La Repubblica 11/03/2006, pag.52-53 Franco Cordero, 11 marzo 2006
La favola nera del frate domenicano. La Repubblica 11 marzo 2006. Nel teatro politico il raziocinio conta meno degli umori, perciò influiscono tanto le fantasmagorie mediatiche, ma oltre date soglie i fatti squagliano l´ipnosi
La favola nera del frate domenicano. La Repubblica 11 marzo 2006. Nel teatro politico il raziocinio conta meno degli umori, perciò influiscono tanto le fantasmagorie mediatiche, ma oltre date soglie i fatti squagliano l´ipnosi. L´attuale contesto elettorale offre materia clinica: al vaglio obiettivo B. appare perdente; resta da vedere quanto pesino immagini, parole, pantomime, fanfare. Esistono precedenti fiorentini, inverno-primavera 1498. L´uomo d´allora e l´attuale stanno agli antipodi: B. è un plutocrate d´origine oscura, prodotto dall´affarismo politico; e seguita ad arricchirsi in mille modi sulla pelle del paese impoverito; canta, balla, ride, straparla, spaccia trash televisivo. Fra´ Girolamo Savonarola riforma i costumi, combatte l´apparato ecclesiastico corrotto, impone dal pulpito uno stile nel quale nessuno lo eguaglierà, parlatore incisivo e scabro. Qualcosa però li accomuna: egomani, quindi noncuranti dei fatti, autocrati, maghi dell´audience nelle rispettive forme; uno incanta 14 mila ascoltatori nel Duomo con lunghi sermoni sotto i quali scoppierebbe la testa al pubblico in cui miete l´altro. Affetti da ipertrofia dell´Io, non rispettano nessuno. Il domenicano professa una cupa logica degli opposti: chi non lo segue è creatura del diavolo; razzismo dell´anima; i «tiepidi» sono inconvertibili, bestiame d´inferno. Analoghe antitesi scandisce l´impresario delle tv commerciali in retorica da avanspettacolo: lui porta benessere, libertà, amore; gli avversari odio, miseria, sangue. Lasciamolo nel Luna Park: re taumaturgo, guarisce le scrofole; gli ricrescono i capelli; cambia faccia, tinta, statura; dovendo indicare qualcuno che gli somigli, nomina Carlo Magno o Napoleone; tira in ballo Gesù Cristo. Vediamo come finisce l´assai più interessante frate ferrarese. Sono passati trentotto mesi da quando Piero de´ Medici, figlio degenere, bravo solo nel pallone, sbaglia scommessa e perde la signoria: negava il passo ai francesi; Carlo VIII va a prendersi Napoli dagli Aragona. Nel vuoto politico emergono dei notabili: uno è Paolantonio Soderini; giocato dai consorti nella spartizione oligarchica, cambia cavallo diventando fautore del «governo largo». Gli serve uno che arringhi le masse. Chi meglio dell´eloquente domenicano? Predicava l´Apocalisse ed eventi futuri letti nel Vecchio Testamento. anche temibile occultista: spaventa i confratelli vantando cognizioni e poteri ultraterreni; sa che sono all´inferno 25 dei 28 ultimi morti; rischiava d´andarvi Giovanni Pico della Mirandola ma, salvato da preghiere fratesche, dimora al purgatorio. I committenti offrivano un mignolo, lui afferra il braccio e cambia chiave, dal nero alle meraviglie imminenti: renovatio Ecclesiae, conversione dei Turchi, Firenze caput mundi, purché i fiorentini gli ubbidiscano. Gesù Cristo è re nominale. Inutile dire chi sia il luogotenente «cum virga ferrea». Ambasciatore alla Madonna, mercoledì 1 aprile 1495 riferisce cos´ha visto e udito. La compromette nell´alleanza francese, sbagliando perché l´impresa napoletana va male: non è uomo da gioco politico, infatti se ne occupa Silvestro Maruffi, equivoco faccendiere. Domenico da Pescia comanda i «fanciulli», una gioventù del Frate canora e manesca. La liturgia ascetica culmina nel rogo delle vanità Martedì grasso: vanno in fumo moda femminile, gusto profano, douceur de vivre, tutta roba diabolica; fra´ Girolamo è un ayatollah sotto mantello domenicano (che perfetto inquisitore sarebbe), scolasticamente quadrato, parlatore sicuro ma troppo disinvolto nell´arrogarsi poteri soprannaturali fuori del canale ecclesiastico. Era inevitabile il conflitto con Roma, sebbene Rodrigo Borgia, papa Alessandro VI, sia good natured, tollerante, dedito alla famiglia tra amanti e figli (l´ultima è Giulia Farnese, sorella d´un giovane cardinale futuro papa, Paolo III, trasposto da Stendhal nella Chartreuse de Parme). Sospenda le prediche, intima un breve. L´afasia dura solo 114 giorni dal 25 ottobre 1495. Le Signorie bimestrali lo seguono: fingendo che Roma sia d´accordo, risale al pulpito e rincara le aggressioni; minaccia castighi d´oltretomba; vanta quinte colonne negli Ordini religiosi; il mondo resterà senza fiato quando lui impugni una «chiavetta» svelando dei segreti. Chi ha affondato le navi imperiali davanti a Livorno? Degli angeli. Machiavelli va a sentirlo, mosso da fredda curiosità. Gli pare «versuto» ossia scaltro con sfumature subdole. Domenica 19 giugno 1497 arriva la scomunica. Il silenzio gli taglia le gambe. Come non bastasse, s´inimica i palleschi o «bigi» lasciando che una Signoria dove prevalgono i piagnoni condanni a morte gl´imputati d´un velleitario complotto e li decapiti nonostante l´appello (una delle sue riforme). S´è squalificato, nota Machiavelli. A Natale canta tre messe. Nell´ottava dell´Epifania 1498 tiene un pio baccanale. Taceva da 252 giorni e domenica 11 febbraio riappare nel Duomo, in spregio alla scomunica: «Te Deum» ma non ha più quel pubblico; molti aprono gli occhi. Domenica 25 annuncia una prova risolutiva delle sue tesi: che lui tratti direttamente con Dio; Alessandro VI sia falso papa; incombano convulsioni. Esegue l´«experientia» quarantott´ore dopo, Martedì grasso, dal pulpito eretto sul sagrato del convento, avendo invocato fulmini divini se quanto afferma fosse falso; dopo mezz´ora è illeso, quindi vero profeta. Ciarlatanerie da fiera. Benito Mussolini, socialista anarcoide, le ripete più decorosamente (Losanna, 25 marzo 1904) confutando Alfredo Tagliatela, pastore evangelico romano, così: gli diano un orologio; accorda dieci minuti al Padreterno; lo lasci secco, se esiste; e conta, uno, due, tre ecc. Dopo le mancati folgori, rogo delle vanità, processione, ballo omofilo. La pietà savonaroliana è misogina («quam iocundum, fratres, habitare omnes in uno»). Gesti incauti: la Signoria appena eletta conta cinque antifrateschi su nove; missive romane chiedono la consegna del ribelle o che stia sotto custodia, muto, se no Firenze subirà l´interdetto. Nei luoghi interdetti non corrono più sacramenti: poveri cristiani muoiono senza confessione né viatico; peggio ancora, crollano gli affari. Mercoledì 28 inaugura il quaresimale: l´uditorio scema a vista d´occhio; venerdì trasloca a San Marco, dove semina «spaventi», racconta Machiavelli. Domenica 11 i fedeli tacciono mentre scuote Iddio inerte (e la claque?). Umore basso anche mercoledì 14: «avemo a summergere Faraone e passare el Mare Rosso»; indi apostrofa i consultori che stanno discutendo a Palazzo; «gagliardi» i frateschi; contorti, fumosi, volpini, «mozzi e fra´ denti» i nemici; all´inferno li aspettano sedie pronte. Sabato 17 seconda consulta, ristretta, e conclusione «maiore numero»: desista dalle prediche; ma non conviene consegnarlo al papa né chiudere San Marco. Così deliberano i Signori unanimi. Nella tarda sera glielo notificano: dipende da «altro Signore lui»; «con epso consulter[à]»; tornino domani. Domenica mattina tiene l´ultimo sermone ufficiale, lunghissimo, labirintico, riposando nove volte. Il pubblico del signor B. capirebbe un acca. Imita Geremia e recita un tête-à-tête con Dio come ne teneva Mosè: «mala novella, non vorrei avervela a dire»; gli tolgono la parola e i suoi «condescendono»; «sappiate che ’l Signore è fortemente adirato». Risuonano le solite maledizioni: l´anno scorso, sospese le prediche, «è morta molta gente»; «quanti s[ia]no andati allo inferno, ti so dire io»; capiterà qualcosa?; «mala nuova, non vorrei averlo a dire». Sarà «un piacere starmi nelli mia studi». «Illuminagli, Signore, che non vadano allo inferno», e benedica i fiorentini. Commiato debole: nessuno grida «misericordia!»; ser Lorenzo Violi, stenografo, non raccoglie voci dal pubblico. Erano bluff i «supernaturalia signa» minacciati tante volte («Lazare, veni foras!»). Li vanta ancora nelle lettere ai sovrani, non spedite (l´imperatore Massimiliano, Carlo VIII, Ferdinando e Isabella, Enrico Tudor, il re d´Ungheria): chiede un concilio che deponga Alessandro VI, papa simoniaco e ateo; disegna crociate; garantisce glorie militari. Prima o poi gl´incantatori cadono. Avesse la testa sul collo, salverebbe quel che può. La fine è un complicato suicidio. Glielo combina fra´ Domenico, energumeno dal lungo record: impegnato a Roma nell´affare dei conventi, maggio 1493, voleva risuscitare un cadavere davanti al papa. Settembre 1495, sfida alle fiamme gli antifrateschi (se accettano, passerà primo). Infine (Prato, Quaresima 1497) piglia in parola Francesco da Puglia, dell´omonimo Ordine, che non parlava sul serio e, infatti, alla vigilia dell´«experimento» sparisce; venuto in Santa Croce, ne riparla domenica 25 marzo. Vanterie innocue. Basta lasciarle cadere. Mercoledì Domenico l´idiota ha già risposto. L´indomani s´impegna, ma Francesco sfida Girolamo, sapendo che non verrà. Giovedì 29 trovano l´intesa: scenderanno in campo dei rappresentanti; compare Mariano Ughi, campione minorita; sebbene sia morte sicura, «me obbligo», «molto contento» perché salva delle anime chi smaschera un falso profeta. Il quale post eventa racconta d´avere agito malgré lui: ormai è in ballo; e specula sulla paura; bisogna che l´ordalia sfumi, risultando inadempienti i francescani. Tripudio piagnone: Dio dormiva; le fiamme lo sveglieranno (sono passati quasi tre secoli dal rifiuto delle «purgationes vulgares»: Quarto Concilio Laterano, 1215). Impresa terribilmente rischiosa: se gli va bene, esce per il rotto della cuffia; soffia nelle midolla altrui ma gioca tutto sulla vittoria legale senza fuoco. Nella lettera 3 aprile al papa (mittenti trecento confratelli fiorentini, fiesolani, pratesi) tenta una mossa furbesca: l´intero sistema sarebbe travolto dal miracolo, quindi conviene a tutti schivarlo. S´accontenta d´aperture minime. I curiali sorridono, teste fredde. Allestire o no l´obsoleto iudicium Dei? La Signoria convoca delle consulte: su 48 opinioni le negative sono appena 14, antisavonaroliane o neutrali; rispondono sì 27 devoti e 7 avversari. Venerdì 6 aprile le parti stipulano una «conventio de ingrediendo in ignem»: fra´ Girolamo vince in un solo caso, che il domenicano esca incolume e l´avversario no; perde se ardono entrambi; qualora l´esperimento non avvenga, soccombe chi l´ha impedito. Puntava su tale clausola, ma vede meglio Doffo Spini, capo degli Arrabbiati: non importa chi sia l´inadempiente; purché l´ordalia vada a monte, lui cadrà dal piedistallo. Sabato 7, tarda mattina, i domenicani arrivano ultimi cantando trionfalmente. Interminabile schermaglia leguleia. I minoriti l´avevano detto e ridetto: è suicidio passare nel fuoco; chiedono però una visita corporale, caso mai Domenico fosse protetto da fatture diaboliche o magie naturali, e che posi il crocifisso. Allora porta l´ostia consacrata. Ovvio sdegno ex adverso. Lo stallo risulta insuperabile. Passano sei o sette ore, con un breve temporale: il pubblico tumultua; lo spettatore meno accorto capisce che débâcle morale stia subendo l´ex profeta, ora tignoso cavillante; dove sono i miracoli? L´entusiasmo sbolle in furente delusione. La Signoria li congeda (nel merito della chicane i francescani avevano gli argomenti migliori). Senza la scorta, finirebbe male. Nel convento predica alle donne, in preghiera dal mattino, e racconta d´avere vinto. L´indomani sera sotto l´assalto vaga stralunato. In prigione ammette che Dio gli abbia «subtratto» lo spirito. Mercoledì mattina 23 maggio va sulla forca con i due adepti, indi i «fanciulli» dell´angelica polizia lapidano i cadaveri. Tali i fatti. Era megalomane, incantatore astuto, politicante inetto, cattivo stratega. I devoti trasfigurano uomo ed eventi o li rimuovono. La «cristallisation», insegna Stendhal, conta molto nell´economia dei sentimenti, ma esistono limiti al trasfigurabile: che fra´ Girolamo, padrone d´anime, falso taumaturgo, profeta baro, teologo d´uno Stato totalitario, incarni lo spirito del Rinascimento, prefigurando Riforma, lumi, filosofie liberali e addirittura libertarie, non è discorso storiografico; chiamiamola ciarla da cantafavole, favola nera. Franco Cordero