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 2006  marzo 18 Sabato calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 20 MARZO 2006

«La Francia è condannata a rigiocare, senza sosta, la rivoluzione, a rifare il processo a Luigi XVI e a tagliargli la testa» (Alain Finkielkraut). [1]
Alberto Ronchey: «Prima, da ottobre a novembre, le sommosse incendiarie nelle periferie urbane, dove figli e nipoti dei milioni d’immigrati africani contestavano il modello francese di società plurietnica integrata. Poi, dal 7 marzo, il governo ha dovuto fronteggiare l’insorgere della Sorbona e di numerose altre Università ribelli alla legge del ”contratto di primo impiego” per i giovani sotto i 26 anni, revocabile senza vincoli dalle imprese nel biennio iniziale. Fra le due ribellioni è comune il carattere di moti generazionali, dinanzi alle scarse disponibilità di lavoro stabile». [2]

La legge sul lavoro precario dei giovani ha portato la Francia sull’orlo di una crisi politica il cui esito verrà deciso sulle piazze e sui boulevards. Bernardo Valli: « una vecchia tradizione parigina». [3] Massimo Nava: «La Francia sta vivendo un’altra rivoluzione conservatrice, la contraddizione in termini di un Paese che insorge per non cambiare. successo per il referendum europeo, per le riforme, per servizio pubblico e privatizzazioni. E succede oggi per il contratto giovanile di primo impiego». [4] Il contratto di prima assunzione è stato approvato dal Parlamento francese il 9 marzo, nel complesso della cosiddetta «legge per le pari opportunità». un contratto a tempo indeterminato destinato ai giovani sotto i 26 anni per le imprese sopra i 20 dipendenti: prevede la possibilità di licenziamento senza giustificato motivo nei primi due anni. [5] Antonio Sciotto: «Il nuovo contratto per gli under 26 ha due interpretazioni. Quella del governo Villepin, che lo traduce ”contrat premiere embauche” (’di prima assunzione”): due anni in cui l’impresa ti può licenziare senza giusta causa. E quella, decisamente più simpatica, degli studenti e dei giovani precari: ”contrat poubelle ebauche”, ovvero ”contratto di assunzione spazzatura”. Un lavoro bidone, precarizzato ed esposto al continuo ricatto». [6]

«La Francia si è abituata a non far lavorare i suoi giovani» (il sociologo Luis Chauvel). Domenico Quirico: «Se qualcuno gli rivela, con una legge, che qualcosa va male sono pronti a ghigliottinarlo». [7] Finkielkraut: « uno spettacolo che provoca molta tristezza tanto più che lo scopo di questa rivoluzione fantasmatica è, sembra, un contratto a tempo indeterminato per tutti: cioè l’assistenza, un impiego statale universale. E allora, perchè non rivendicare subito la pensione a 18 anni?». [1] Tito Boeri: «Le riforme del mercato del lavoro infiammano le piazze. Anche perché si continuano a commettere gli stessi errori, creando due mercati del lavoro paralleli e rendendo più difficile il passaggio dall’uno all’altro». [8]

Quando i giovani scendono in piazza la maggioranza dei francesi è spesso con loro, contro il potere. Valli: « un vecchio rito, che di solito fa non poche vittime politiche. La piramide del potere in Francia è rigida. Resiste ai colpi. L’ha provato durante la recente rivolta delle periferie, quando i figli degli immigrati bruciavano le automobili, le scuole, e qualche chiesa, ai margini delle città, senza osare addentrarsi nei quartieri borghesi. E dopo giorni di ansia, nel timore che il fuoco appiccato alle automobili si estendesse alle abitazioni e trasformasse la protesta in una strage, il Paese è ritornato alla normalità. Vale a dire ha promosso dibattiti ed esami di coscienza per capire i motivi dell’insurrezione dei giovani maghrebini discriminati e relegati nelle banlieues sinistre di Parigi o di Lione. Le analisi sociali sull’integrazione degli immigrati e i relativi mea culpa non si erano ancora conclusi, quando la nuova protesta giovanile contro la precarietà si è accesa in tutto il Paese». [3]

Tantissimi adulti hanno marciato insieme agli studenti. Sciotto: «’Solidarité” è la parola più ricorrente negli slogan e sui cartelli: ”Insieme in piazza, da soli siamo fragili”». [6] Finkielkraut: «Gli adulti gareggiano in demagogia. Una maggioranza è nata in Francia per la perpetuazione di un modello sociale che non funziona più, che approfondisce il deficit e che dunque mette in pericolo, precisamente, quelli che nasceranno dopo di noi. Ho sentito alla radio una giovane dire che era favorevole ad un contratto a tempo indeterminato per tutti e che era per una regolarizzazione di tutti gli stranieri clandestini. Un tale programma rovinerebbe la Francia in un quarto d’ora, e invece di dirglielo, il giornalista ha elogiato la sua generosità. E dare a questa stupidaggine l’alibi della generosità è una vera catastrofe». [1]

Violenze a parte, gli studenti francesi fanno bene o fanno male a protestare? André Glucksmann: «Fanno bene. Mostrano fierezza e saggezza, perché il contratto di primo impiego voluto da Villepin non è affatto un passo liberale verso l’apertura del mercato del lavoro. Al contrario, il Cpe è una misura insufficiente che non riuscirà a creare nuova occupazione ma perpetuerà le garanzie e i privilegi dei lavoratori adulti già inseriti. Sembra l’inizio di una riforma, in realtà è una mossa conservatrice». [9] Gran parte degli studenti non sarà toccata dalla riforma, che si propone di far uscire dalla disoccupazione i giovani che non hanno fatto lunghi studi. Tito Boeri: «Per chi ha una laurea, anche breve, il tasso di disoccupazione è del 5%, molto basso se si tiene conto che chi ha una laurea non è disposto ad accettare il primo impiego che gli viene proposto. Ben diversa è la situazione dei giovani delle ZUS (zone urbane sensibili)), in cui il tasso di disoccupazione tra i 15 e i 24 anni è del 36% e raggiunge il 40% tra le donne extra-comunitarie. Dunque sin qui le proteste sono state spinte da ragioni soprattutto di natura ideologica». [8]

Villepin sostiene che il Cpe è un modo per dare lavoro ai ragazzi delle banlieues. Glucksmann: «Io contesto l’atteggiamento di base. A una discriminazione per luogo (la periferia) e per razza (i figli degli immigrati nordafricani) si aggiunge ora una terza discriminazione, per età: i giovani sotto i 26 anni. Successivi governi di destra e sinistra hanno ignorato una disoccupazione cronica al 10%, e ora ciascun giovane ha la prospettiva di pagare la pensione a tre 60enni, poi di saldare la montagna di debito pubblico accumulata dallo Stato, e in più potrà essere mandato a casa in ogni momento. un’umiliazione. Occorre una riforma complessiva e organica, non scaricare solo sugli studenti tutto il peso di un fallimento». [9]

 possibile che ai ragazzi delle banlieues il nuovo contratto non piaccia affatto. Boeri: «Secondo le stime di due economisti del lavoro francesi, Pierre Cahuc e Stephane Carcillo, i due nuovi contratti istituiti da De Villepin (il CNE e il CPE) non creeranno più di 70.000 posti di lavoro nei prossimi tre anni. Ben poco se si pensa che ogni anno in Francia ci sono più di 6 milioni di assunzioni e cessazioni di rapporti di lavoro. Perché un impatto così modesto sulla creazione di posti di lavoro? Perché già oggi le imprese francesi possono assumere con contratti flessibili». [8] Una Sabine che partecipa alla protesta: «Per me è precario anche chi lavora a tempo indeterminato. Penso ai miei amici che lavorano nella ristorazione, in catene come McDonald’s: un part-time di poche ore a settimana, ma l’azienda cambia a piacere i turni, disponendo del tuo tempo come vuole». [6]

Fra i giovani l’impiego precario viene chiamato ”usa e getta”. Ronchey: «Il governo risponde che non si può avere ”tutto garantito e subito all’inizio della vita lavorativa”. Dunque, occupati licenziabili nei primi due anni oppure disoccupati? Meglio i contratti a termine, o i part-time, o i deboli ”ammortizzatori sociali” a integrazione del lavoro nero? Questione molto complessa, che De Villepin ha tentato di superare con una legge forse troppo semplice». [2] Per un giovane è meglio un lavoro precario o nessun lavoro? Glucksmann: «Molti commentatori dimenticano che esiste una specificità francese. Nel modello danese di cui tanto si parla, accanto alla flessibilità resiste un sistema di protezione sociale dei lavoratori. In Gran Bretagna e Stati Uniti tutto il mercato del lavoro è più aperto, la flessibilità riguarda anche i cinquantenni. La Francia invece, dopo 30 anni di immobilismo di destra e di sinistra, all’improvviso vuole fare pagare la fattura solo ai giovani, gli unici licenziabili a piacere. Tutti gli altri lavoratori conservano i privilegi, e infatti i sindacati finora sono intervenuti a malincuore». [9]

Quella delle nuove generazioni non è la sola questione complessa, o difficilmente trattabile, nelle meno flessibili economie d’Europa. Ronchey: « incerta, e non affrontata con sufficienti analisi, anche la condizione di numerosi anziani. Nell’era della longevità di massa restano ancora validi e tuttavia possono pensionarsi appena poco più tardi rispetto al passato, con una spesa insostenibile per la pubblica finanza che graverà sulle nuove generazioni. Se però l’età pensionabile verrà davvero dilazionata in proporzione alla longevità, si potrà obiettare che gli anziani ostacolano l’ingresso dei giovani sul mercato del lavoro. Simili contraddizioni incombono su tutte le società avanzate, o quasi. Eppure negli Stati Uniti la disoccupazione oggi è al minimo, 4,7 per cento. Perché? Se ne può discutere, o si può solo ripetere che ”quello è un altro mondo”, come il Giappone?». [2]

La Francia è per l’Europa un laboratorio. Antonio Golini: «La rivolta dei giovani francesi riflette una lacerazione fra le generazioni - quella dei lavoratori a tempo indeterminato, i padri, e qualle dai lavoratori precari, i figli». [10] Giorgio Ferrari: «I casseurs di oggi - a differenza di quelli di quarant’anni fa - non lanciano pietre contro lo Stato, ma al contrario chiedono più Stato. Maggior presenza della funzione pubblica nella vita privata, maggiori ammortizzatori sociali, più protezione contro la precarietà, individuando nello spettro di una società ultraliberista l’antitesi di ciò che l’Europa dei cittadini ingenuamente prometteva: sciurezza, benessere, prosperità». [11] Nava: «Se la piazza vince, la Francia celebrerà un’altra rivoluzione, con i simboli del Sessantotto rovesciati: lo Stato-provvidenza non si abbatte, si conserva». [4]

Fino a un paio d’anni fa la Francia si candidava «a guidare il treno della modernità e a fare dell’Europa una superpotenza economica nell’arco di un decennio». [11] Valli: «Nelle prossime ore si gioca, nelle scuole e nelle università, oltre che sulle piazze e sui boulevards, e non soltanto sulle rive della Senna, ma in quasi tutte le città tra le Alpi e l’Atlantico, una partita il cui risultato può avere ripercussioni politiche molto ampie e profonde. Al punto da determinare, comunque influenzare, le elezioni presidenziali del 2007. Vale a dire la successione di Jacques Chirac». [3]

Nella migliore delle ipotesi (per Villepin), le manifestazioni potrebbero spegnersi lentamente. Valli: «Oppure nel caso il Consiglio costituzionale dovesse respingere la legge, evitando a Villepin l’umiliazione di ritirarla. Ma anche se questo si verificasse, il primo ministro uscirebbe malconcio dalla prova». [3] Quirico: «De Villepin ascolterebbe volentieri il consiglio del partito socialista di cercare una onorevole via di uscita. Il problema è che non ne ha. A studenti e sindacati, un bricolage più reattivo che costruttivo, va a genio solo la revoca della legge». [7] Perché Villepin si è messo in questo vicolo cieco? Glucksmann: «L’anno prossimo si vota per le presidenziali. Villepin doveva fare un gesto spettacolare per rispondere all’obiettivo successo del rivale Sarkozy nella gestione della crisi delle banlieue. O la va o la spacca: se il Cpe passa, Villepin trionfa e può accreditarsi come uomo forte che sa imporre riforme impopolari; se la rivolta divampa, Villepin trascina con sé nella rovina anche il ministro dell’Interno Sarkozy, responsabile dell’ordine pubblico». [9]

Villepin ha teso una trappola a Sarkozy? Glucksmann: «Diciamo che Villepin ha ben calcolato gli effetti di una sconfitta. quasi un suicidio, ma la priorità del premier è evitare a ogni costo che Sarkozy diventi presidente della Repubblica. Meglio un presidente di sinistra, e magari ritentare al giro successivo. Del resto, come dimenticare l’esempio del maestro di Villepin? Nel 1981 Chirac tifava quasi apertamente per il socialista Mitterrand contro il rivale di destra Giscard». [9] Il 23% dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni (fonte un sondaggio effettuato a febbraio da ”Le Monde”) voterebbe alle prossime presidenziali Nicolas Sarkozy e Jean-Marie Le Pen, seguono Lionel Jospin (13), Jack Lang e Ségolène Royal (12). Giampiero Martinotti: «I giovani temono la precarietà e quelli che incontrano maggiori difficoltà, spiegano i politologi analizzando questi risultati, guardano verso il leader dell’estrema destra. E non sono fra quelli che manifestano in questi giorni». [12]