Varie, 21 marzo 2006
Tags : Kevin Phillips
Phillips Kevin
• 30 novembre 1940. Storico. Politologo • «Nel 1969, all’apice del liberalismo [...] pubblicò un libro profetico, che l’America accolse tuttavia scetticamente: The Emerging Republican Majority, ”L’emergente maggioranza repubblicana”. Phillips, allora un giovane stratega elettorale della destra, teorizzò che il flusso di uomini e di risorse in corso dal Nord industriale alla ”cintura della Bibbia”, il Sud e il West conservatori, avrebbe privato i democratici del potere. Argomentò anche che i nuovi repubblicani avrebbero dato prosperità e ordine al Paese dilaniato dalla guerra del Vietnam, dal movimento dei diritti civili, dagli omicidi politici. Lo contestarono soprattutto i liberal, ma la storia dimostrò che Phillips aveva visto giusto. A quasi 40 anni di distanza, lo storico e politologo ha però pubblicato un libro che è una bruciante accusa al suo partito: The American Theocracy, ”La teocrazia americana”. Oggi Phillips vede nei repubblicani non più un fattore di stabilità, ma di estremismo ideologico e disastro economico. Tre forze, ammonisce, hanno snaturato il repubblicanesimo: il fondamentalismo religioso, l’ossessione del petrolio e la malattia del debito. Il primo ha abolito la separazione Stato-Chiesa, la seconda ha condizionato la politica estera americana, il terzo ha compromesso il futuro benessere del Paese. ” la più allarmante analisi che io abbia letto su dove siamo e dove potremmo finire” ha commentato Alan Brinkley, un altro storico. Phillips, che lavorò nell’amministrazione Nixon, e che è autore di 13 rispettati libri sull’America, aveva segnalato già il proprio dissenso dalla nuova destra in Wealth and Democracy (edito in Italia da Garzanti con il titolo Ricchezza e democrazia), aspra denuncia del divario crescente tra ricchi e poveri, e in An American Dynasty (Una dinastia americana, Garzanti), gelida critica del clan dei Bush. [...] Particolarmente spietato è il giudizio che Phillips dà dell’intrusione della religione nella politica. Al momento, tra i conservatori cristiani, sottolinea, prevalgono gli evangelici, quasi un terzo della popolazione, che credono nella supremazia dei dettami della Bibbia sullo Stato di diritto, nell’imminente ritorno di Cristo in terra e nella propria assunzione in cielo, il mito del millennio. Ma si sta espandendo anche una frangia estremista ”alla talebana”-così la definisce- che mira a opprimere la donna e a instaurare una repubblica teocratica. Il loro effetto è già avvertito dalle scienze: la biotecnologia e le ricerche sul clima vengono apertamente ostacolate, la fede soppianta la ragione, l’America ”rischia di staccarsi dall’Illuminismo”. Il governo Bush, protesta il politologo, dovrebbe contenere queste spinte, e invece le recepisce, o strumentalmente, o perché le condivide: corteggia, a suo parere, tutte le fedi ”che combattono il secolarismo liberal”. Anche l’analisi del ”petroimperialismo” americano, come lo chiama, conduce a un attacco all’amministrazione, perché è dominata, lamenta Phillips, dagli interessi petroliferi. Oggi più che mai, ”i militari americani sono una forza di protezione del petrolio” mascherata dalla dottrina della diffusione della democrazia e della libertà: lo storico ricorda che, dopo la conquista di Bagdad, i soldati Usa non difesero il Museo nazionale, che venne saccheggiato, ma il ministero del Petrolio iracheno, dove erano custoditi dati e mappe della produzione petrolifera. Infine il debito, la terza piaga americana secondo Phillips. Quello interno è di quasi novemila miliardi di dollari, oltre il 66 per cento del prodotto lordo, e sono enormemente indebitati le imprese e i cittadini. Questa irresponsabilità fiscale minaccia di fare dell’America un gigante dai piedi d’argilla. Inevitabilmente, The American Theocracy ha suscitato l’applauso della sinistra e i fischi della destra: mentre il filosofo liberal Michael Walzer vi ha riscontrato ”un motivo di profonda riflessione”, il guru repubblicano Bill Bennett, ex ministro dell’Istruzione, autore de Il libro delle virtù, l’ha liquidato come ”un assalto ai valori americani”. Ma la pubblicazione del saggio ha aperto un dibattito sulla rivoluzione culturale in atto in America che potrebbe ripercuotersi sulle elezioni parlamentari di novembre. Per i leader repubblicani del Congresso e per gli esponenti dell’amministrazione, Phillips è un disfattista, se non anche un apostata. Ma Phillips non è isolato, altri ideologi della destra come Francis Fukuyama hanno espresso pubblicamente il proprio disagio. [...]» (Ennio Caretto, ”Corriere della Sera” 21/3/2006).