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 2002  aprile 11 Giovedì calendario

Storia (o falso mito?) di un contadino cubano, Sette, 11 aprile 2002 Gli occhietti vispi, incastonati in una raggiera di rughe profonde, il sigaro tra le dita e il panama ben incastrato sui capelli bianchi

Storia (o falso mito?) di un contadino cubano, Sette, 11 aprile 2002 Gli occhietti vispi, incastonati in una raggiera di rughe profonde, il sigaro tra le dita e il panama ben incastrato sui capelli bianchi. Don Alejandro Robaina, 84 anni, è un contadino diventato leggenda vivente. A l’Avana e nel mondo. Perché con le foglie di tabacco dei suoi campi si confezionano sigari famosissimi come i Cohiba o i Montecristo. E perché nel 1997, Fidel Castro ha voluto premiare il suo lavoro, dedicandogli una marca di habanos: i Vegas Robaina, sulla cui scatola è impressa proprio la sua immagine. Da allora, Don Alejandro ha iniziato a girare il mondo, osannato da fumatori e collezionisti che si contendono la sua presenza nei vari club per amatori. «E pensare che prima non ero mai uscito dal mio orto», ridacchia il vecchio agricoltore. Ora, lo si può incontrare in giacca e cravatta a Milano, Berlino, in Arabia Saudita, mentre interpreta il suo ruolo part-time di anziana icona itinerante. Con le mani ruvide, ancora forti dopo decenni di lavoro della terra, Robaina impugna il suo pennarellone a inchiostro dorato e firma i sigari degli ammiratori in delirio, piazza autografi su magliette e scatoloni, celebra le lodi dei prodotti della Revolucion e rimprovera tutti gli occidentali che usano il taglierino prima di accendere un nuovo ”avana”: «Il sigaro va morso», dice con sguardo malandrino, «come il capezzolo di una donna». Finito il viaggio di rappresentanza (a spese del club ospitante di turno), Don Alejandro torna nella sua piccola casa di San Luis, nella provincia cubana di Pinar del Rio, dove è nato e cresciuto: quattro stanze spoglie, un patio con la sedia a dondolo da cui osserva le piantagioni e un bagno senza specchio. Qui Robaina, abbandonata la ”scorta diplomatica” delle trasferte, riprende la vita nei campi. La sua famiglia coltiva tabacco dal 1845, da quando il nonno Leopoldo si trasferì a Cuba dalle isole Canarie, e Don Alejandro ha mantenuto la tradizione: frequenta le piantagioni sin da quando era bambino, il suo primo sigaro lo ha fumato a dieci anni e se non fosse per la moglie che gli evita di accenderne più di cinque al giorno lui starebbe sempre con uno dei suoi puros in bocca. Anche dopo la Rivoluzione del ’59, Robaina è rimasto proprietario dei 17 ettari di famiglia, ma i prodotti dei suoi appezzamenti vengono venduti tutti alla Società governativa del Tabacco, che li compra a prezzi stracciati. Grazie alla qualità delle coltivazioni, comunque, i contadini che lavorano nei suoi campi vengono pagati 19 dollari al mese, invece che 16 come gli altri braccianti. «La vera passione di Robaina è la terra», spiega Andrea Molinari, titolare della Casa del Habano di Milano e grande amico di Don Alejandro. «Continua a lavorare molte ore al giorno. E quando non è in mezzo ai campi a controllare le foglie di tabacco, è nel suo orto a curare orchidee e fiori di ogni tipo. Bisogna stringerli la mano, sentire i calli che la deformano, per intuire quanto tempo ha passato Robaina sui campi». Per capire perché sia così stimato, invece, basta passare una giornata con lui a San Luis. Lo si vedrà passeggiare sotto i teloni di cotone bianco che coprono le enormi foglie di capa (quelle esterne nei sigari), lo si sorprenderà mentre palpa le piante. «Le assaggia pure, anche se non sono esattamente commestibili», racconta Molinari, «per capire se vale la pena di farle invecchiare tre anni. il suo modo per assaporare gli olii vegetali, gli aromi che poi si ritroveranno nel sigaro. Non a caso Robaina ama dire: ”Se il fumo fa male, allora fa male anche la cicoria”. Perché lui tratta il tabacco con una cura impressionante». questo è il suo segreto? «Non solo», continua Molinari, «la terra di San Luis viene trattata solo con concime a base di cacca di mucca di quattro anni». Se chiedete a Robaina il perché di questa stranezza, lui vi risponderà: «Perché mio padre e mio nonno facevano così e non hanno mai sbagliato un colpo». Se invece lo chiedete a Francesco Fincato, esperto di sigari e proprietario della Casa del Habano di Roma, vi dirà che potrebbe essere l’ennesima balla per alimentare il mito di Robaina. Gulp. Cioè? «I cubani», spiega Fincato, «si sono sbadatamente scordati di registrare i marchi dei loro sigari più famosi e molti Stati del Centro America hanno iniziato a imitarli. Per questo avevano bisogno di mettere sul mercato un nuovo brand. Allora hanno preso un vecchiettino un po’ incartapecorito e ne hanno fatto un mito. Non ci sono dubbi che Don Alejandro sia un esperto di tabacco, ma la sensazione che si ha quando lo si incontra, quando lo si vede trascinato in mezzo a tanta gente, è che sia tutta un’operazione di marketing ben orchestrata». Effettivamente l’alone mitico che c’è intorno a questo personaggio qualche sospetto lo fa venire. Dalla cerimonia ufficiale durante la quale Fidel Castro ha consegnato a Don Alejandro una Lada (la mitica Fiat 124 prodotta in Russia), alle visite guidate nella sua casa di campagna, tutto ricorda abbastanza la propaganda intorno alle gesta del compagno Stakanov, il leggendario operaio sovietico. Umile contadino? Strumento del marketing? Alejandro Robaina è tutte e due le cose, e lo sa. Un paio di anni fa, interrogato da alcuni produttori di sigari toscani sul perché le foglie di Cuba vengono spesso distrutte dai vermi, mentre quelle italiane vengono risparmiate, Robaina ha dato una risposta che racchiude in sé il suo duplice ruolo: «Porqué los bichos no comen mierda! (Perché i vermi non mangiano merda!)». Non molto diplomatico verso i sigari toscani, ma efficace. Quando lo si va a trovare nella sua casetta (’Ingresso solo su prenotazione”) la prima cosa che mostra il pubblico è una targa di marmo di Carrara con intarsi di vetro di Murano su cui c’è scritto: ”Vegas Robaina 1845”. «I migliori marmisti del mondo», dice lui soddisfatto, «e i migliori vetrai del mondo, per il migliore coltivatore di tabacco del mondo».Dopodiché gli tocca portare in tasca, come a tutti i cubani, la tessera (libreta) per il razionamento del cibo. Rimane il fatto che con le sue foglie vengono confezionati ogni anno circa 9 milioni di sigari di grande qualità e questo dato fa di lui il miglior ambasciatore possibile per gli habanos. E allora ecco, che uscito dal recinto di legno della sua finca (l’azienda agricola), conversa amabilmente con Felipe Gonzales, ex primo ministro spagnolo, con Yasser Arafat, con gli amministratori delegati di molte superaziende e con gli sceicchi che si contendono a suon di milioni i suoi sigari firmati. L’unico vero inconveniente di questa vita in cui si alternano la passione per il lavoro della terra e i pranzi di gala è che la fedeltà a Castro comporta qualche inconveniente. Così quando un chirurgo tedesco, suo ammiratore, ha proposto a Don Alejandro di operarlo gratuitamente a un occhio per un problema di cataratta, lui ha dovuto rifiutare per non offendere il buon nome della medicina revolucionaria. Il risultato? A novembre è stato operato in day hospital a l’Avana. Ora gli occhietti sono sempre vispi, ma la vista non è migliorata un granché. Vittorio Zincone