Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2006  marzo 20 Lunedì calendario

Il processo a Milosevic e la giustizia ineguale. Corriere della Sera 20 marzo 2006. La morte di Slobodan Milosevic può segnare la fine del tribunale speciale che avrebbe dovuto giudicarlo? Le pongo questa domanda perché, a prescindere da qualsiasi giudizio politico sul defunto (a cui lei qualche tempo fa rese comunque l’ onore delle armi), credo che anche il più efferato criminale guadagni dignità e rispetto sempre maggiori quanto più si allungano i tempi del processo che lo riguarda

Il processo a Milosevic e la giustizia ineguale. Corriere della Sera 20 marzo 2006. La morte di Slobodan Milosevic può segnare la fine del tribunale speciale che avrebbe dovuto giudicarlo? Le pongo questa domanda perché, a prescindere da qualsiasi giudizio politico sul defunto (a cui lei qualche tempo fa rese comunque l’ onore delle armi), credo che anche il più efferato criminale guadagni dignità e rispetto sempre maggiori quanto più si allungano i tempi del processo che lo riguarda. In questo caso l’ ex presidente jugoslavo era recluso in attesa del primo giudizio, se non sbaglio, da più di quattro anni. Le sue condizioni di salute inoltre hanno indotto i giudici a continui rinvii del procedimento, ma non a scarcerarlo. Quindi egli è, per la giustizia internazionale, morto da innocente, o da non colpevole, se si preferisce. Gradirei infine conoscere la sua opinione su questo tipo di tribunali, dato che, per esempio, lo stesso Saddam Hussein si trova da circa due anni e mezzo in una situazione analoga. Orazio Sorrentini vice direttore del carcere di Milano-Opera Caro Sorrentini, fra il processo a Milosevic e quello a Saddam Hussein esiste una importante differenza. Il primo era imputato all’ Aja di fronte a un tribunale internazionale istituito dall’ Onu nella prima metà degli anni Novanta per giudicare i crimini di guerra nella ex Jugoslavia. Il secondo viene giudicato da un tribunale iracheno. So che anche questo processo può sembrare a molti, soprattutto in Iraq, giustizia dei vincitori, esercitata per procura. Ma credo che gli americani si siano resi conto, in questo caso, dell’ opportunità di non fornire argomenti al nazionalismo iracheno e abbiano preferito la giustizia nazionale alla giustizia internazionale. Sull’ utilità del tribunale dell’ Aja ho sempre avuto molti dubbi. Non discuto lo spirito dei magistrati che ne fanno parte. Quello di Carla Del Ponte mi è sempre parso troppo personale e aggressivo, ma riconosco che Antonio Cassese (il primo presidente della Corte) e i suoi successori hanno sinceramente sperato che la guerra jugoslava e altre vicende degli anni Novanta (i massacri del Ruanda ad esempio) avrebbero creato le condizioni per la nascita di una giustizia penale internazionale, del tutto diversa da quella impartita a Norimberga dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Ma temevo che questa nobile intenzione si sarebbe scontrata lungo la strada con molte difficoltà e che la giustizia sarebbe stata necessariamente selettiva. Ne abbiamo avuto una evidente conferma quando i membri dell’ Onu riuscirono ad accordarsi per la creazione di un grande Tribunale penale internazionale. Gli americani rifiutarono di ratificarlo e ne spiegarono le ragioni sostenendo che non avrebbero mai permesso ai loro militari e funzionari di sedere sul banco degli accusati di fronte a una corte di giustizia che non fosse quella degli Stati Uniti. Non basta. Dopo avere negato la loro ratifica, fecero pesanti pressioni sui firmatari del trattato perché approvassero una clausola che li esonerava dall’ obbligo di consegnare al tribunale gli imputati americani presenti nel loro territorio. possibile parlare di giustizia internazionale se non tutti i presunti colpevoli sono eguali di fronte alla legge? Si può definire «internazionale» un tribunale che non può processare i cittadini della maggiore potenza mondiale? Nel caso di Milosevic, infine, ebbi l’ impressione che il suo processo fosse il risultato della convergenza di due intenzioni. Il tribunale dell’ Aja lo voleva sul banco degli accusati perché il suo caso avrebbe rappresentato un precedente importante per il nobile scopo che si voleva perseguire. Gli Stati Uniti e altri Paesi dell’ Alleanza atlantica volevano punire il leader serbo per il modo in cui aveva rifiutato di piegarsi, nella questione del Kosovo, alla loro volontà. Mi chiedevo e mi chiedo: può il tribunale agire con altrettanto rigore nei confronti di uomini politici di cui le grandi potenze, in quel momento, hanno bisogno per raggiungere i loro obiettivi? Mi spiego con due esempi. Quando vennero negoziati gli accordi di Dayton sulla spartizione della Jugoslavia, nell’ autunno del 1995, i massacri della Bosnia avevano già avuto luogo; ma Milosevic, in quel momento, era utile alla conclusione degli accordi e le sue responsabilità vennero quindi ignorate. Recentemente il Kosovo, dopo la morte di Rugova e le dimissioni del primo ministro, ha scelto, per succedere a quest’ ultimo, Agim Ceku, comandante delle forze dell’ Uck (l’esercito di liberazione kosovaro) nella fase che precedette la guerra del 1999. A Belgrado Ceku è accusato di crimini di guerra, ma gli alleati occidentali sanno che è popolare, dinamico, rispettato dai suoi connazionali e forse capace, meglio di altri, di concorrere alla soluzione del problema. Nulla da eccepire. Ma non è forse lo stesso giudizio che gli Alleati davano di Milosevic nell’ autunno del 1995? Sergio Romano