La Stampa 02/03/2006, pag.15 Bruno Ventavoli, 2 marzo 2006
Amore mio legami L’arte del bondage affascina gli italiani. La Stampa 2 marzo 2006. Roma. Sono le 19
Amore mio legami L’arte del bondage affascina gli italiani. La Stampa 2 marzo 2006. Roma. Sono le 19.Al Mondrian Suite, un circolo culturale romano come tanti altri, arriva una dozzina di persone. Potrebbero essere allievi di un corso di pittura o di sushi. Invece si stanno disciplinatamente recando a un corso teorico-pratico di bondage. Sei lezioni settimanali, due ore ciascuna, con due maestri. organizzato da Alcova, un negozio specializzato in Bdsm (Bondage-domination-sado-masochismo). Ottanta euro la retta, comprende un kit di corde di canapa per le esercitazioni. Il bondage significa letteralmente schiavitù. una tecnica per immobilizzare il partner con corde o legacci di cuoio. Poi, una volta ridotto alla propria mercè, ci si può sbizzarrire in attività di ogni genere, sperimentando nuove frontiere del piacere. Chi ha letto Crepax, Sade o Sacher Masoch, più o meno sa di che cosa si tratta. E se ha anche letto Freud probabilmente colloca quelle pratiche in una sfera di torbide perversioni. Ma i solerti allievi del corso si considerano assolutamente normali. Certo, sanno di essere diversi dalle coppie che amoreggiano nel weekend, o tra le canzoni soporifere di Sanremo. E le definiscono, in gergo, i «vanilla », come la pianta, quasi a prendere simbolicamente le distanze dalle loro dolciastre effusioni. Seduti sui divani gli allievi aspettano l’inizio della lezione di ripasso. Estraggono le corde da sacchetti di supermercati. Parlano di film, spesa, aviaria. Rolando e Marco sono una coppia gay. Lavorano nelle ferrovie. Si sono iscritti al corso perché a uno piaceva essere legato. E così tanto valeva imparare a farlo bene. E in sicurezza. Fabio è venuto da solo. Fa il copywriter. Ha scoperto la passione del bondage da piccolo, guardando i telefilm Anni ’60 di «Agente segreto», dove c’era sempre qualche fanciulla arrotolata come un salame. una passione puramente estetica, visiva, senza finalità erotiche. Nemmeno Luigi è venuto al corso pensando al sesso. Lui, insieme con altri quattro ragazzi, fa parte di Skoid, gruppo romano di Body art extreme. Si guadagna da vivere come tecnico delle luci. Una volta al mese si esibisce in una performance. Nell’ultima ha legato Francesca con i sistemi di bondage appena appresi. Si scopre la pancia, ha la pelle piena di tagli e di lividi bluastri. Sono i postumi delle ferite che si è inflitto in scena. Per arte. E sempre per arte, ogni tanto s’appende a ganci conficcati nella pelle: «Certo che fa male ma è anche una specie di estasi». Il bondage nasce in Giappone. Era la tecnica che i samurai usavano per legare i nemici e immobilizzarli in posizioni umilianti. Poi è diventata un’arte erotica, praticata dalle geishe più raffinate. La corda di canapa o di seta avvolge il corpo della persona amata come un ricamo raffinato. Stringe i seni, i fianchi, il sesso. Immobilizza i polsi e le caviglie. Mai il collo, perché sarebbe pericoloso. I nodi sono quelli che s’imparano a qualunque corso di roccia: scorsoi, doppi savoia che nel linguaggio raffinato dell’eros giapponese diventano il Karada (una ragnatela intorno al corpo), lo Shingu (intorno al seno), il Surakambo (la parte inguinale). «Vi siete allenati?», chiede Maestro BD. «Sì, un po’», rispondono gli allievi, dimostrando d’aver svolto i compiti a casa. Giulio, che nella vita fa il commercialista, comincia a legare Giulia, compagna di corso, una ragazza molto carina con i capelli neri: è un’assicuratrice, indossa ancora la gonna da ufficio, poco pratica per giocare con le corde in mezzo alle gambe. Il maestro è un ragazzone con la stazza di Giuliano Ferrara e una barba ancor più lunga e corvina. Fa l’operatore culturale in uno dei quartieri-dormitorio di Roma, dove la povertà e il disagio sono legacci insopportabili per centinaia di persone. diventato un esperto da autodidatta, osservando dipinti, siti internet, stampe giapponesi. Spiega: «Legare una donna è come prolungare un abbraccio, ho fatto del bondage una forma d’arte. Lego modelle in performance pubbliche, per i fotografi. Mi piace ovviamente anche come dimensione erotica privata. Ma non sempre trovi la compagna che ha voglia di farlo». Ora ne ha trovata una, vive felicemente con lui. Si sono conosciuti su internet, nelle chat sadomaso. Veronica ha lasciato Napoli per venire a vivere con lui. Studia Ingegneria. I genitori non sanno nulla ma sono felici di vederla felice. Ha un corpo minuto, che quasi scompare tra le sue mani grandi ed esperte. E che acquista, avvolta dai nodi, una seduzione sorprendente. Le tecniche del bondage sono svariate. Lo stile giapponese prevede corde di canapa e seta. Quello «americano» cinghie di cuoio, maschere, bavagli. C’è un «padrone» che domina, e un «sottomesso» che si lascia immobilizzare in un gioco lento, complesso, che lega i corpi e anche le menti degli individui, nella complessa ricerca del rapporto tra piacere e dolore. Oltre ai nodi la procedura prevede supplizi d’ogni tipo, con fruste, pinze, strumenti ginecologici, bavagli. La comunità sadomaso è più estesa di quanto si pensi. E internet ha reso tutto più facile. Esistono siti e chat specializzate dove ognuno espone in bacheca le proprie fantasie. E cerca di trovare i compagni di gioco adeguati. Più o meno come quando chiedi l’ascendente zodiacale alla collega d’ufficio che vuoi baccagliare. Dicono che il sadomaso non sia rischioso. Nulla a che vedere con le orge di torture e sesso alla Hostel. Tutto è molto controllato dal tam tam degli adepti: «Se sgarri, sei fuori». Per conoscersi meglio e socializzare si organizzano party, cene al ristorante, raduni, come fanno gli appassionati di moto o di backgammon. Alla fine della lezione di bondage sorge, spontanea, una domanda. E l’amore? Che spazio c’è per l’amore in mezzo a tante fruste e manette? Chi ha letto le poesie di Saffo, Petrarca, Kavafis - per citare a caso - sa che l’amore è un tormento che strapazza i cuori e brucia le carni. E chi si strapazza sul serio, senza metafore, riesce ad amare? Le «vere» coppie sadomaso rispondono sì. Poi, quasi involontariamente, i «padroni» stringono le loro «schiave» fidanzate. Per una coccola, un buffetto, una carezza sui capelli. Bruno Ventavoli