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 2002  febbraio 26 Martedì calendario

I girotondi troppo gentili, La Stampa, martedì 26 febbraio 2002 Oreste Scalzone, uno che di scontri di piazza se ne intende, rassicura il Guardasigilli: «Il ministro Castelli può stare tranquillo, i precedenti storici che ha invocato sono fuori luogo: il ’68 non reclamava la galera per nessuno, il movimento del ’77 e le Br non avrebbero mai scelto come capofila un Procuratore della Repubblica

I girotondi troppo gentili, La Stampa, martedì 26 febbraio 2002 Oreste Scalzone, uno che di scontri di piazza se ne intende, rassicura il Guardasigilli: «Il ministro Castelli può stare tranquillo, i precedenti storici che ha invocato sono fuori luogo: il ’68 non reclamava la galera per nessuno, il movimento del ’77 e le Br non avrebbero mai scelto come capofila un Procuratore della Repubblica...». Il sospetto di Scalzone, semmai, è un altro: «Il movimento dei girotondi si presenta in modo gentile, ma con buona pace del mio vecchio compagno Pardi, rischia di avere un esito sinistro: gli slogan sulla democrazia corrotta, sul popolo bue e sugli uomini della Provvidenza mi ricordano molto Prezzolini, D’Annunzio, il protofascismo. L’ho detto anche a D’Alema, una settimana fa qui a Parigi...». Oratore torrenziale negli anni delle assemblee sessantottine, tra i fondatori di Potere operaio, poi in Autonomia, arrestato nel 1979, scarcerato, condannato e ”rifugiato” a Parigi, Scalzone conosce come pochi i meccanismi della violenza di gruppo e in questi anni si è tenuto aggiornatissimo sulla politica italiana. Scalzone, non le pare che qualcosa di sessantottino nei ”girotondini” ci sia? «No. Il Sessantotto, con tutti i suoi malintesi, era portatore di passione, di libertà. Nei movimenti nati in questi giorni vedo altro: tutto si esaurisce nell’ossessione di colpire qualcuno». La provocazione di Castelli potrà apparire eccessiva, ma la sicumera di certe espressioni e di certe ossessioni di questo nuovo movimentismo non le ricorda proprio le violenze parolaie della sua generazione? «No. Mai la stampa gauchista in Italia era arrivata a toni così isterici nei confronti dei nemici politici». Scusi, ma ai suoi tempi, in alcuni casi non si preferiva la cancellazione fisica degli avversari? «Provi a rileggere le risoluzioni strategiche delle Br: lì non si parla mai di ”illegittimità” di chi sta al governo. E invece in questi giorni si è arrivati a delegittimare persino il risultato elettorale. Non credo che qualcuno abbia pensato di far cadere il governo Berlusconi, sperando che potessero cadere sul campo quindici Carlo Giuliani. Ma a certi ragionamenti bisogna stare molto attenti». Proprio per quello che dice, è così sicuro che qualche analogia di linguaggio, non ci sia tra loro e voi? «Le analogie sono soltanto superficiali. In questo movimento c’è un’ossessione per le manette che non c’è mai stata nel passato. Non parliamo del Sessantotto che era a suo modo innocente. Ma anche dopo nessuno ha fatto della galera un programma politico». Certo, nel 1968 o nel 1977 la sinistra extraparlamentare non si sarebbe mai sognata di fare cortei a favore di un pezzo dello Stato come la magistratura... «Certo che no. Ma le dirò di più. C’era uno slogan degli Anni Settanta che diceva così: ”Fuori i compagni dalle galere, dentro i fascisti e le camicie nere!”. A noi di Potere operaio quello slogan non piaceva perché, in una logica un po’ stalinoide, pensavamo che con i fascisti ce la vedevamo noi e pensavamo che la galera non si augura neppure al peggior nemico». E quanto meno nella forma di protesta, i girotondi, non le pare che il precedente più calzante sia quello dei radicali? «Il movimento dei girotondi si presenta gentile e le intenzioni, forse, lo sono. Ma gli scherzi, a volte, finiscono in modo sinistro. Lo dico con dolore, pensando ad un amico come Pardi, sicuramente in buona fede». In modo sinistro? Ma allora dà ragione al ministro Castelli? «No. Il rischio di questo movimento non è il gauchismo. Il rischio viene da quegli intellettuali borghesi che per decenni l’hanno fatta da padroni nelle Università, nei media, nel mondo del cinema e che ora sentono traballare la propria egemonia intellettuale. E allora agitano come uno straccio il loro problema, dimenticando il male di vivere di tanta povera gente e tentando di ipnotizzare tutti con una nuova ossessione, quella di Berlusconi». Fabio Martini