Corriere della Sera 15/03/2006, pag.13 Barbara Palombelli, 15 marzo 2006
Bettini, imperatore di «Roma potentona». Corriere della Sera 15 marzo 2006. Metti una sera a cena lo stato maggiore dei Ds, assieme a Cesare Romiti e Franco Caltagirone, mescolati tanto con Giorgio Napolitano e Miriam Mafai quanto con presidenti di municipi, amministratori di municipalizzate, dirigenti di partito e poteri forti capitolini come Pierluigi e Claudio Toti, Franco Bonifaci, Andrea Mondello, presidente della nuova Fiera e della Camera di Commercio
Bettini, imperatore di «Roma potentona». Corriere della Sera 15 marzo 2006. Metti una sera a cena lo stato maggiore dei Ds, assieme a Cesare Romiti e Franco Caltagirone, mescolati tanto con Giorgio Napolitano e Miriam Mafai quanto con presidenti di municipi, amministratori di municipalizzate, dirigenti di partito e poteri forti capitolini come Pierluigi e Claudio Toti, Franco Bonifaci, Andrea Mondello, presidente della nuova Fiera e della Camera di Commercio. Aggiungete, fra i 3.800 ospiti, Silvio Muccino e il suo produttore Aurelio De Laurentiis, Maurizio Costanzo, Innocenzo Cipolletta, presidente del Sole 24 Ore, il banchiere Gianfranco Imperatori, l’imprenditore Giovanni Malagò, l’ex casiniano Raffaele Ranucci, il sempre a galla presidente della Confindustria Lazio Giancarlo Elia Valori. quella che il sito Dagospia – dove appare il ritratto della cena più affollata dai tempi di Nerone – bolla come «la Roma potentona». Poche portate, molti discorsi, ma soprattutto la raccolta di fondi per la lista diessina al Senato, capeggiata da Goffredo Bettini, il nuovo imperatore romano, l’unico in grado di mobilitare tante persone diverse di cui lui è diventato, nel tempo, il punto di riferimento comune. E se alla festa del suo 53?compleanno erano accorsi perfino Pietro Ingrao e Gianni Letta, questa volta le esigenze elettorali hanno travolto il suo leggendario riserbo, quello che gli fa detestare «la marmellata a ciclo continuo di frasi fatte, di telefonini che squillano, di "ciao, tutto risolto"». Bettini ha lunghissima storia politica e personale, attraversata da sfide, sconfitte, sofferenze esistenziali mai negate, successi elettorali (Rutelli 1993 e 1997, Veltroni 2001, Gasbarra 2003, Marrazzo 2005) vissuti dietro le quinte e con aristocratica eleganza. «I miei maestri si chiamano Pietro Ingrao, Paolo Bufalini, Gerardo Chiaromonte. I miei fratelli sono due, il maggiore è Massimo D’Alema, nella sua qualità di erede legittimo di quel patrimonio civile non rinnegabile e non cancellabile che è stato il Pci, l’altro è Walter Veltroni, cui mi lega una complicità totale, quella che sopporta e supera anche i litigi che per qualche anno, in passato, ci hanno tenuti lontani. Il mio primo brivido, in piazza, risale però ai comizi di mio padre Vittorio, avvocato repubblicano, amico di Ugo La Malfa e di Oronzo Reale, grande e appassionato oratore. Al liceo scientifico Righi proiettavo i film del realismo socialista, scrivevo sulle riviste di Aristarco e Argentieri. Fui scoperto da Bruno Grieco, segretario della sezione del Pci Trevi-Campomarzio, presi la tessera a 14 anni e ce l’ho ancora in tasca». Goffredo Bettini – soprannominato «Panzarella», tutti gli pizzicavano la pancia in segno di amicizia – era uno studente molto colto. Veniva da una famiglia nobile marchigiana, i Rocchi Bettini Camerata Passionei Mazzoleni «del triangolo che comprende Jesi, Ancona, Senigallia», il tratto semplice e sicuro di chi ha ricevuto un’ottima educazione. Alla Fgci, prima diretta da Gianni Borgna, poi da Veltroni, infine da lui stesso, riesce a trasferire tutte le sue passioni: il trio organizza eventi entrati nella storia dello spettacolo. Lo spettacolo al Pincio in cui Benigni prende in braccio Berlinguer, «e Tonino Tatò, il braccio destro del segretario, che da dietro il palco ci tranquillizza: "va benissimo, ragazzi!"», la riscoperta di Gino Paoli nel 1976 e l’invenzione di Borgna del duo con Ornella Vanoni, «era l’estate del 1984, festa dell’Unità all’Eur. La Vanoni, fino all’ultimo, non voleva cantare». Alla fine, volle perfino farsi pagare in contanti e in anticipo. Bettini e Borgna trovano i soldi, pagano – una cifra immensa per allora – e la Vanoni si esibisce (Paoli canta gratis e stacca un assegno di 3 milioni). Venti anni dopo, da presidente dell’Auditorium romano, Bettini ospita Vanoni e Paoli e sorride quando gli ricordo quella serata indimenticabile, «la cultura e la politica erano indivisibili, nel Pci. Napolitano mi rassicurava quando corteggiavamo l’eretico Pasolini, uno che salutò i nostri successi alle elezioni del 1975 come una tragedia assoluta, "Andate avanti, mantenete un rapporto con lui", ci diceva. Altro che partito stalinista. Nel marzo 1978, mi spezzai un braccio pur di cacciare gli autonomi dalla facoltà di Economia e Commercio, mi tirarono un banco addosso, riconquistammo l’ateneo dopo l’agguato a Lama del 1977. Ancora oggi siamo lì: sinistra democratica contro la violenza». Negli anni Ottanta, Bettini diventa segretario romano ed entra nella direzione del vecchio Pci, «D’Alema ed io eravamo i più giovani». Nella sua squadra, Walter Tocci, Lionello Cosentino, Claudio Leoni, Michele Meta. «Prima mossa: battaglia frontale con il pentapartito, a Roma capeggiato da Vittorio Sbardella. Avevamo perso la poltrona del sindaco, dopo Argan e Vetere. Era inutile, come invece fecero i compagni a Milano e Napoli, inciuciare con gli uomini di Craxi. Ho creato un partito da combattimento e ho salvato da Tangentopoli la sinistra romana, ho rivendicato la legittimazione morale e politica dopo il disastro di Carraro e il commissariamento del Campidoglio. E, una volta riconquistata l’egemonia, è partita l’espansione. Prima con Rutelli, poi con le imprese cittadine, la strategia dell’allargamento. A Roma si deve dialogare con tutti, non bisogna dimenticare che governiamo da tre-di-ci anni una città di destra». Il nuovo imperatore tratta alla pari, «sono immune dall’ansia piccolo borghese, non amo i simboli del potere. Ho abitato sette anni a San Basilio, estrema periferia, dalle mie finestre sentivo l’appello dei carcerati di Rebibbia la mattina alle sei. Avevo venduto l’appartamento pariolino di mio padre in via Lima, il Pci non mi pagava quasi nulla. Per essere inattaccabili, è importante avere uno stile personale, sobrio. Non essere né succubi, né prepotenti. La politica deve fissare le regole, gli imprenditori devono fare il loro lavoro, in libertà. Ho scoperto Cesare Romiti e Gianni Letta attraverso l’Auditorium. Romiti e il professor Savona hanno realizzato il progetto partendo da un appalto concordato al massimo ribasso, in un tempo record, la città ha un debito d’onore con loro. Letta è un uomo educato, che rispetta la parola e persegue i progetti con amore e passione, al di là degli schieramenti politici». E l’avversario sconfitto, Francesco Storace? «Che sia la magistratura a chiarire. Se quello che si legge dovesse diventare realtà, saremmo alla barbarie, al furto della politica. Che invece deve fermarsi un attimo prima, non varcare i confini del privato». Lui, quando la svolta del 1989 gli strappò il Pci, si ammalò di depressione. «Mi sono curato in Thailandia, guardando il mare del Siam. Da allora, ho un debito di riconoscenza con quel Paese». La Thailandia l’ha nominato cavaliere, e i Ds finalmente capolista. Barbara Palombelli