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 2006  marzo 17 Venerdì calendario

L’alcol (alcol etilico o etanolo) è compagno dell’umanità da migliaia di anni. Tuttavia, secondo i dati Oms, oggi è al secondo posto tra le sostanze d’abuso per numero di decessi che causa nel mondo

L’alcol (alcol etilico o etanolo) è compagno dell’umanità da migliaia di anni. Tuttavia, secondo i dati Oms, oggi è al secondo posto tra le sostanze d’abuso per numero di decessi che causa nel mondo. E forse è al primo posto per quel che riguarda l’età in cui si sperimentano i primi eccessi: appena 12-13 anni. I perché sono semplici: costa poco, è di facile reperibilità ed è accettato dal punto di vista sociale. L’alcol, inoltre, in dosi ridotte provoca un senso di eccitazione, mentre in dosi maggiori agisce come un calmante. Chi beve si sente quindi rilassato, a proprio agio, divenendo poi disinibito ed euforico. Ma anche l’alcol, come il fumo, è malattia sociale: «Di vizio si può parlare fino a quando il soggetto controlla l’assunzione della sostanza» precisa Vincenzo Manna, psichiatra, responsabile del Centro di Salute Mentale di Genzano di Roma. «Purtroppo, dato il suo ruolo socializzante, l’alcol risulta più accettato di altre droghe». Molti alcolisti non ammettono di avere un problema con l’alcol nemmeno con sé stessi. Ma quand’è che ci si deve considerare ”malati del bicchiere”? «Quando, per ottenere lo stesso piacere, bisogna assumere dosi sempre maggiori di sostanza; quando non è più possibile autocontrollarsi, o compare un forte malessere in caso di astensione prolungata. Quando, al primo posto nei pensieri quotidiani, c’è l’urgenza di procurarsi da bere». Ma come va affrontato il problema? Meglio la terapia farmacologia o quella psicologica? «Bisogna inquadrare il paziente e capire il perché del suo disagio psichico» spiega Manna. «Talvolta l’alcolismo è una sorta di autoterapia inconsapevole, attuata per esorcizzare problemi di altra natura». Il disulfiram, farmaco antagonista che inibisce un particolare enzima scatenando nel soggetto un senso di avversione verso l’alcol, è tra le principali sostanze impiegate per la disintossicazione. Oggi si tende a iniettarlo sottocute, per favorire il suo lento rilascio e garantire la corretta esecuzione della terapia. «La chimica da sola non basta» avverte però Manna. «La terapia psicologica è fondamentale. Invece di puntare subito alla meta finale, un trattamento integrato multimodale basato sul ricorso contemporaneo e sinergico a farmaci e psicoterapia può permettere all’alcolista di raggiungere obiettivi intermedi». Non bisogna dimenticare, però, che esiste una base genetica delle dipendenze: l’Oms afferma che il 50-60 per cento della tendenza all’abuso è di natura ereditaria. Un’osservazione confermata anche da studi su gemelli figli di alcolisti, adottati da persone non alcoliste. Talvolta, quindi, il contesto educativo passa in secondo piano rispetto al peso dell’assetto genetico». Quando ci si può ritenere guariti? « difficile definire il concetto di guarigione da alcol. Forse una guarigione totale neppure esiste. Senza dubbio, interventi tempestivi e l’assistenza di gruppi di sostegno possono ridurre moltissimo il rischio di ricadute».