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 2001  dicembre 20 Giovedì calendario

John Forbes Nash rivoluzionò la teoria delle probabilità e, con la sua strategia dell’equilibrio, si evitò un disastro nucleare, Corriere della Sera, giovedì 20 dicembre 2001 La parabola scientifica e umana di John Forbes Nash, uno dei massimi matematici viventi, e forse di ogni tempo, è stata riassunta da Oliver Sachs, il noto psichiatra americano, con l’espressione «genio e schizofrenia»

John Forbes Nash rivoluzionò la teoria delle probabilità e, con la sua strategia dell’equilibrio, si evitò un disastro nucleare, Corriere della Sera, giovedì 20 dicembre 2001 La parabola scientifica e umana di John Forbes Nash, uno dei massimi matematici viventi, e forse di ogni tempo, è stata riassunta da Oliver Sachs, il noto psichiatra americano, con l’espressione «genio e schizofrenia». Due date fissano questa parabola. L’inizio della fase ascendente è il 16 novembre 1949, quando Nash, allora appena ventunenne, pubblica negli atti della National Academy of Sciences un lavoro di una smilza paginetta, senza nemmeno una formula matematica, rivoluzionando la teoria dei giochi e, di conseguenza, parte delle scienze economiche, la teoria delle decisioni razionali e perfino, a tempo debito, la teoria dell’evoluzione biologica. Assai tardivamente, nel 1994, i frutti di quella paginetta gli varranno il Premio Nobel per l’economia, unitamente all’ungherese-americano John Harsany e al tedesco Reinhart Selten. Nel frattempo, aveva ricevuto, nel 1958, la Medaglia Fields (l’equivalente del Nobel nel mondo dei matematici) e, più mondanamente, in quello stesso anno, gli era stato consacrato un panegirico in ”Forbes”, ago della bilancia nell’universo del business e della finanza. L’inizio della fase discendente, che lo porterà al ricovero in un’istituzione psichiatrica, è una mattina di dicembre del ’59, quando entrò nella sala di lettura del dipartimento di matematica del MIT sbandierando il ”New York Times” e lasciando i suoi colleghi sbigottiti con l’affermazione che l’articolo di spalla della prima pagina era un messaggio cifrato proveniente da un impero extra-terrestre, che lui avrebbe decifrato senza problemi. La singolare vita e la luminosa opera di questa bella mente sono ricostruite nella biografia di Sylvia Nasar (A Beautiful Mind, Simon & Schuster, 1998), e nel film dallo stesso titolo che da essa è stato, assai liberamente, tratto. Nash, oggi ultra-settantenne e da anni tornato ad un’esistenza normale e produttiva a Princeton, non ha mai dato il consenso a che libro e film venissero realizzati né ha mai minimamente partecipato alla loro stesura. Come giustamente sottolinea il noto matematico e divulgatore John Milnor in una esauriente recensione, il dubbio morale se sia stato legittimo ignorare il veto pesa interamente sulle spalle della Nasar e di Ron Howard, il regista dell’imminente film. Il commosso affetto, pieno di ammirazione, che pervade il libro e le iperboli sulla genialità di Nash, svelate dagli spezzoni del film, forse possono far perdonare tanto arbitrio. Ma veniamo al nocciolo duro della vicenda. Che cosa ha veramente scoperto questo genio matematico? Il regista Howard, in una recente intervista, confessa di avere rinunciato, nel film, perfino a tentare di spiegare l’idea centrale che ha reso Nash famoso. Come legioni di studenti di economia ben sanno, è tutt’altro che facile raccontarlo semplicemente e in poche battute, soprattutto sul grande schermo. Eppure esiste un consenso, tra gli esperti della materia, che nessuna persona di buona cultura scientifica, o addirittura di buona cultura tout court, può oggi permettersi di ignorare del tutto il concetto di un «equilibrio alla Nash». Forse il modo migliore per spiegare questo concetto è proprio la strategia adottata da Nash, nel suo brevissimo articolo del 1949. Come vedremo tra un momento, si trattava di fondere intimamente due idee, a prima vista, assai lontane: quella di un «punto fisso» in una trasformazione di coordinate, e quella della strategia più razionale che un giocatore può adottare, quando compete con un avversario anch’esso razionale. Immaginiamo una lotteria con un milione di biglietti, uno solo dei quali sarà vincente. Se distribuiamo le probabilità di vincere sui singoli biglietti, e tracciamo la relativa curva di probabilità, biglietto per biglietto, da uno a un milione, ovviamente, abbiamo una riga piatta: ogni biglietto ha la stessa probabilità di uno su un milione. Se, però, consideriamo che Rossi ha comprato dieci biglietti, Bianchi venti, il collettivo del quartiere Verdi ne ha comprati cento, e così via, la distribuzione della probabilità, calcolata, ora, per i possessori dei diversi mazzi di biglietti, diventa tutt’altro che piatta e uniforme. Ci saranno gobbe, gobbette e gobbone. Chi possiede più biglietti ha maggiore probabilità di vincere. Ma alcuni dati (alcune ”misure” su queste due ”distribuzioni” di probabilità, come si direbbe in gergo) restano identici. Per esempio, (detto in soldoni) il prezzo di ogni singolo biglietto, e la posta in gioco, restano identici. Il teorema menzionato da Nash nel suo breve articolo (teorema di Brouwer-Kakutani), già vecchio di alcuni anni nel ’49, assicurava che almeno un «punto fisso» in simili trasformazioni di probabilità esiste sempre, anche quando esse sono molto più complicate. Abbiamo, così, grosso modo, una delle due gambe sulle quali cammina la scoperta di Nash. Per darci un’idea anche della seconda, pensiamo ad una partita di poker molto semplificata (per maggiore chiarezza). I giocatori sono due soli (il Signor Uno e il Signor Due), giocano ogni mossa simultaneamente, non uno dopo l’altro, e sia Uno che Due possono solo rilanciare, o andare a ”vedere””. Naturalmente ciascuno conosce solo le carte che ha in mano, ma non quelle dell’avversario. Immaginiamo che Uno, fatti tutti i suoi calcoli, stimi che Due rilancerà (tanto per fissarci le idee) con una probabiità del 40 per cento e andrà, invece, a vedere con una probabilità del 60 per cento. Due, dal canto suo, calcola, per la mossa di Uno, le probabilità rispettive (sempre per fissarci le idee) al 70 per cento e al 30 per cento. Immaginiamo anche che le poste in gioco siano palesemente note ad ambedue, cioè ciascuno sa quanto perderebbe o vincerebbe, e quanto perderebbe o vincerebbe l’avversario, per ciascuna delle quattro situazioni possibili (ambedue rilanciano, Uno rilancia e Due vede, Due rilancia e Uno vede, e così via). Occorre adesso immaginare che la partita tra Uno e Due non si esaurisca con la loro prossima mossa, ma prosegua nel tempo, mossa dopo mossa, per molte mosse. Ciascun giocatore ri-calcola ogni volta le probabilità della mossa successiva dell’altro, osservando le precedenti mosse, sue e dell’avversario. Si comincia a disegnare progressivamente, per ciascun giocatore, una strategia. Ma le strategie possibili sono tante. Qual è la migliore, la più razionale? E soprattutto, esiste una tale strategia, più razionale di ogni altra? La scoperta di Nash è che tale strategia esiste sempre. Si chiama, appunto, un equilibrio alla Nash. In parole povere: la strategia di Uno e quella di Due possono convergere in un «punto fisso», possono trovare un equilibrio. Se (sottolineiamo il se) lo trovano, allora nessuno dei due ha interesse a discostarsi, da solo, per conto suo, da quel punto di equilibrio. Infatti, Nash ci insegna che tale punto di equilibrio è l’unico che garantisce ad entrambi il miglior guadagno possibile nel peggiore dei casi. Ma non si cerchi sull’elenco di Princeton il numero di telefono di Nash, per farsi indicare qual è la strategia migliore, cioè dove si nasconde l’equilibrio. Né lui, né centinaia di suoi insigni colleghi in cattedra, ai quattro angoli del mondo, possono dircelo in generale. Hanno quelle cattedre per aver scovato brillanti equilibri a certi giochi particolari, molti dei quali di grande interesse applicativo. Ma non esiste un metodo infallibile per trovare sempre la soluzione a qualsiasi gioco. Si sa solo, grazie a Nash, e indirettamente grazie a Brouwer e Kakutani, che essa esiste sempre, ma, come l’Araba Fenice, dove sia, molto spesso, nessun lo sa. Un’ultima chiosa a questo concetto, tanto fondamentale, di Nash. Supponiamo che uno dei due giocatori sappia con assoluta certezza (e non solo per complicata supposizione), che l’altro giocherà la strategia di equilibrio (magari ha una spia fidata nell’altro campo). Ebbene, in tal caso, niente cambia. Anche lui giocherà esattamente la corrispondente strategia di equilibrio. Aggiungiamo che questa inutilità della ”spiata”, questa costanza di scelta, vale solo per le strategie di equilibrio. In genere, se uno sapesse esattamente quale strategia sceglie l’avversario, ne potrebbe approfittare a proprio vantaggio. Ma questo non è il caso, se si tratta della strategia di equilibrio. Il bello di un equilibrio alla Nash, la purezza matematica del concetto, è, proprio, che nessun vantaggio può mai essere tratto da nessun giocatore, cambiando egoisticamente strategia, se tutti gli altri giocano in equilibrio. Molto spesso, sia nei giochi dei matematici e degli economisti che nella vita reale, tutti i giocatori possono essere avvantaggiati, se tutti giocano una strategia, diversa (si noti) da quella dell’equilibrio alla Nash. Il guaio è che, in tal caso, bisogna potersi fidare. La razionalità non basta più. Si esce dall’equilibrio e si entra nel regno malcerto della fiducia e della speranza. Vi sono giochi nei quali, se tutti cooperano, rinunciando a scegliere l’equilibrio, allora tutti stanno meglio. Intendo dire meglio in assoluto, non solo meglio nel peggiore dei casi. Ma, in tali giochi, se non tutti cooperano, il giocatore generoso e ingenuo, che ha rinunciato a scegliere l’equilibrio, si troverà assai peggio che se avesse scelto la strategia di equilibrio. Poco stupisce che, come è accentuato nel film, Nash e molti suoi colleghi abbiano lavorato per il Dipartimento della Difesa, all’epoca della guerra fredda. Mister Uno erano gli Stati Uniti, e Mister Due l’Unione Sovietica. E nessuno si fidava dell’altro. è miracoloso che si sia davvero trovato un equilibrio e che si sia evitato l’olocausto nucleare. Le migliaia di miliardi sprecati in armamenti sono, appunto, la differenza tra l’ottimo in assoluto, e la strategia di equilibrio alla Nash. Massimo Piattelli Palmarini