La Repubblica 21/03/2006, pag.1-46 Daria Galateria, 21 marzo 2006
Il taccuino segreto del Piccolo Principe. La Repubblica 21 marzo 2006. «Non so cosa mi ha preso: disegno tutto il giorno», scrive Antoine de Saint-Exupéry alla madre, che è pittrice: «ho scoperto per cosa ero fatto»
Il taccuino segreto del Piccolo Principe. La Repubblica 21 marzo 2006. «Non so cosa mi ha preso: disegno tutto il giorno», scrive Antoine de Saint-Exupéry alla madre, che è pittrice: «ho scoperto per cosa ero fatto». Saint-Exupéry disegnava costantemente; e spesso piccoli personaggi infantili e lunari. Con la serietà dell’ infanzia e già minati dalla solitudine, sospesi sul cerchio dell’ orizzonte ridicolo di un pianeta minimo, circondati da fiori-stella o coronati da cappelli a punta, affiorano nelle lettere alle amiche del cuore o nelle dediche ai compagni, gli eroici pionieri dell’ Aviazione. Oppure spuntano a sorpresa tra ridicoli mondani con la canna e gli occhi sorpresi, o tra signorine degli anni Trenta, adorabili corpi svestiti o raccolti da un accenno di abito, con rapide zazzere foriere di una testa più nota, quella del principino più famoso del Novecento. Il Piccolo Principe ha sessant’ anni, e la casa editrice Gallimard, che lo ha pubblicato nel 1946, tre anni dopo l’ edizione di New-York, lo festeggia con un grande album che raccoglie tutti i disegni ritrovati di Saint-Ex, per lo più inediti. Dessins, a cura di Delphine Lacroix e Alban Cerisier, e l’ introduzione di uno dei grandi specialisti dello scrittore, il giapponese Hayaho Miyazaki (pp. 328, € 42) sarà in libreria ad aprile. Fu a Casablanca che Saint-Ex scrisse quella lettera alla madre, e cominciò a ritrarre i compagni del 37° reggimento d’ aviazione; disegni pieni di chiaroscuri soffusi di noia e di sentimento. Sono ufficiali con occhiali e casco nella carlinga, o meccanici pensosi con la pipa; o un altro, «l’ angelo con l’ aria di un forzato, l’ amico Renaudin (pilota)», e la nota: «si è ucciso nel ’21». La baracca-dormitorio, vuota; i piloti che giocano a carte o con un mandolino improvvisato. La curatrice Delphine Lacroix, in un bel saggio, sottolinea il realismo dei ritratti dei compagni d’ aviazione; esilaranti, invece, gli schizzi mondani. Tra i personaggi raccolti da fogli volanti - rovesci di fatture, tovaglioli, bordi di lettere, di manoscritti o di menù, - c’ è un uomo in smoking, piccolo naso tondo da bulldog: un autoritratto, si direbbe. La leggenda infatti recita: «La mia anima, i giorni di pioggia». Saint-Ex poteva essere divertentissimo, ma a volte si ritraeva, e del resto arrossiva spesso, come stesse tra gli uomini per una temporanea e misteriosa avaria. Così, gli schizzi mondani sono caricature; signori in polpe settecentesche tradotte in rigide modanature anni Trenta, qualche dama in carne con la bocca a cuore, e tante signorine, adorabili o ansiose. Ci sono quaderni infantili; ma i tratti pesanti di uomini maturi si profilano su una minuscola agenda in date postume, dicembre 1944. Se ritrae gli amici, Saint-Exupéry, che è sentimentale e soffuso negli acquarelli e nei carboncini, si fa agro e divertito nelle matite e nelle chine: come per il compagno di studi alle Belle Arti Bernard Lamotte, ritrovato a New-York, e che illustrerà Pilote de guerre. Saint-Ex lo ritrae al cavalletto, "lanciato" su Flight to Arras (Pilote de guerre in America), una bottiglia vuota a terra. Annota Saint-Ex accanto a una caricatura dell’ amico del ’ 42: «quando si esce sconfitti, si va da Lamotte, il cuore in bocca, ci si mangia su un piede solo e si esce con lo stomaco nei talloni». In effetti, l’ incontro a N.Y. era andato così. Saint-Ex aveva rivisto il vecchio compagno di studi solo una volta, nel ’ 37, a New York, quando si curava per l’ incidente del Guatemala - il più grave, anche se si era già fratturato il cranio a Le Bourget nel ’ 22, e nel ’ 35 aveva fatto un atterraggio di fortuna nel deserto libico. Una domenica del gennaio ’ 41, Saint-Ex non aveva niente da fare; battersi era inutile, pensava, finché l’ America non entrava in guerra: solo gli Usa potevano vincere (e il costo per la civiltà europea, ne era sicuro, sarebbe stato alto). Era con Jean Renoir, il regista della Grande illusione. Andiamo a fare una sorpresa a Lamotte, propose Saint-Ex. «Who is it?», rispose Lamotte al citofono. «C’ est moi», rispose Antoine. Silenzio. «C’ è anche Jean», aggiunse Saint-Ex, come fosse una spiegazione. «Ah, salite», concesse a ogni buon conto Lamotte. Ma sì, era proprio "Toi-toine"! e "Jean" era nientemeno il famoso regista. Mentre i due intrusi osservavano New York dalla terrazza, Lamotte era sceso a prendere qualcosa da mangiare; quanti siete, gli chiesero. «Due e mezzo» (Lamotte era piccolo). Da allora si erano visti quasi tutti i giorni. E quando Lamotte gli rimproverava l’ inverosimiglianza dei disegni del Piccolo Principe, Saint-Ex protestava. Il pianeta assediato dai baobab, per esempio: «E’ un miracolo», diceva. «Se fosse un testo, lo correggerei, perché è il mio mestiere. Ma questo, è un miracolo». I manoscritti di quell’ epoca - Pilote de guerre e Cittadelle - sono infatti ormai costellati di pupazzetti con cui si entra nella gestazione del Piccolo Principe. Goffi bambini si affacciano tra le righe di testo o in un reticolo di cifre - ma c’ è perfino, sempre inedita, una testa di Karl Marx. Accanto a carte aeree, di Istanbul o di Brindisi, contegnosi bambini alati guardano le righe destinate a altri amici, Henri Guillaumet, l’ eroico pilota, o Léon Werth, a cui il Piccolo Principe sarà dedicato; o alle amanti di New York, Sylvia Reynardt e Nathalie Paley, parente degli zar. Al suo traduttore americano, Lewis Galantière, con cui si accalorava in epici litigi - perlopiù perché Galantière si rifiutava di apporre tagli al testo in inglese -, Saint-Ex regalò due splendidi acquarelli: il piccolo principe sul pianeta invaso da un baobab, e in piedi, un po’ accigliato, davanti a una vaporosissima rosa. E’ il 1942, Lewis Galantière è in ospedale, in coma per un incidente aereo - è andato a combattere in Algeria; al risveglio, vedrà in anteprima il piccolo personaggio, che non è ancora ufficialmente nato. Nell’ unico manoscritto conosciuto del Piccolo Principe, conservato a New York alla Morgan Library, compaiono figure poi scomparse nel testo definitivo, come il cacciatore di farfalle, vecchino col cappello di paglia e retina, che, nell’ universo minuscolo del piccolo pianeta, corre fra stelle, farfalle e fiori mescolati. Si sa del resto come era nato il Piccolo Principe. Nel 1942, Saint-Ex disegnava sulla tovaglia bianca, in un ristorante di New York, sorvegliato severamente dal cameriere. Cos’ è, aveva chiesto l’ editore Hitchcock. «Un bambino che porto nel cuore», rispose Antoine. Facciamone un libro per l’ infanzia, propose l’ editore. Saint-Ex si mise a lavorare; buttava centinaia di prove. Grosso e calvo, con le dita precise da meccanico si applicava coi pennelli "puerili", la lingua di lato per non "uscire" dal disegno. L’ amico Denis de Rougemont doveva posare ventre a terra e gambe per aria. Schizzi e acquarelli sono a volte inviati agli amici: a uno aggiunge - e sembra una stoccata-: «ho aggiunto qualche capello». Un bambino tra quattro stelle è per Nelly de Vogué, l’ amica che lo ha «un tempo salvato. Non posso disegnare senza pensare cosa ne penserai». Ma tra tutti i disegni, salta al cuore, pensando al Lightning su cui lo scrittore scomparve in mare nel ’ 44, un acquerello del 1913 in cui «un aereo affonda nell’ acqua al crepuscolo», replicandosi nel riflesso con le sue inutili eliche da libellula. Daria Galateria