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 2002  marzo 08 Venerdì calendario

Finalmente le Fs sanno quanto costa un treno, Il Sole-24 Ore, venerdì 8 marzo 2002 Ingegner Cimoli, lei firma il primo bilancio in utile del gruppo Fs

Finalmente le Fs sanno quanto costa un treno, Il Sole-24 Ore, venerdì 8 marzo 2002 Ingegner Cimoli, lei firma il primo bilancio in utile del gruppo Fs. Partiamo da questo risultato per capire il percorso di risanamento svolto e le strategie dell’azienda per i prossimi anni. «Noi avevamo avuto dal Governo, nel 1999, una direttiva che ci imponeva di portare il settore del trasporto in pareggio nel 2003 e le infrastrutture nel 2005. La prima cosa da dire è, allora, che questi traguardi noi li abbiamo raggiunti con due e quattro anni di anticipo. Questo dà il segno dello sforzo che abbiamo fatto in questi anni». Dal 2000 al 2001 avete migliorato il risultato di esercizio di 700 milioni di euro. Da dove vengono questi miglioramenti? «Siamo partiti, a fine 1996, quando abbiamo iniziato questa avventura, da un Mol (margine operativo lordo, ndr) negativo di un miliardo di euro, abbiamo oggi circa 500 milioni di Mol positivo, con un differenziale positivo che è, quindi, di 1.500 milioni ed è maturato tutto sulla gestione industriale. Dal 2000 al 2001 il risultato più brillante lo abbiamo avuto sui ricavi da traffico, che sono cresciti da 2.777 a 3.002 milioni di euro». Il dato su cui occorre lavorare ancora è il costo del lavoro. «Il costo del lavoro è sceso nel 2001 di 20 milioni di euro, da 4.668 a 4.644. Ricordo, però, che nel 1996 eravamo a 5.800 milioni. Quindi siamo scesi di 1.100 milioni in questo periodo. Il dato più significativo è però quello delle consistenze: nel 1996 avevamo 128 mila persone di media annua, nel 2001 109 mila, ma a dicembre 2001 siamo scesi a 102 mila. Se togliessimo Sita (autobus) e Grandi stazioni, e considerassimo la sola ferrovia, scenderemmo sotto i 100 mila dipendenti. Nel 2002 partiamo, dunque, da una base buona che ci consentirà di ridurre ancora i costi». Non si è ripetuto lo scambio dell’era Necci tra riduzioni di organici e aumenti in busta paga? «No, certamente. Dal 1990 al 1995, il costo del lavoro è aumentato del 6-7 per cento l’anno, dal 1996 a oggi dello 0,6-0,8 per cento l’anno, con punte dello 0,9 per cento. Qualcosa è scappato attraverso le 350 voci accessorie presenti in busta paga, ma abbiamo fatto un solo contratto e abbiamo bloccato le promozioni indiscriminate. Abbiamo fatto promozioni con grande trasparenza. Nelle Fs non si conosceva il curriculum vitae di nessuno; noi lo abbiamo ricostruito, tra l’altro, mettendo nella busta paga un questionario, per sapere che titolo di studio, che grado di scolarità avessero le persone. Abbiamo scoperto ingegneri, medici, psicologi che facevano i macchinisti. Alcuni di quei laureati li abbiamo utilizzati per il programma di addestramento dei macchinisti: conoscevano i problemi e avevano anche la scolarità». Ma meno persone non significa anche meno sicurezza? «No, non è così. Oggi le Ferrovie dello Stato sono le più sicure d’Europa. Il nostro indice è passato da 0,5 incidenti per milioni di passeggeri chilometro a 0,28. Dell’attenzione alla sicurezza abbiamo fatto un motivo prioritario della gestione, forse perché abbiamo avuto l’incidente di Piacenza appena arrivati. Quindi non mettiamo mai a rischio la sicurezza a vantaggio della riduzione dei costi o di altri fattori. Quel che sta accadendo è che adesso stiamo automatizzando l’azienda e questo consente di aumentare i livelli di sicurezza e al tempo stesso di ridurre il personale. Noi siamo oggi al passaggio che l’Olivetti ha fatto quando è passata dalla macchina da scrivere al pc». Pensate di scendere sotto la quota dei 100 mila dipendenti? «Prima avevamo eccedenze legate a un’organizzazione del passato, oggi riteniamo che sia possibile, in futuro, avere ulteriori riduzioni di organico, ma in maniera più contenuta e comunque legata all’introduzione delle tecnologie. Per fare un esempio: noi realizzeremo entro il 2005 l’automazione su 6.000 km di rete, quella fondamentale; quando questo sarà fatto, lì potremmo passare da 2 a un macchinista». Quanto pensate di poter ridurre ancora il personale? «Un 10-15 per cento in quattro anni». Una cifra tra 10 mila e 15 mila persone? «Sì». Tre anni fa delineavate una strategia che, oltre a ridurre l’organico, puntava sul taglio di un 20-25 per cento del costo unitario per recuperare competitività con le maggiori ferrovie europee. Volete ancora perseguire questo obiettivo con il prossimo contratto? «Il taglio complessivo di riduzione del costo era stato fissato dall’accordo con il sindacato al 18-20 per cento, ma il 50 per cento di quel calo veniva dalla diminuzione degli organici. L’obiettivo resta valido, agendo su due meccanismi che vanno però discussi con il sindacato: ottenere, mediante la moratoria, che gli incrementi di costo siano inferiori all’inflazione; intervenire sul contratto per garantire maggiore flessibilità e minori costi. Questo secondo meccanismo inciderà soprattutto sui nuovi assunti». Di quanto pensate di tagliare il costo unitario in quattro anni? «Ci aspettiamo un 5-6 per cento, ma questo va discusso con il sindacato. Molto dipenderà dal contratto». Che altro vi aspettate dal contratto? «Maggiore flessibilità. Il sistema delle Ferrovie era un sistema troppo rigido, incrostato: questo produce maggiori costi. Se riusciamo ad avere flessibilità, avremo minori costi, ma anche un servizio migliore alla clientela». Facciamo un passo indietro: nel percorso di risanamento, qual è stata, a suo avviso, l’azione aziendale più significativa? «La cosa più importante è stata la divisionalizzazione dell’azienda, fatta contro il parere del sindacato e della gran parte dei dirigenti. Da quel giorno l’azienda ha smesso di essere un sistema burocratico. Siamo riusciti a far gestire quell’operazione a migliaia di persone con le quali abbiamo lavorato. Abbiamo fatto corsi per migliaia di persone per spiegare la divisionalizzazione. Dal quel momento ogni struttura aziendale aveva obiettivi e risorse per raggiungerli. La societarizzazione è stata il passo successivo. Ancora oggi noi spendiamo 144 milioni di euro l’anno per la formazione». Altri fattori di svolta? «Aver dotato l’azienda di una contabilità aziendale. Non c’era alcuna contabilità industriale, allora, si andava per cassa. Oggi noi sappiamo quanto costa un treno, quanto guadagna o perde. Su questi dati si fanno ragionamenti sull’offerta e anche sulle tariffe che si potrebbero applicare. Questo vuol dire anche avere idee chiare su dove investire, quali treni comprare». Quali sono i treni a maggiore e minore redditività? «I treni a maggiore redditività sono gli Eurostar. Lì abbiamo oggi un load factor medio del 65 per cento, con punte dell’80-90 per cento sulla Roma-Milano. I treni su cui perdiamo di più sono alcuni merci, su cui adesso vedremo come modificare il servizio, come il trasporto di autoveicoli». Il nodo delle merci ha un suo peso anche sull’ipotesi di privatizzazione o di quotazione di Trenitalia. Si parla di uno scorporo della divisione Cargo per accrescere la redditività dell’azienda. «Per ora noi lavoriamo per avere dei numeri che consentano di valutare una parziale privatizzazione di tutta Trenitalia. Sono cambiate tante cose e noi pensiamo di poter trasformare anche il settore del cargo. Quindi penso che prima di portare in Borsa Trenitalia, si debba lavorare sulle merci. Anche perché, per poter portare un’azienda in Borsa, ci vuole, oltre all’assenso dell’azionista, qualche anno di bilanci positivi». Ma è privatizzabile oggi la sola area passeggeri? O è utopia? «Non è utopia, è certamente possibile privatizzare. Oggi mi sento di dire che nei prossimi tre anni sicuramente i passeggeri potrebbero, se l’azionista lo decide, essere privatizzati. Ma ripeto che per ora noi puntiamo a razionalizzare le merci». Trenitalia ha chiuso in utile il 2001? «Sì, hanno chiuso in utile sia Trenitalia che Rfi». E che risultato prevedete per il 2002? «Prevediamo di chiudere con un utile di 100 milioni di euro il bilancio di gruppo nel 2002. Per il Mol, ipotizziamo una crescita ulteriore di 150 milioni di euro». Dottor Forlenza (direttore generale per le risorse umane, ndr), come si può convincere l’opinione pubblica del fatto che le gare per le pulizie, aggiudicate con ribassi fino al 40 per cento, produrranno un miglioramento nella qualità al servizio? «Il costo delle imprese di pulizia ferroviaria è molto più alto agli altri settori. Negli ultimi nove anni nel settore delle pulizie civili c’è stato un abbassamento dei costi fino al 35-40 per cento per l’introduzione delle tecnologie». Avendo scelto il massimo ribasso come criterio per aggiudicare le gare, c’è il sospetto che abbia prevalso l’obiettivo, pur comprensibile, della riduzione dei costi sul miglioramento della qualità. «Vorrei ricordare anzitutto che il ricorso alla gara europea è stabilito dalle direttive comunitarie. Quando si promuovono gare, come accade in altri settori come le costruzioni, c’è da attendersi forti ribassi. Sulla qualità delle prestazioni incide soprattutto la diversa organizzazione del lavoro richiesta rispetto all’attuale. La durata di questi contratti è di 2-3 anni, e se la qualità è giudicata insoddisfacente si ricorrerà ad altre imprese». Quanto vi costano le due proroghe concesse alle imprese di pulizia, che dal 21 dicembre scorso avrebbero dovuto lasciare campo libero alle nuove aziende? «A causa delle proroghe dobbiamo sopportare un aggravio di costi valutabile mensilmente in 15 miliardi di lire. Speriamo che il 6 maggio possa essere conclusa definitivamente l’operazione». Ingegner Cimoli, restando in tema di qualità dei servizi. Quali iniziative sono in corso per elevare la qualità del personale? «Investiamo circa 300 miliardi l’anno in formazione, più di un miliardo al giorno lavorativo. Inoltre da tempo è in atto un ricambio che produce un ringiovanimento del personale. Facciamo dei numeri: oggi abbiamo 100 mila dipendenti, 18 mila sono neoassunti. Fino a cinque anni fa, i laureati assunti erano il 5 per cento, ora sono il 20 per cento. Abbiamo accordi con parecchi politecnici e università per assumere, in quattro anni, mille nuovi laureati». Avete un ambizioso piano di investimenti. «Per cinque anni investiremo 5-6 miliardi di euro l’anno. I programmi su cui puntiamo maggiormente sono l’Alta velocità, il rinnovo del materiale rotabile, l’automazione. Stiamo facendo uno sforzo importante. In Italia, siamo l’azienda che investe di più. Siamo una parte importante dell’economia del Paese, nei prossimi anni creeremo 50 mila posti di lavoro». Avete parlato di un programma da 5 milioni di euro di investimenti con i fondi della Finanziaria 2002. Ha già un’idea di come saranno ripartite queste somme? «Abbiamo un contratto di programma da finalizzare entro marzo con il Cipe e abbiamo elencate tutte le opere. Il 40-43 per cento va all’Alta velocità, il resto è rete tradizionale e materiale rotabile». Facciamo il punto sullo stato dei lavori dell’Alta velocità. «La tratta più avanzata è la Roma-Napoli, che sarà ultimata nel 2004, a parte gli ultimi 16 chilometri del tratto campano. Quindi finiremo nel 2007, con tutte le altre tratte, salvo la Torino-Novara, che sarà ultimata a dicembre 2005, quindi in 45 mesi. Al 2008 sarà pronta la Novara-Milano, un’opera di grande complessità. Per la trasversale, abbiamo in appalto la Padova-Mestre di 32 chilometri, con un tracciato molto complesso, mentre per la Milano-Padova bisogna ancora chiudere la Conferenza dei servizi». Sulla Milano-Roma quando avremo un percorso competitivo con la tratta aerea? «Nel 2007 il percorso sarà da 3 ore a 3 ore e un quarto. Dipende molto dalle fermate che vengono fatte. Bisogna completare la tratta Firenze-Bologna, che è l’opera più importante in costruzione al mondo in questo momento. Con l’aereo siamo già competitivi con le tariffe che, peraltro, sono del 37 per cento più basse della media europea. Non bisogna dimenticare che il treno arriva al centro della città e questo è un altro vantaggio sull’aereo». Che ne pensa del disegno di legge all’esame del Parlamento che ripropone i vecchi contratti Tav? La norma ha suscitato forti critiche e anche l’Antitrust ha detto che bisogna ricorrere alle gare europee per affidare le linee dell’Alta velocità. «Noi, dove possiamo, siamo per fare gare europee, e lo abbiamo dimostrato con le pulizie. Credo che il Governo voglia mantenere i precedenti general contractor per ragioni di tempo. Certamente quando si ricorre a una gara c’è più competizione e si hanno vantaggi sui costi, ma non è detto che ci siano vantaggi sui tempi. Tuttavia una valutazione si potrà dare soltanto quando si conosceranno tutti i termini della legge». Il programma di ammodernamento della rete ferroviaria italiana non è un po’ troppo sbilanciato sul Centro-Nord? «Al netto del programma dell’Alta velocità, investiamo il 32-35 per cento per le infrastrutture nel Mezzogiorno e presto arriveremo al 35 per cento». Ma considerando che l’Alta velocità riguarda principalmente le linee del Nord, questa quota si riduce molto. Pensate di portare l’Alta velocità a sud di Napoli? «Al Sud arriveremo fino a Battipaglia, collegandoci con tutte le principali linee meridionali. La tratta fino a Reggio Calabria per ora non l’abbiamo ancora in studio. Ma l’Alta velocità è un progetto a parte. Tra gli interventi nel sud c’è la Palermo-Messina e l’ipotesi di modifica della tratta Roma-Bari, per accorciare di oltre un’ora il percorso e diventare più competitivi con il trasporto aereo». Dopo l’11 settembre, di fronte alle difficoltà del trasporto aereo, avete registrato un incremento dei passeggeri che hanno scelto di viaggiare in treno? «Come nel resto del mondo anche da noi sono mancati una serie di viaggiatori, per esempio i turisti e gli stranieri. Abbiamo notato un aumento di traffico sulle tratte principali, come la Milano-Roma, dove però l’offerta non può essere incrementata perché non abbiamo più slot». Per Grandi Stazioni quando verrà rinnovato il vertice? «La nomina del nuovo amministratore delegato spetta ai soci privati e siamo in attesa che ci facciano un nome che ovviamente deve essere di gradimento dell’azionista di maggioranza. Auspichiamo venga fatto presto, perché entro il 30 marzo partono i bandi per le altre 12 stazioni sparse in tutta Italia. Il piano riguarda anche Milano Centrale che avrà tre volte l’area espositiva che ha Termini». Manterrete il controllo di Grandi stazioni? «Dopo tre anni dall’accordo e dopo l’80 per cento della realizzazione delle opere, è prevista la riduzione della nostra quota, dall’attuale 60 per cento scenderemo sotto il 50 per cento». Quando scadono i tre anni? La scadenza è nella seconda metà del 2003. Ma l’80 per cento dei lavori difficilmente sarà realizzato per questa data, perché stiamo partendo adesso con le gare. Quindi, ci vuole un po’ di tempo. A che quota vi fermerete? «Dipende. Se andremo in Borsa dovremo scendere al 35 per cento mentre se si farà una gara la quota di minoranza potrà variare». A che punto è il progetto Medie stazioni, per cui avete messo sul mercato il 40 per cento? «Il progetto è in corso. è stato aggiudicato il 40 per cento ai soci privati, guidati da Save e Manutencoop, e stiamo attendendo il parere dell’Antitrust. Entro il mese di marzo ci attendiamo il via libera per far decollare anche questa operazione». Parliamo della liberalizzazione. Se funziona, comporta che l’ex monopolista perda quote del business. Voi questo aspetto lo mettete in conto? «La liberalizzazione produce vantaggi per tutti. L’importante che avvenga con una velocità giusta, ma soprattutto che avvenga con regole eque, e secondo un principio di reciprocità. Prevediamo di perdere un po’ di quote, ma dal canto nostro possiamo recuperarle partecipando alle gare in altri paesi. Tuttavia per vincere le gare bisogna essere competitivi ed è importante che il nuovo contratto vada bene per le Fs e per le altre Ferrovie che operano sul mercato». Non vi preoccupa, per esempio, che sotto il Brennero, nell’asse merci tra la Germania e l’Italia, ci siano circa 150 tracce disponibili e voi ne occupate solo una settantina per carenza di risorse? «Le medie di tracce utilizzate da noi possono essere 80-90, ma arriviamo anche a 110 treni, dipende dai giorni e soprattutto dalle merci. Stiamo lavorando per portare in quella tratta 240 treni entro il 2003». Sta per aprirsi una stagione di nomine, vuoi per scadenze naturali, vuoi per l’approvazione del provvedimento sullo spoil system. Cosa si aspetta? «Sono stato confermato l’anno scorso e ho ancora davanti due anni. Come qualsiasi azionista, il Governo può cambiare il management quando vuole, non c’è bisogno di avere la stagione delle nomine o avere le scadenze. Sarò giudicato sui risultati». E sul terreno dei risultati, che giudizio dà? «Il mio sforzo maggiore è rivolto alla trasformazione di questa azienda in un’azienda normale. Quando sono arrivato, le Fs erano piene di sigle sindacali, c’era una bassa etica nel senso che, per esempio, le carriere non erano trasparenti né legate al merito. Nell’ultimo viaggio che ho fatto in treno, ho incontrato due macchinisti che erano in ferrovia da oltre trent’anni. Mi hanno detto: ingegnere, riporti la meritocrazia in questa azienda, le verremo tutti più dietro». Giorgio Pogliotti e Giorgio Santilli