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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

Gli alieni dello sport, La Stampa, giovedì 7 marzo 2002 Il Chievo è una squadra simpatica e, per me, la vedrei volentieri al vertice della classifica

Gli alieni dello sport, La Stampa, giovedì 7 marzo 2002 Il Chievo è una squadra simpatica e, per me, la vedrei volentieri al vertice della classifica. E simpatico era il giocatore Jason Mayelé che è morto in uno scontro d’auto. Dirigenti e colleghi piangono l’umanità e la «solarità» del calciatore nero, la sua giovane vita stroncata, il sogno dell’«immigrato» di lusso che dal natio Congo è andato ad arenarsi su una strada del Veneto: mentre correva allegramente agli allenamenti della sua squadra. una storia drammatica, dotata perfino di una sua estetica bellezza. Mi colpisce e commuove. Ma a un secondo pensiero, non riesco a evitare un moto di fastidio. Leggo con attenzione tra le righe, e cerco invano tra le parole dei telegiornali, che Mayelé quel giorno correva troppo, per di più sulla strada resa viscida dalla pioggia. Così, ha invaso la corsia opposta e ha provocato uno scontro frontale ammazzando una donna. Che correva con il cuore, insieme al marito, per assistere una figlia prossima alle doglie del parto. La donna si chiamava Luigina Recchia. un nome, lo concedo, che non fa titolo ma avrebbe meritato un maggiore riguardo. Mentre poche sono state le voci che si sono ricordate di lei, limitandosi a un ossequio sbrigativo e formale, sopraffatte comunque dall’enfasi prodigata sulla sorte del calciatore. E allora il fastidio si muta in sdegno e ripulsa. Perché Mayelé si è comportato come le migliaia di giovani che insanguinano le strade italiane, giocando con la propria e l’altrui vita. Come tale, offuscata la sua icona di atleta, deve essere considerato. Ha pagato con la morte la sua sconsideratezza, ma questo non lo assolve dall’essersi trascinato dietro una vittima innocente. Invece, affiora ancora una volta la sensazione che quello sportivo continui a considerarsi - a essere considerato da imprudenti zelatori - un mondo separato, sottratto alla legge e all’etica comune. Lo si avverte nel razzismo impunito che inquina gli stadi, nel teppismo che demolisce gli scompartimenti dei treni: più sottilmente, nella vergogna dei calciatori a cantare l’inno nazionale, nella disattenzione apatica o supponente per chi non indossa la maglia di un giocatore o di un tifoso. La passione sportiva, che pretende di celebrare la vita in una festa di giovinezza e di leale agonismo, rischia troppo spesso di elevare un castello di alieni inquietanti. Bisogna ricordarsene, davanti alla storia di Mayelé, al modo in cui è stata vista e raccontata. Bisogna insistere sul fatto che il rispetto e la tenerezza per il prossimo, la preoccupazione della sua incolumità, vale più - sarà concesso dirlo? - di qualsiasi gol. Se siamo convinti che lo sportivo sia soltanto una delle tante, apprezzabili accezioni di quello che chiamiamo uomo. E non viceversa. Lorenzo Mondo