La Repubblica 03/03/2006, pag.25 Giampaolo Cadalanu, 3 marzo 2006
I segreti della Grande Ostrica un mollusco inventò Manhattan. La Repubblica 3 marzo 2006. Quando il mondo era meno affannato e i mari più puliti, la città fondata dagli Olandesi alla foce dell´Hudson col nome di Forte Amsterdam meritava il soprannome di "Grande ostrica"
I segreti della Grande Ostrica un mollusco inventò Manhattan. La Repubblica 3 marzo 2006. Quando il mondo era meno affannato e i mari più puliti, la città fondata dagli Olandesi alla foce dell´Hudson col nome di Forte Amsterdam meritava il soprannome di "Grande ostrica". La baia di New York era un immenso vivaio, ancora nell´Ottocento capace di saziare metà dell´appetito mondiale. E gli abitanti ne approfittavano contenti. Erano i tempi in cui l´amore per il mollusco univa tutti, dall´inglese Charles Dickens all´operaio e al manovale, davanti ai chioschetti stradali. Serrata fra le conchiglie c´era la perla delle opportunità. Come dirà Alistair Cooke, storico corrispondente della Bbc negli anni Quaranta, «chi veniva in America si accorgeva che il mondo era la sua ostrica». La parabola del più pregiato fra i frutti di mare è diventata metafora della storia di New York grazie a uno scrittore goloso e appassionato come Mark Kurlansky. Il saggista che ha sollevato il merluzzo dall´umiltà e ha consacrato il sale come protagonista della storia, ha lanciato nelle librerie americane un´apologia dell´ostrica che è insieme un inno alla città dove vive e un grido di dolore per l´inquinamento. The Big Oyster, la Grande Ostrica, che Mondadori porterà in Italia quest´autunno, racconta l´evoluzione dei costumi e il cambiamento della società americana attorno al guscio ruvido dell´Ostrea Edulis e al suo contenuto viscido e gustoso. Il declino cominciò forse con la trovata di un genio del marketing: The Big Apple, la Grande Mela, icona straordinaria per la terra delle occasioni, simbolo di una felicità tutta da mangiare. Niente conchiglie tenacemente chiuse, né rischi di sabbia o alghe putrefatte. Il sogno a portata di mano era vero solo per pochi, ma che importava? I grattacieli salirono alle stelle, i prezzi degli affitti anche, i newyorchesi si accorsero che dovevano nuotare o affogare, e accelerarono i ritmi. Bisognava produrre sempre più veloci, anche a costo di sporcare l´Eden dei bivalvi. L´unico motto era quello di Andrew Carnegie, industriale dell´acciaio, filantropo e, a suo modo, filosofo: «E´ il primo che arriva a prendersi l´ostrica. Per gli altri, resta solo il guscio». Intanto nei banchetti stradali si affermavano i salsicciotti di pessima carne suina, le ciambelle lievitate e gli snack di farina con cristalli di sale. Hot dog, bagel e pretzel avevano vinto: il quarto d´ora strappato dai newyorchesi ai progetti di carriera e alle esigenze di sopravvivenza era loro. Per le ostriche restava una nicchia: estasi per gli intenditori, cibo-status per i ricchi, ausilio più o meno autentico per gli amanti. Un tempo tutta la baia di New York era costellata di allevamenti: i bivalvi di Staten Island, di Jamaica bay, o persino dell´East river, erano considerati i migliori del mondo. Ma i newyorchesi lo apprezzavano troppo. Già gli indiani Lenape ne andavano matti, molto prima che i visi pallidi comprassero l´"isola delle colline" - Manahatta nel dialetto algonchino - per un pugno di perline del valore di 24 dollari. Poi furono i coloni venuti dal Vecchio mondo a diventare ingordi. Fra il 1820 e il 1920, racconta Kurlansky, centinaia di sloop, ormai per tutti "vascelli da ostriche", affollavano la baia per riempire le chiatte che provvedevano poi alla distribuzione. I molluschi si mangiavano crudi, all´aperto, su bancarelle, oppure bolliti nei tavoli dei mercati, nei ristoranti. E quello che New York non consumava, finiva nei barili sui treni diretti verso il mid-West o nelle stive dei traghetti che arrancavano verso il vecchio Continente. Poi la baia diventò più spoglia. L´acqua dell´Hudson e dell´East river cominciò a mostrare i segni della modernità. I bivalvi sparirono, i ristoranti di tendenza furono costretti a servire prodotti di mari lontani. Il rito popolare di un tempo non esisteva più, sfrattato dal fast food. Cibo veloce, sapori forti e stomaci pieni, per i tempi in cui assaporare è diventato un lusso. Giampaolo Cadalanu