Gaetano Afeltra Corriere della Sera, 20/02/2002, 20 febbraio 2002
Punta secca, Corriere della Sera, mercoledì 20 febbraio 2002 Un ricordo dei primi anni del mio ingresso al ”Corriere”
Punta secca, Corriere della Sera, mercoledì 20 febbraio 2002 Un ricordo dei primi anni del mio ingresso al ”Corriere”. Il direttore era Aldo Borelli (fu direttore dal 1929 al ’43), non firmò mai articoli (se non con le eccezioni che dirò), anzi evitò fin che fu possibile di aprire il giornale con un fondo, sostituendolo con un pezzo datato, cioè con un ”servizio”. Del resto, come poteva esserci un fondo, un editoriale che esprimesse un’opinione, una linea politica della direzione, durante il regime? I soli commenti alle vicende interne e internazionali toccavano alla radio, a quelle trasmissioni che si intitolavano appunto ”Commenti ai fatti del giorno” e che davano il la ufficiale alla stampa (iniziatesi con Roberto Forges Davanzati, vi si alternarono Valori, Casini, Appelius, Ansaldo e raramente qualche altro). Comunque il fondo per eccellenza, in casi straordinari era quello di Mussolini, che compariva senza firma sul ”Popolo d’Italia” e veniva ripreso reverentemente da tutti gli altri giornali, che lo pubblicavano con caratteri di corpo maggiore di quelli usati per gli altri articoli. Rimasero famosi alcuni fondi e alcuni titoli: ”Guadalajara”, ”Crisi nel sistema o del sistema?”. Negli anni di guerra, quando ormai non ci si poteva più fare illusioni sull’andamento del conflitto, a Roma cominciò a circolare la famosa battuta del «chi si firma è perduto» che parodiava ferocemente un detto mussoliniano. Mussolini se ne inviperì e ordinò a tutti i direttori di quotidiani di esporsi in prima persona con articoli firmati. Borelli, disperato, pregò Vergani, che malgrado i suoi rapporti personali con Ciano aveva mantenuto un atteggiamento abbastanza libero verso il fascismo, di scrivere alcuni fondi anonimi, quindi intesi come editoriali, richiamandosi in questo modo alla vecchia tradizione albertiniana. Ma l’espediente non funzionò. Il ministro della Cultura popolare disse chiaramente che il duce voleva, sotto l’articolo di fondo, nome e cognome. Così Borelli fu obbligato, il 7 luglio 1943, a firmare un articolo di prima pagina intitolato ”L’idea base”, poi l’11 luglio, un secondo ”Con fermezza virile”. E, alla stretta finale, alternati a questi suoi interventi forzosi, apparvero pezzi di Vergani, Valori, perfino di Salvatore Aponte, chiamato di rinforzo. Il povero Borelli, in questo caso si può chiamarlo «povero!», venne dunque condotto al macello riluttante: la sua prima firma, come ho detto, comparve il 7 luglio 1943 e diciotto giorni dopo Mussolini cadeva. Questa è la vicenda delle due firme di Aldo Borelli; apparse in prima pagina sul ”Corriere” nel mese dell’agonia del fascismo (luglio 1943), che ha solo il sapore di un aneddoto storico accaduto per reazione alla famosa ”battuta” di Vincenzino Talarico «chi si firma è perduto». Gaetano Afeltra