Corriere della Sera 15/03/2006, pag.43 Sergio Romano, 15 marzo 2006
La nazionalità palestinese e la guerra del ’67. Corriere della Sera 15 marzo 2006. Ho letto con interesse la sua analisi relativa alla nascita della nazionalità palestinese
La nazionalità palestinese e la guerra del ’67. Corriere della Sera 15 marzo 2006. Ho letto con interesse la sua analisi relativa alla nascita della nazionalità palestinese. Come lei ha giustamente scritto la causa principale dell’attuale conflitto fu la mancata accettazione da parte dei palestinesi della spartizione della regione decisa in modo più o meno equo dagli inglesi. Ciò che non appare nel suo articolo è che le terre furono «occupate» da Israele nelle due guerre solo in seguito al tentativo di invasione di quest’ultimo da parte dei Paesi arabi, il cui obiettivo era la distruzione della nazione nemica. In buona sostanza, in ambedue le guerre, Israele, nel difendersi dall’attacco a sorpresa dei tanti Paesi arabi che lo circondavano, non solo riuscì a difendere il proprio territorio, ma riuscì anche a conquistare parte del territorio nemico. Piergiorgio Segre Caro Segre, una precisazione, anzitutto, a scanso di equivoci. Come ho cercato di dimostrare nella risposta a cui lei fa riferimento, il rifiuto della spartizione votata dall’Onu non fu opera dei palestinesi, che nel 1948 non esistevano. Fu responsabilità degli Stati arabi, decisi a impedire la nascita di Israele e a spartirsi un territorio che non aveva in quel momento alcun carattere nazionale. La Palestina, allora, era soltanto un pezzo di impero ottomano che gli inglesi, alla fine della Grande guerra, avevano trasformato in provincia mandataria dell’impero britannico. Vengo ora al tema della sua lettera: le due guerre con cui Israele estese considerevolmente il territorio che gli era stato assegnato dall’Onu. Mentre la prima fu certamente provocata dagli Stati arabi, la seconda ebbe luogo in circostanze alquanto diverse. Vi furono, per buona parte del 1966, scontri e operazioni di guerriglia soprattutto lungo il Giordano e le frontiere con la Siria. Vi furono rappresaglie israeliane in luglio, agosto, novembre e vi fu il massiccio attacco con cui Israele reagì nell’aprile del 1967 alle incursioni di unità siriane contro gli insediamenti coloniali israeliani nella regione. La situazione divenne ancora più grave in maggio quando il presidente egiziano Nasser chiese al segretario generale dell’Onu, U Thant, di ritirare la forza di emergenza delle Nazioni Unite dai territori in cui si era installata dopo la guerra del 1956. Non appena il segretario generale aderì alla sua richiesta, Nasser ordinò alle truppe egiziane di occupare la striscia di Gaza e soprattutto Sharm el Sheik, la città collocata alla sommità del Golfo di Akaba che domina gli stretti di Tiran. Voleva assistere la Siria, precludere agli israeliani la navigazione nel Mar Rosso e soprattutto accreditare se stesso come il condottiero del mondo arabo. Ma è improbabile che avesse, in quel momento, l’intenzione di attaccare Israele. Era un leader istintivo, irruente, continuamente tentato da iniziative clamorose di cui aveva mal calcolato le conseguenze. La guerra scoppiò il 5 giugno quando Israele, con un’azione di sorpresa, attaccò venticinque aeroporti arabi e distrusse pressoché interamente le forze aeree dell’Egitto, della Siria e della Giordania. Contemporaneamente le colonne motorizzate israeliane condussero fulminee operazioni militari verso il Canale di Suez, il golfo di Akaba, il Giordano e le alture del Golan. Come ogni altra vicenda politico- militare, anche questa, caro Segre, può essere letta e interpretata in modi diversi. Ma a molti studiosi, osservatori e uomini politici, quella del 1967 parve una guerra preventiva israeliana. Sto leggendo in questi giorni il bel libro che un suo omonimo, Vittorio Dan Segre, ha recentemente pubblicato presso la Utet. S’intitola «Le metamorfosi di Israele» ed è un saggio sulla evoluzione politica, culturale e istituzionale del nazionalismo ebraico dagli albori del movimento sionista sino ai nostri giorni. In un capitolo dedicato alle «guerre costruttive» di Israele, l’autore (professore emerito dell’Università di Haifa e fondatore dell’Istituto di studi mediterranei di Lugano) osserva che l’esercito israeliano, dopo l’esperienza del 1948, sviluppò una convinzione: evitare che le guerre future fossero combattute sul suolo nazionale. «Come corollario – continua Vittorio Dan Segre – nacque la strategia della guerra preventiva, applicata con successo nelle guerre del 1956 e del 1967». Non basta. La guerra del 1967 dimostrò, secondo Segre, «l’indifferenza del governo di Gerusalemme nei confronti del nazionalismo palestinese. Nessuno, nella coalizione diretta dal premier Levi Eshkol, sembrava rendersi conto che la disfatta degli eserciti arabi lasciava ora i palestinesi soli e incontrollabili a "difendere l’onore" dell’intera nazione araba». Sergio Romano