette l’acqua nell’abbeveratoio e solo dopo che Varenne ha bevuto, gli dà la biada e l’avena del suo terzo pranzo. Sono mosse secche e gentili che Varenne conosce a memoria. Tra venti giorni tornerà a dover essere campione per il suo ultimo anno. A Vincennes per l’Amerique. Turja dice che quando Varenne sta bene non c’è cavallo al mondo che lo valga. Ora Varenne sembra star bene sotto le mani di Iina, ora che con il ciuffo pettinato e lo stomaco pieno comincia a guardarsi intorno quasi mostrasse l’orologio e dicesse ai suoi ospiti che è venuto anche per lui il tempo di rimanere solo. Di provare a dormire un po’. Mario Sconcerti