Corriere della Sera, 31/01/002, 28 marzo 2006
La Enron minaccia pure noi, Corriere della Sera, giovedì 31 gennaio 2002 Nel discorso sullo stato dell’Unione il presidente Bush ha dedicato non più di tre righe al fallimento della Enron, la più grande bancarotta che si sia mai verificata nel mondo
La Enron minaccia pure noi, Corriere della Sera, giovedì 31 gennaio 2002 Nel discorso sullo stato dell’Unione il presidente Bush ha dedicato non più di tre righe al fallimento della Enron, la più grande bancarotta che si sia mai verificata nel mondo. E tuttavia molti concordano con il giudizio di Paul Krugman, professore a Princeton, che sul ”New York Times” ha scritto: «Tra dieci anni, non le stragi dell’11 settembre, ma lo scandalo della Enron sarà visto come la grande svolta degli Stati Uniti». Enron era la settima società americana, la più grande al mondo nel settore dell’energia. Il motivo banale della bancarotta è una montagna di debiti, accumulati per speculare nel mercato dei derivati dell’energia, dove si compra e si vende a termine, scommettendo sull’andamento del tempo: se l’estate sarà particolarmente calda i condizionatori andranno al massimo e i consumi di energia saliranno... Debiti occultati agli azionisti, grazie a regole contabili che consentono di nascondere un debito trasferendolo ad una società controllata, evitando poi di consolidarne i conti con quelli della casa madre purché si trovi chi ne acquisti un 3 per cento. (In Europa le regole sono più severe, anche se proprio su questo punto è in corso una battaglia tra Consob e Pirelli, proprietaria di Telecom)*. Negli Usa il caso Enron scuote la politica al punto che l’Ufficio del bilancio del Congresso ha deciso di portare la Casa Bianca in tribunale. E non solo per i rapporti tra il presidente, e soprattutto il vice Dick Cheney, e la società texana: tra i 248 parlamentari che in vari comitati stanno indagando sulla Enron, 212 hanno dichiarato di aver ricevuto finanziamenti elettorali dalla società. (Ieri anche il partito laburista inglese ha ammesso di aver ricevuto un finanziamento dalla Enron e il caso non rimarrà unico in Europa). L’intreccio tra politica e big business, la scarsa trasparenza dei finanziamenti elettorali, tema presto dimenticato, dopo essere stato al centro della campagna elettorale tra Bush e Gore, non solo una novità negli Usa. Se fosse solo per questo sarebbe difficile considerare il fallimento della Enron «una grande svolta per gli Stati Uniti». Il vero guaio è che questa vicenda rischia di minare la fiducia dei risparmiatori americani, e questa sì, purtroppo, sarebbe una grande svolta. Ci si può ancora fidare di bilanci certificati da società di revisione, come Arthur Andersen, che o non hanno visto o hanno fatto finta di non vedere la montagna di debiti? Ci si può fidare di analisti finanziari che più il titolo cadeva e più consigliavano: «Comprate, sta diventando un buon affare»? Di grandi banche, come Citibank e J.P. Morgan-Chase che sembrano non essersi accorte di ciò che stava succedendo in casa del loro maggiore cliente? Di fondi pensione, come Calpers, quello dei dipendenti pubblici della California, il più grande al mondo, che ha continuato sino alla fine ad acquistare azioni della società? Nei mercati finanziari la fiducia è tutto, e oggi vacilla. I risparmiatori sono preoccupati che in Borsa vi siano altri casi Enron. è per questo che da George W. Bush gli americani si aspettavano di più. Non solo il ricordo dei pompieri coraggiosi di New York, ma anche un omaggio a Arthur Levitt il presidente della Sec (la Consob americana) ai tempi di Clinton che per anni si è battuto per aumentare la trasparenza dei bilanci, scontrandosi contro l’opposizione bipartisan di un Congresso sotto l’influenza delle grandi società di revisione. La lezione è che la regolamentazione dei mercati è questione troppo seria per essere lasciata in balìa di qualche lobby, o preda della gelosia di istituzioni impegnate a giustificare la propria esistenza. Ciò vale anche per l’Italia dove, di fronte alla proposta di riflettere su come migliorare l’architettura istituzionale delle attività di regolamentazione e sorveglianza, l’unica risposta che il governo pare saper dare è: la Banca d’Italia non si tocca. Salvo poi usare le banche pubbliche per sistemare quelli che, con le dovute proporzioni, non è esagerato considerare i nostri ”casi Enron”, come sta avvenendo con l’acquisto della Bipop da parte della Banca di Roma. Francesco Giavazzi * Sul ”Corriere della Sera” di venerdì 1 febbraio Giavazzi ha precisato: «Le norme italiane prevedono (legge 127 del 1991) che una società la quale eserciti, di diritto o di fatto, il controllo su un’altra società debba consolidarne i bilanci. Nell’articolo di ieri ho fatto riferimento alle differenze che esistono tra la normativa europea e quella in vigore negli Stati Uniti volendo appunto sottolineare il maggior rigore delle norme europee e quindi la maggior trasparenza che esse offrono agli investitori. Sulla definizione di controllo è peraltro in corso una controversia tra Consob e Pirelli la quale, pur avendo sempre esposto nel modo più trasparente le proprie partecipazioni in altre società, e in particolare in Olimpia, e attraverso Olimpia in Olivetti, non ritiene di esercitare il controllo su Olimpia, né ritiene che Olimpia eserciti un controllo su Olivetti e nega pertanto di essere obbligata a consolidare in Pirelli i bilanci delle due società a valle. A questo soltanto mi riferivo e non intendevo certamente fare alcun paragone fra Pirelli, che non ha certo cercato di occultare i dati di bilancio, e il caso americano».