La Stampa 14/03/2006, pag.14 Roberto Beccantini, 14 marzo 2006
C’eravamo tanto arricchiti. La Stampa 14 marzo 2006. Il 5 maggio, quel che resta della schedina compirà 60 anni
C’eravamo tanto arricchiti. La Stampa 14 marzo 2006. Il 5 maggio, quel che resta della schedina compirà 60 anni. Per più di mezzo secolo è stata abitudine e sogno, evviva e abbasso. La riffa di un popolo, il simbolo di carta che la modernità e la concorrenza hanno travolto e sconvolto, sino a ridurla a un mucchietto di cenere. Massimo Della Pergola, il suo «papà», ha tolto il disturbo proprio nel momento in cui il Milan flirta con la «Betandwin», multinazionale delle scommesse. Perché sì, adesso si vive per scommettere mentre allora si scommetteva per vivere. Millenovecentoquarantasei, Arturo Toscanini inaugura la Scala ricostruita, escono «Sciuscià» di Vittorio De Sica e «Paisà» di Roberto Rossellini. La guerra ha lasciato ferite e speranze. I concorsi legati ai pronostici sportivi li aveva inventati la Svezia, nel 1926. In Inghilterra, da sempre, era possibile puntare su tutto. In Italia, su niente. La prima schedina coinvolge dodici partite e, come recitavano le locandine pubblicitarie, costa 30 lire, il «prezzo di un vermouth». nel 1951 che nasce il fatidico «tredici»: le probabilità di azzeccarlo, giocando una sola colonna, sono una su 1.594.323. Piano piano, gli italiani ci prendono gusto. «1 X 2» diventa una sorta di formula iniziatica; e i bar, i ritrovi di questi «carbonari» che farneticano di ghigliottinare la fortuna con la lama del pallone. Il 3 gennaio 1954 debutta, ufficialmente, la televisione. Il 26 novembre 1955, tocca a «Lascia o raddoppia». La conduce un italo-americano che segnerà un’epoca, nella lingua e nei costumi: Mike Bongiorno. In fin dei conti, anche la schedina è un quiz. Sono gli anni del boom e delle Olimpiadi (Cortina 1956, Roma 1960), con il Totocalcio il Coni finanzia lo sport nazionale. Le prodezze dei campioni invadono, così, la vita minuta dell’uomo della strada, al quale basta illudersi che gliela possano cambiare. Emilio Biasetti, impiegato milanese, passa alla storia come proto-vincitore. Azzecca tutto, di quel fatidico 5 maggio ’46: dal pareggio del Genoa a Como al successo casalingo della Sampierdarenese. Porta via 463.846 delle vecchie lire, in banconote da diecimila formato lenzuolo. Gli argini cedono, già a fine anno le giocate arrivano a un milione la settimana. Si allarga la clientela, come si direbbe oggi, cresce il monte-premi. Il primo milionario è un minatore sardo, Giovanni Mannu: 77 milioni nel ’50. Persino i telegiornali narrano le imprese del bigliettaio Giovanni Cappello, 75 milioni, e dell’operaio Giovanni Frigato, 74. Poveri ma belli un corno. La schedina gonfia i cuori e, in qualche circostanza, le tasche. E allora, sotto. Quota cento milioni viene trionfalmente abbattuta nella stagione 1953-’54: protagonisti, uno scommettitore di Prato e uno di Savona. Chi li tiene più, questi evasori della realtà, di bocca buona e competenza media, tentati da una strega delle dimensioni di un foglietto. A cavallo fra il 1956 e ’57 succede un fatto strano: nel dare notizia di una mega-vincita avvenuta a Bologna, 233 milioni, record dei record, i quotidiani sportivi e non usano per la prima volta il termine «anonimo». In effetti, sul retro della schedina c’è scritto «mamma e io». Punto e basta. l’epifania di una nuova frontiera, il vizietto del gioco che si marita con il vizio di dribblare il fisco. Ne verranno celebrati molti, di questi matrimoni. Aumenta, il ritmo, con la moltiplicazioni dei pani e dei pesci: 62 miliardi, nel ’67. La storia ispira storie. Le storie creano personaggi. C’è quella, tragi-comica, di un verniciaio di Cassina Nova di Bollate, cintura milanese: la sua schedina, fonte di un consistente gruzzolo (130 milioni e rotti), fu regolarmente versata in banca, ma si smarrì alla periferia di Roma. C’è quella, più torbida, di un tredicista che il Coni denunciò per truffa: reclamava un «colpo» da un miliardo, cancellato da un errore della macchinetta. Respinto con perdite dalle autorità vigilanti. Inoltre: la saga di Lino Cazzavillan, veneziano, uno che in 40 anni vinse 420 volte. Con quel cognome, o nonostante quel cognome. La faccia di un cianotico «re per una domenica» che scoprì, all’atto di alzare i calici, che l’amico di fiducia a cui aveva affidato l’incarico di giocare la schedina, non l’aveva giocata per improvvisa coda agli sportelli. L’avventura, come ha scritto Marco Patonesi sulla «Gazzetta», di Alessandro, Valerio, Claudio, Cristian, Tomas, Costanza e Luca della Divisione Julia: «non alpini, ma studenti dodicenni dell’omonima scuola media», capaci, con un sistemino qualunque, di americanizzare l’esistenza delle proprie famiglie. Il culto, morboso se non religioso, ha prodotto addirittura un film, «Ha fatto tredici», del 1951), con Carlo Croccolo, Mario Riva, Silvana Pampanini e Antonella Lualdi. La trama s’impernia su un tizio, Mario Rossi, «perdente» non appena diventa «vincente». La schedina di Massimo Della Pergola ha resistito agli scandali del calcio-scommesse, ma non al logorìo del rito e tanto meno alla spalmatura dei calendari e all’invasione barbarica di altri concorsi, più immediati, più efficaci (Lotto, Superenalotto) e delle bische clandestine. Le hanno praticato la respirazione artificiale, trasformandola in una lotteria (si vince col 14 ma pure col 9), le hanno affiancato il Totogol, sono stati costretti a sopprimere il Totobingol e il Totosei: non tiravano. Nel 1998, la raccolta complessiva dei concorsi calcistici ammontava a 1 miliardo e 689 milioni di euro. Da allora, il crollo: un miliardo di euro nel ’99, 800 milioni nel 2000 sino ai 443 milioni del 2005. C’eravamo tanto amati: si dice sempre così, in questi casi. Tanto amati e tanto arricchiti. Come i tre anonimi «cacciatori» che, il 7 novembre 1993, in virtù di un rigore trasformato da Beppe Signori a 8’ dal termime di Napoli-Lazio (segno in schedina, 2), si papparono 5.549.756.245 lire a testa. Uno aveva giocato a Crema, uno a Patti Marina (Messina), il terzo in un autogrill della Napoli-Salerno. Fu, quella, la cima Coppi della schedina, che oggi pedala in fondo al gruppo, confusa, accerchiata, avvilita. Ci ha fatto sentire casto l’azzardo e provocante l’attesa. stata un’Italia che non c’è più. Roberto Beccantini