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 2006  marzo 16 Giovedì calendario

 il 22 agosto 1986: il lago di Nios, nel Camerun, incomincia a ribollire, poi una nube di CO2 sale dal fondo della caldera (là sotto c’è un vulcano spento) e invade il cielo, le case vicine, gli allevamenti

 il 22 agosto 1986: il lago di Nios, nel Camerun, incomincia a ribollire, poi una nube di CO2 sale dal fondo della caldera (là sotto c’è un vulcano spento) e invade il cielo, le case vicine, gli allevamenti. In pochi minuti muoiono 1746 persone e tutti gli animali, ma restano gli insetti e gli scorpioni. successo anche dopo qualche esplosione atomica. Gli artropodi dunque sono invulnerabili? Secondo un libro appena uscito in America e intitolato Evolution of the Insects, che è la cronaca di tutta la storia degli insetti dalle probabili origini, si può dedurre che gli insetti sono pressoché immortali. E se nessuno li divorasse, certi pidocchietti come gli afidi, per esempio, in un anno potrebbero moltiplicarsi fino a coprire la distanza tra la Terra e la Luna. Certo è che gli insetti si sono fatti una bella cavalcata nel tempo traversando 400 milioni di anni, dal Devoniano - l’era dei pesci - giù lungo il Carbonifero e il Permiano, svolazzando sopra rettili e anfibi, i soli abitanti della giovane Terra... Già, ma quand’è che hanno inventato le ali? Certo nel Devoniano, magari superiore, perché nel Carbonifero, circa 50 milioni di anni dopo, esisteva già la gigantesca antenata delle libellule, la Meganeura (76 cm di apertura alare!). Secondo i biologi le ali servivano per sfuggire ai rettili e agli anfibi, che nei periodi di magra si nutrivano anche di insetti, ma è probabile che all’inizio fossero solo delle lamine sporgenti, usate come pannelli solari, come sostengono Kingsolver e Koehl dell’Università californiana di Berkeley. Gli insetti hanno scoperto le meraviglie del volo almeno 150 milioni di anni prima degli uccelli, hanno convissuto coi dinosauri, li hanno visti morire e sono arrivati fino all’Olocene per conoscere noi. Quando si tratta di insetti e aracnidi, ci sono milioni di domande alle quali la scienza non può rispondere. Nessuno sa come mai, per esempio, dopo un disastro come quello di Chernobyl, una dose di 110.000 rad (unità di misura della dose assorbita di qualunque radiazione ionizzante) lascia le mosche incontaminate, mentre le api ne sopportano 90.000 e noi a malapena 400. Anche gli scorpioni resistono alle radiazioni atomiche, e la scienza sta cercando da anni di scoprire come facciano, ma non ci riesce. Chi va a studiarli nel deserto - luogo dove fanno vita notturna - sa che per trovarli ci vuole una lampada a raggi ultravioletti. l’occasione in cui perfino uno scorpione riesce a diventare bellissimo: emana una fantastica luce verdeazzurra che lo rende visibile e nel buio più totale anche a una decina di metri di distanza. E quello che ha stupito i ricercatori è che nemmeno la luce ultravioletta lo infastidisce. Un astronomo ”eretico”, l’inglese Fred Hoyle, sosteneva che dallo spazio devono essere arrivate sul pianeta forme di vita già evolute. Ha fatto notare ai colleghi biologi e fisici che un banalissimo insetto della frutta, la drosophila, è in grado di percepire una particolare radiazione ultravioletta, la frequenza dei 2537 angstrom, - che sulla Terra era visibile quando gli insetti non erano ancora ufficialmente nati - e che poi è scomparsa con la formazione dell’atmosfera. Se è vero, come ci insegna l’evoluzionismo, che ogni organo inutilizzato si atrofizza e sparisce, il fatto che un insetto riesca a percepire radiazioni cosmiche non più presenti significa, secondo Hoyle, che la vita è giunta da fuori e che porta in sé dei segreti probabilmente antichissimi e per noi difficili da decifrare. Se Hoyle avesse ragione, il minuscolo echinisco tardigrado che vive nel muschio, nel fango e nel terriccio umido, e che la scienza non è ancora riuscita a classificare, potrebbe essere uno di questi extraterrestri. un esserino tranquillo non più grande di un millimetro, che non dà fastidio a nessuno e che meriterebbe di vivere in pace, ma gli studiosi non la pensano così. Il poverino infatti sembra immortale, così loro hanno voluto andare a fondo e saggiare la sua capacità di resistenza. «Per un’ora» hanno confessato «i nostri tardigradi sono stati sottoposti a una corrente caldissima ed essiccati. Niente, è bastata una spruzzatina d’acqua per farli rivivere. Li abbiamo messi per qualche settimana in un recipiente senza ossigeno, ma usciti di là sembravano tornati da una vacanza. Allora sono stati immersi in idrogeno puro. Niente lo stesso. Abbiamo provato anche con l’elio puro, l’acido carbonico, l’acido solfidrico e il gas illuminante, ma bastava spruzzarli con un po’ d’acqua e si svegliavano vispi come prima. Allora abbiamo tentato col freddo: aria liquida a circa ”200, con una batosta finale, durata otto ore, di elio liquido a - 271, quasi lo zero assoluto. Chi può sopravvivere a un trattamento del genere? Nessuno, ma loro ce l’hanno fatta e a quel punto li abbiamo lasciati in pace». L’echinisco è un caso eccezionale, ma la maggior parte degli invertebrati può affrontare situazioni durissime. Quando abbiamo usato i pesticidi, come il vecchio ddt, hanno imparato a neutralizzarlo e alla fine, sulle monoculture, sono aumentati addirittura di numero. Era mille volte meglio potenziare gli insetti antagonisti, che sono stati invece uccisi dai pesticidi. Sappiamo che all’interno di creature anche microscopiche esistono meccanismi azionati dai geni, che possono fare fronte a qualunque problema, però questo non ci conforta, anzi ci costringe a riconoscere che certi prodigi vengono compiuti da entità ancora più piccole e misteriose. Un gene è forse un genio allo stato puro? Sa arrangiarsi in ogni circostanza, ma se qualcosa proprio non quadra elimina la ”serie” e ne mette sul mercato un’altra che non presenta più gli stessi inconvenienti. «I geni», diceva il biologo François Jacob nel saggio La logica del mondo vivente «fanno del vero e proprio bricolage, ossia usano tutto e si arrangiano aggiustando continuamente il tiro. L’individuo non conta, è la specie che deve sopravvivere». E la specie è pressoché eterna. Facciamo un’ipotesi fantascientifica: immaginiamo che gli insetti e tutti gli altri invertebrati scompaiano. Moriranno anche gli uccelli, non nasceranno più le piante, non ci sarà più ossigeno e dopo un po’ di tempo, non molto, moriremo anche noi. Eppure pochi di noi sanno che solo il 20% (e anche meno) di questi esserini può essere fastidioso e qualcuno adddirittura pericoloso, mentre l’80% è utilissimo, anzi indispensabile. Senza gli invertebrati di terra e di mare l’esistenza della razza umana sarebbe impossibile. In realtà siamo ospiti loro, e il ruolo di questi organismi è fondamentale anche per il mantenimento della fertilità del terreno. I lombrichi trapiantati dall’Europa all’Australia, per esempio, hanno migliorato la situazione dei pascoli e quindi anche degli allevamenti. Gli scarabei stercorari impediscono al terreno di venire soffocato da troppi escrementi e gli permettono di rinverdire subito anche se è stato brucato a zero. Le mosche divorano tonnellate di materiale in decomposizione e fanno parte di una lunga e complessa catena alimentare che incomincia con il plancton e arriva fino a noi. Diceva Pasolini: «Io darei tutta la Montedison, ancorché multinazionale, per una sola lucciola...................>>