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 2006  marzo 16 Giovedì calendario

Con le elezioni politiche alle porte, «Macchina del Tempo» è entrata idealmente nel backstage della Doxa, il più antico istituto italiano specializzato in analisi demoscopiche, per capire quali sono i meccanismi matematici su cui si basano i sondaggi politici

Con le elezioni politiche alle porte, «Macchina del Tempo» è entrata idealmente nel backstage della Doxa, il più antico istituto italiano specializzato in analisi demoscopiche, per capire quali sono i meccanismi matematici su cui si basano i sondaggi politici. A fare da guida in questo non facile percorso è stato il professor Elio Brusati, direttore scientifico dell’istituto, al quale abbiamo subito chiesto la formula per sapere, in anteprima, come i politici riescano ”a dare i numeri”. «Non esiste una formula che permetta di fare queste previsioni», spiega Brusati, «perché nei sondaggi bisogna conciliare la matematica con la statistica, due sorelle con caratteri opposti. La matematica è rigorosa e non ammette sbagli, mentre la statistica contempla un certo margine d’errore». Cerchiamo allora di capire come si procede nella pratica. «Per realizzare un attendibile sondaggio elettorale la prima cosa da fare è stabilire chi dovrà essere intervistato. Non potendo interpellare ogni singolo cittadino, per ovvi motivi pratici, la scelta deve cadere su un numero di persone che rappresenti la popolazione nella sua interezza». Se, ad esempio, la popolazione italiana è formata per il 70 per cento da donne e per il 30 per cento da uomini, un campione di 100 persone scelte per rappresentarla deve essere composto da 70 donne e 30 uomini. Come si fa a ”costruire” il campione perfetto? «Per ottenere un campione valido si divide il numero totale dei cittadini (N) per il campione di cittadini di cui si intende sondare le preferenze (n). Questo campione viene deciso a tavolino, di concerto col committente del sondaggio e secondo le sue esigenze. Ne risulta una certa quota di persone (Q) dalla quale, poi, si estraggono, a caso, quelle che saranno contattate. Tale metodo, riassumibile nella formula N/n=Q, assicura una copertura omogenea di tutto il territorio». Ma quanto il pensiero del campione rispecchierà davvero quello dell’intero Paese? «Dipende dalle dimensioni del campione rispetto a tutta la popolazione. Più è grande e maggiori sono le probabilità che coincida con quello della collettività, perché più persone sono chiamate a esprimersi». Che cosa succede, poi, se alcune persone rifiutano di farsi intervistare o non possono essere contattate? « un rischio al quale siamo abituati, ma che può essere calcolato grazie alla formula dell’errore standard di campionamento (e), che è questa: e = ± k ? (P · P’)/n. In questa formula P rappresenta la percentuale del campione che ha espresso una preferenza, P’ la percentuale rimanente, n il campione di partenza. K è un fattore a cui di solito si dà valore 2, per mantenere l’errore in un margine del 5 per cento, entro il quale la rappresentatività del campione resta attendibile». Una volta stabilito il campione, un gruppo di operatori effettua le interviste per telefono, faccia a faccia o attraverso un questionario che il cittadino deve compilare e rispedire al mittente. La regola è che ogni sondaggio serio non dovrebbe mai proporre domande che possono influenzare la risposta degli intervistati. Invece succede... Un esempio? Eccolo: « vero che lei preferisce i vini nazionali a quelli esteri?», è una tipica domanda deviante, in cui quel ”è vero” iniziale dà per scontata l’opinione dell’intervistato che, da parte sua, trova comodo accettare quella risposta anche se non è tanto convinto. L’ultima fase del sondaggio è l’elaborazione dei dati raccolti. I computer li correggono e li ordinano in tabelle. Le persone che hanno dato lo stesso voto contribuiscono a costruire la percentuale che, in rapporto al totale degli intervistati, fornisce il risultato finale del sondaggio. Nonostante il massiccio impiego della tecnologia e dell’informatica, però, il metodo di base per una buona indagine resta quello messo a punto negli anni ’30. La storia dei sondaggi elettorali comincia, infatti, negli Stati Uniti con le presidenziali del 1936. Alcuni mesi prima dello scrutinio, il giornalista George Gallup predisse la vittoria del democratico Roosevelt sul repubblicano Landon. battendo l’autorevole rivista ”Literary Digest” che non indovinò il risultato. Come ci riuscì? «Gallup», ricorda Brusati, «era un uomo profondamente democratico. Per lui il sondaggio era la voce del popolo. Aveva una vocazione per la statistica e il suo vero merito fu quello di applicare i metodi di questa disciplina alle sue previsioni, coinvolgendo un campione d’elettori che rappresentasse tutte le classi sociali». Il ”Literary Digest” fallì proprio perché puntò sul campione sbagliato. Scelse troppo a caso gli elettori da intervistare prendendo i loro nomi dall’elenco telefonico e dal registro automobilistico, fonti che escludevano i ceti meno abbienti, tradizionalmente democratici. E invece da un campione di soli 1.500 elettori (contro uno di 2 milioni e mezzo, preso in esame dal giornale) Gallup riuscì a capire come la pensava l’intero Paese. «Il suo metodo fece scuola e, in pochi anni, favorì la nascita negli Stati Uniti e in Europa dei primi istituti per sondaggi d’opinione». Ancor oggi i sondaggi sono visti con scetticismo e superficialità, forse per mancanza d’informazione o forse per gli errori, inevitabili, che possono verificarsi nei risultati. Spesso, poi, sono accusati di condizionare il voto degli elettori o di dar luogo a situazioni paradossali, come quelle in cui due schieramenti politici opposti propagandano gli stessi risultati e uguale indice di gradimento dei cittadini. « una storia vecchia come il mondo», conclude Brusati, «ogni partito rende pubblica solo la parte del programma politico che ha ottenuto consensi tacendo abilmente tutto il resto. Ma nonostante tutti i loro limiti i sondaggi, come ci ha insegnato Gallup, restano la più autentica espressione della democrazia».