Claudio Rinaldi la Repubblica, 23/02/2002, 23 febbraio 2002
Quella parata dei musi lunghi della sinistra, la Repubblica, sabato 23 febbraio 2002 Sul ”Corriere della sera” Ernesto Galli della Loggia divide in due categorie gli intellettuali di sinistra: i «puri e duri», i «tiepidi»
Quella parata dei musi lunghi della sinistra, la Repubblica, sabato 23 febbraio 2002 Sul ”Corriere della sera” Ernesto Galli della Loggia divide in due categorie gli intellettuali di sinistra: i «puri e duri», i «tiepidi». Angelo Panebianco distingue fra «moralisti» e «lucidi», altri fra «apocalittici» e «riformisti». Sullo sfondo il contrasto fra due anime dei Ds, una che guarda al conservatore Sergio Cofferati, una a Massimo D’Alema l’innovatore. Ma sono rappresentazioni fuorvianti. Cofferati non è un relitto del passato, né D’Alema un profeta. A una vera rottura del resto non arrivano. Sono due facce di una stessa «sinistra allo sbando», per dirla con Panebianco. La crisi della sinistra, dell’intero Ulivo non è soltanto nella lotta fra due linee, fra un Cofferati aspro con Silvio Berlusconi e un D’Alema dolce, in mezzo Piero Fassino che non sceglie. Il problema è più profondo, e coinvolge tutto il vertice del centro-sinistra: capi e capetti che si autodefiniscono «personalità», anzi «ricchezza della coalizione», e invece si fanno dire da Nanni Moretti che non vinceranno mai. Il problema è la noia. La noia che il gruppo dirigente dell’Ulivo ingenera nel proprio stesso popolo, e a maggior ragione nell’insieme degli italiani. Questa noia è il miglior alleato di Berlusconi. Più il tempo passa, meno i segretari & affini riescono a rendersi interessanti. Emblematica l’ultima performance di D’Alema al Maurizio Costanzo show, con l’audience crollata all’11 per cento. La noia che circonda l’Ulivo ha un’origine precisa. Lo stato maggiore ulivista è rimasto ancorato a una concezione vecchia, pre-televisiva della politica. Generali e colonnelli, benché catechizzati dal medesimo Costanzo oltre che da costosi guru americani, sono incapaci non tanto di parlare quanto di pensare e agire in termini adatti alla civiltà dei mass media. Hanno imparato a fissare le telecamere se intervistati, a non grattarsi il naso; poco altro. Per questo stentano sia a capire la gente sia a farsene capire. La tv oggi plasma la mentalità collettiva, e impone a chi voglia issarsi su un palcoscenico poche essenziali regole. La prima è, appunto, evitare la noia come la peste: al minimo sbadiglio gli spettatori cambiano canale. Ogni uomo di tv conosce gli accorgimenti per tenere lontana la noia. Berlusconi li ha nel sangue, perché la tv commerciale l’ha creata. I suoi avversari, «indignati» o «realisti» che siano, non torneranno competitivi finché non li faranno propri. Parliamoci chiaro. Nell’epoca della tv i cittadini sono sensibili ai messaggi semplici, chiari, univoci. Non è questione di linguaggio, ma di contenuti. La cerebralità è un handicap. Gli eccessi di problematicismo stancano. difficile prestare ascolto a partiti che non dicono con sicurezza se Bettino Craxi fu un ladro o uno statista. La comunicazione dev’essere limpida, anche a costo di deformare la realtà. Repetita juvant. Nelle forzature Berlusconi è un maestro. Quando ha un’idea ne fa uno slogan, e lo ripete a oltranza. Sa che nella società della tv la ripetitività è un valore: non annoia, piuttosto rassicura e suscita attese. Quasi mai un programma ha successo se è un unicum. Una politica che non si traduce in slogan reiterabili è una politica barbosa. Il che non esclude che a volte si cambi musica: il telecomando è educazione permanente alla flessibilità; guai se ci si ingabbia in uno schematismo da imbranati. Prodotti genuini. Proprio perché immerso nella serialità, il pubblico della tv ha bisogno di sorprese. Berlusconi gliene dà. Le corna al ministro degli Esteri spagnolo non sono una gaffe; dimostrano che il premier italiano non si fa intrappolare dalle liturgie della diplomazia, è vitale e senza complessi. Anche la genuinità è un valore imposto dalla tv. Chi non appare spontaneo non piace. Chi dice bestialità in diretta, purché sembri crederci, viene perdonato. Delle cosiddette personalità del centro-sinistra non si ricorda una sola degna improvvisazione: una battuta folgorante, una gag. Costruire eventi. Anche nella campagna del 2001 l’Ulivo è stato incapace di una trovata brillante che fosse una. Il Cavaliere ne ha avute quattro: i mega-poster, il piano di opere pubbliche alla lavagna, la firma del contratto con gli elettori, il libro auto-celebrativo spedito nelle case. Costruiva eventi, come la cultura della tv esige. Di qua o di là. Altra quotidiana forzatura di Berlusconi è il manicheismo, la divisione drastica del mondo in buoni (quasi tutti) e cattivi (pochissimi: le sinistre, le toghe rosse). lo schema di qualsiasi telenovela. I cattivi vanno bastonati sempre e dappertutto. Nessuno strapperà mai a Berlusconi una parola di elogio per gli avversari; semmai insulti. I capi ulivisti invece sono impantanati nella ricerca di dialoghi con la destra. Spesso vagheggiano soluzioni bipartisan. Ignorando che le mitiche socialdemocrazie europee non le praticano, se non in casi eccezionali. Licenza di mentire. Berlusconi racconta balle con disinvoltura. Il buco scavato dall’Ulivo nei conti pubblici, i mass media dominati dalle sinistre sono pure invenzioni. Ma già per Lenin, osserva Piero Ignazi in ”Italianieuropei”, «una bugia ripetuta cento volte diventa una verità»: tanto più oggi che i modi di diffusione sono un’infinità. E le bugie non scandalizzano, perché la civiltà del video ne è intrisa. I creduloni abboccano, gli smaliziati si divertono; tutti stanno al gioco. La verità è un optional. Ciò non significa che l’Ulivo debba spararle più grosse del Cavaliere. Chi si fossilizza nella denuncia delle altrui menzogne, però, alla lunga viene bollato come pedante. Stufa. Dall’Italia con calore. Nella scorsa legislatura l’Ulivo discettò continuamente di riforme costituzionali, tema non digeribile dalle masse. Fu un errore, dovuto al solito approccio pre-televisivo: la gente vuole che la politica si occupi di lei, che si concentri su problemi concreti, caldi, vicini, come fanno o fingono di fare le star della tv. Oggi va ancora peggio. L’Ulivo, dimenticati i cittadini, parla soltanto di sé e dei propri assetti. Partito unico o federazione? Una gamba, due gambe o centomila? Il bla bla sul partito socialdemocratico o sulla «sinistra più forte in un più forte Ulivo» è insopportabile. Berlusconi non affligge gli elettori con discorsi sugli ”interna corporis” del Polo. Sotto l’Ulivo anche le rare indicazioni di contenuto, tipo «coniugare modernità e diritti», suonano fredde e lontane. Idem le prediche sull’Europa: alzi la mano chi sta ad ascoltarle. Viva la gente. Berlusconi rifugge dal politichese. Se affronta temi da addetti ai lavori, come la giustizia, lo fa attraverso riuscite favole: si traveste da agnello e grida al lupo. Ma il grosso di sé finge di dedicarlo alle questioni che la gente sente: tasse, pensioni, lavoro, sicurezza, perfino le puttane sui marciapiedi. E lo fa da amico, da incarnazione dell’uomo medio di buona volontà. Non sale in cattedra, non fa pesare sugli interlocutori la teoria della politica come «ramo specialistico delle professioni intellettuali» (D’Alema a Gargonza, ’97): preferisce le barzellette, gli scherzi sulle renne finlandesi. Per lui i clienti-elettori sono sacri. Non li spaventa, come la sinistra quando annuncia ai lavoratori che l’epoca del posto fisso è finita. Li blandisce. Promette ciò che non potrà mantenere mai, okay. Ma impegnarsi ad abbassare il carico fiscale è sempre meglio che scantonare. Dare l’aumento a un solo pensionato su quattro è meglio che non darlo a nessuno. Allegria! L’immortale proclama di Mike Bongiorno definisce lo stile dei tempi. Qualsiasi agire pubblico ormai è anche esibizione di ottimismo. «Io penso positivo». I conduttori della tv sorridono; danno la massima importanza a ciò che fanno (ogni banalità è esaltata come «straordinaria»); esaltano la loro squadra, non criticano ”coram populo” registi e autori con la voluttà con cui Ds e Margherita si attaccano a vicenda. Berlusconi sorride. Sforna chiacchiere da bar sport, ma diverte o almeno rilassa. Nel ’96 fece una campagna rancorosa, livida, e perse: imparata la lezione, ha vinto. Oggi la lotta è impari. Il centro-sinistra è una parata di sguardi dolenti, fronti corrugate, musi lunghi. Si pensi ai big della Quercia, Fassino, D’Alema, Luciano Violante, Gavino Angius: quale italiano che non sia ultra-politicizzato può aver voglia di invitarli a una festicciola? Perfino Francesco Rutelli, già piacione, si sta incupendo. Amici ulivisti, cambiate. Fatevi furbi. Organizzatevi, scannatevi e poi riappacificatevi, ma smettetela di parlarne in pubblico. E soprattutto sorridete. In nome di Dio, sorridete. Claudio Rinaldi