MACCHINA DEL TEMPO APRILE 2006, 17 marzo 2006
La dipendenza da droghe ”tradizionali” (cocaina, eroina eccetera) è spesso aggravata da una parallela dipendenza da altre droghe socialmente accette
La dipendenza da droghe ”tradizionali” (cocaina, eroina eccetera) è spesso aggravata da una parallela dipendenza da altre droghe socialmente accette. «Molti dei tossicodipendenti che si rivolgono al nostro centro sono anche alcolisti e forti fumatori» conferma il professor Paolo Mezzelani, Direttore dell’U.O. di Medicina delle Dipendenze presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Verona. «Perciò il programma di disintossicazione deve tener conto dei problemi specifici di ogni individuo. Generalizzare sarebbe un errore». Talvolta le diverse classi di droghe (sostanze psico-attive) entrano nella vita di chi poi ne diventerà schiavo per caso, altre volte rappresentano una sorta di autoterapia dei propri conflitti personali. L’uso di eroina (un oppioide) può derivare dal tentativo di vincere l’ansia, mentre cocaina e altri stimolanti (come anfetamine ed ecstasy) vengono usati per risolvere uno stato depressivo. In genere, gli stimolanti (come anche il crack, cioè la cocaina fumata) facilitano il contatto con gli altri, eliminando inibizioni e paure: droghe alla moda nel mondo dello spettacolo o del business. Spinelli di marijuana o hascish, forse meno popolari di un ventennio fa, fanno parte di un rituale soft di socializzazione, più discreto rispetto all’esplosività delle ”pasticche” da discoteca. «Servono uno o più colloqui preliminari con il paziente per capire se, entrato nella ruota del cambiamento, è ancora in fase di contemplazione (cioè non determinato a smettere) o se è già nella fase della determinazione (motivato a cambiare stile di vita)», spiega Mezzelani. «Se percepiamo una genuina volontà di smettere iniziamo un trattamento multimodale in cui i farmaci hanno una loro precisa indicazione». Il famoso metodo Urod (Ultrarapid opiate detoxification) usato circa un decennio fa è stato quasi del tutto abbandonato: oltre a costare più di 5000 euro per un paio di giorni di degenza, si è rivelato più pericoloso del previsto poiché si basava sull’induzione di una profonda narcosi farmacologica di 12-24 ore, il tempo necessario all’organismo per superare la crisi di astinenza. Ma ciò, spesso, non bastava per uscire dal tunnel. «Nella detossificazione da oppioidi usiamo la lofexidina, un farmaco non reperibile in Italia che arriva dal Regno Unito, e che, già da solo, elimina il 70% dei sintomi astinenziali dovuti all’iperattività del sistema simpatico. Per accelerare la detossificazione abbiniamo un antagonista come il naloxone e, se necessario, sedativi e miorilassanti. In 7-10 giorni l’organismo è ripulito. Ma il viaggio del paziente è tutt’altro che concluso». Prima del ricovero il Centro di Verona definisce il percorso post-detossificazione. Per l’eroina si usano farmaci antagonisti come il Naltrexone (il paziente, anche se usa la droga, non ne sente gli effetti ”benefici”), o farmaci agonisti come il Metadone e la Buprenorfina che agiscono sugli stessi recettori cerebrali delle droghe, senza però provocare lo ”sballo”: i pazienti vengono detossificati da questi farmaci da cui, dopo, dovrebbero affrancarsi. Tuttavia il rischio di ricaduta è sempre dietro la porta. Alcuni pazienti, infatti, sono riprecipitati nella dipendenza persino dopo 5-7 anni. «La dipendenza da cocaina è forse anche più complessa perché spesso associata ad alcolismo» avverte Mezzelani. «Non esistono farmaci agonisti o antagonisti, anche se gli antidepressivi e il disulfiram possono aiutare a diminuire il craving, la voglia smodata di ”farsi”». Buoni risultati durante la fase astinenziale si ottengono con l’agopuntura praticata con il metodo auricolare Acudetox (vedi dida a destra), che andrebbe abbinato a un breve periodo in comunità (4-8 settimane). Infine, va ricordata una classe particolare di tossicodipendenza: quella da tranquillanti (Benzodiazepine come Tavor, Xanax, Valium, Ansiolin, Lexotan) che assunti inizialmente per dormire meglio, superare le ansie quotidiane o gli attacchi di panico, finiscono col rendere schiavi inconsapevoli persone non in cerca di eccessi. «Usando il flumazenil, antagonista delle benzodiazepine, riusciamo a disintossicare il paziente in una settimana circa. Questa forma di dipendenza è in costante ascesa; noi però trattiamo solo la punta di un iceberg: bisognerebbe sensibilizzare medici di base e anche i farmacisti».