Varie, 16 marzo 2006
Tags : Emile Griffith
GRIFFITH Emile Isole Vergini (Stati Uniti) 3 febbraio 1938. Ex pugile. Famoso da noi per i «[...] tre incontri con Nino Benvenuti che a fine anni Sessanta buttarono giù dal letto l’Italia: ”Io credo di averne vinti almeno due, ma gli arbitri me ne hanno dato uno solo: niente di male, con Nino è nata una grande amicizia”
GRIFFITH Emile Isole Vergini (Stati Uniti) 3 febbraio 1938. Ex pugile. Famoso da noi per i «[...] tre incontri con Nino Benvenuti che a fine anni Sessanta buttarono giù dal letto l’Italia: ”Io credo di averne vinti almeno due, ma gli arbitri me ne hanno dato uno solo: niente di male, con Nino è nata una grande amicizia”. Potrebbe continuare a parlare delle sue sfide con Carlos Monzon o dei suoi sei titoli di campione del mondo [...] una vita passata a nascondere la sua sessualità [...] 14 maledetti secondi di rabbia mostruosa [...] un insulto sibilato prima del match e di un avversario messo al tappeto. Per sempre: ”Uccisi Benny ”the kid’ Paret, ma non perché mi aveva chiamato gay: volevo solo vincere un altro incontro. Quella sera però ha cambiato per sempre la mia vita”. A quella sera è dedicato Ring of fire, un documentario che in pochi mesi è diventato oggetto di culto per gli amanti della boxe. [...] è sempre difficile per un atleta ammettere la propria omosessualità, figuriamoci allora quando sei nero e pugile. Allora era il 1962 e negli Stati Uniti solo scrittori come Allen Ginsberg e Gore Vidal dicevano apertamente di essere gay. Emile Griffith allora di anni ne aveva solo 23 [...] e agli incontri andava accompagnato dalla madre che sempre indossava uno dei cappellini disegnati dal figlio. Poche ore prima dell’incontro che gli avrebbe cambiato la vita Emile Griffith era andato alla pesa nervoso. Era la terza volta che incontrava Benny ”the kid” Paret: la prima gli aveva tolto il titolo mondiale, la seconda se lo era visto riprendere ai punti. Ma a innervosirlo non era tanto la paura dei pugni, piuttosto le parole di Paret, che l’ultima volta che si erano incontrati gli aveva dato apertamente dell’omosessuale: ”Maricon” gli aveva detto in faccia. E Griffith temeva che lo avrebbe ripetuto. Aveva cercato di stargli alla larga, ma all’improvviso Benny era apparso alle sue spalle, gli aveva pizzicato il sedere e aveva ripetuto davanti a tutti: ”Hey maricon, prima o poi acchiapperò te e tuo marito”. Gil Clancy, l’allenatore di Griffith, aveva dovuto trattenere il suo campione: ”Risparmia la tua rabbia per stasera”. Quella sera al Madison Square Garden di New York c’erano quasi 8 mila persone e al dodicesimo round il ring era avvolto del fumo delle sigarette. Griffith colpì l’avversario con un destro micidiale, poi un altro, e un altro. A rivedere la scena è chiaro che a quel punto Benny aveva già perso conoscenza. Ma l’arbitro sapeva di avere di fronte un incassatore straordinario e non fermò l’incontro. In 6 secondi Griffith assestò 18 cazzotti micidiali: ”Credo che abbiamo appena assistito a un omicidio gay” sussurrò al suo vicino Pete Hamill, giornalista e scrittore. Mentre Paret, già in coma, veniva portato fuori dall’arena in barella, Griffith dichiarò: ”Sono orgoglioso di essere di nuovo campione mondiale, spero che Paret si ristabilisca presto”. Dieci giorni dopo Paret sarebbe morto. Il senatore Rockefeller chiese che la boxe fosse messa al bando, lo stesso fece il Vaticano. Qualcuno cercò di mettere in relazione l’insulto e la morte, ma non era facile: quando un giornalista del ”New York Times” spiegò che ”maricon” in spagnolo vuole dire omosessuale, l’articolo venne bloccato. E invece di gay venne scritto ”anti-uomo”. Per i giornali fu più comodo mettere la morte in relazione a un incontro che Paret aveva combattuto tre mesi prima, finendo al tappeto, soffrendo forse di un’emorragia cerebrale mai diagnosticata. Ma per Griffith non fu una grande consolazione. Anni prima di ucciderlo lui con Benny aveva giocato a basket nei campetti di Harlem, dove erano cresciuti insieme. Dopo la morte di Paret per Griffith iniziano lunghe notti piene di incubi: nel più ricorrente Emile vede un posto vuoto in una palestra, si siede ma poi capisce che la voce che glielo ha indicato è quella di Paret. A quel punto deve godersi il match con un uomo morto. Griffith non ricorda facilmente. [...] Ron Ross, il suo biografo [...] dopo decine di conversazioni si è convinto che tra l’insulto e la rabbia sul ring ci fosse solo un nesso indiretto: ”A fare arrabbiare Griffith non fu sentirsi chiamare gay, ma che quella parola fosse usata in modo denigratorio”. Secondo chi lo conosce, il campione è un bisessuale: pochi anni dopo si sarebbe sposato, e una volta venne trovato dal suo allenatore a letto con due bionde a Las Vegas. [...] Dopo quella notte maledetta, Griffith combatté per altri 15 anni e vinse altri titoli, ma si portò sempre dentro la paura di fare del male all’avversario. Una volta abbandonato il ring, ha lavorato come secondino in un riformatorio [...]» (Marco De Martino, ”Panorama” 9/3/2006).