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 2006  marzo 16 Giovedì calendario

Oscar Sanguinetti, direttore dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale (www

Oscar Sanguinetti, direttore dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale (www.identitanazionale.it), spiega ad Appuntamento con la storia l’eredità culturale del Bonaparte. Napoleone è l’erede ideologico dell’Illuminismo e della Rivoluzione Francese o ha affermato una propria originalità? «Il disegno di espansione della Francia rivoluzionaria alla conquista dell’intera Europa ricalca di certo linee geopolitiche e strategiche precedenti e ”classiche”, tuttavia il portato della conquista è da un lato la distruzione radicale delle vestigia del regime precedente e dall’altro l’instaurazione di ordinamenti a sfondo individualistico (attraverso i nuovi codici di leggi) - e latentemente totalitario - del tutto in linea con l’elaborazione politica della Rivoluzione dell’Ottantanove. Soprattutto il rapporto conflittuale con la Chiesa, il suo tentato assoggettamento (due pontefici furono imprigionati), la distruzione della sua infrastruttura materiale (beni e tesori artistici confiscati, conventi trasformati in caserme, ordini religiosi sciolti e perseguitati) sono eloquenti in tal senso. Certo il suo sforzo non è stato esente da innovazioni che creavano un compromesso fra le linee di forza tradizionali all’interno della società, troppo a lungo compresse dall’estremismo rivoluzionario, e la necessità che avvertiva di continuare la ”mission” di quest’ultima: quindi nuova aristocrazia borghese e militare, titolo imperiale, creazione di Senati...».  possibile parlare di un’eredità culturale napoleonica nell’Italia contemporanea? «Bonaparte ha creato addirittura una categoria della scienza politica: il bonapartismo, che dopo di lui ha avuto diversi ritorni in diversi scenari geo-politici (basti pensare a Napoleone III, al generale Boulanger, a Crispi stesso, al ’98 e infine a Mussolini) e che si caratterizza per il ”passo indietro dopo i due passi avanti”, che un processo rivoluzionario compie quando si accorge di aver suscitato energie reattive troppo intense, che ne minacciano la marcia. Nella politica i frammenti residui ci sono stati e forse ci sono ancora...». E nella cultura vera e propria? «Qui i residui più forti sono nelle cose, nell’architettura delle città, di Milano capitale del Regno d’Italia (1805-1814), di Parma, Pavia, Venezia. Nella cultura immateriale l’eredità napoleonica è sentita in senso positivo, come esperienza che ha avviato l’Italia verso l’unità e le forme politiche moderne. Ciò però non avviene in Russia, non in Tirolo, non in Spagna, né in Germania, Paesi in cui si celebra invece la resistenza delle rispettive monarchie e popolazioni contro l’invasione, a prezzo di guerre e di insurrezioni sanguinose. Il paradosso è che questa resistenza (l’’Insorgenza”), vi fu anche da noi e assunse dimensioni di partecipazione popolare paragonabili solo alla grande guerra popolare delle Spagne del 1808-1811. Ma da noi le classi dirigenti ”infrancesate” furono tutte con il despota francese».