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 2002  aprile 18 Giovedì calendario

Uno zoo in Parlamento, La Stampa, giovedì 18 aprile 2002 Roma. Ci sono momenti in cui l’attività parlamentare si risolve in un unico, corale sforzo fisico e di nervi

Uno zoo in Parlamento, La Stampa, giovedì 18 aprile 2002 Roma. Ci sono momenti in cui l’attività parlamentare si risolve in un unico, corale sforzo fisico e di nervi. La ”seduta fiume”, altrimenti detta ”maratona”, è una di queste sciaguratissime occasioni. Sciaguratissima, s’intende, per i deputati e senatori costretti a parteciparvi ad oltranza. Tra le particolarità che la rendono tale - e nel presente caso è piuttosto chiaro - c’è il fatto che l’opinione pubblica è inesorabilmente portata a considerare la seduta-fiume, più che un’estrema risorsa, una specie di rito penitenziale. E in effetti, non essere riusciti a eleggere due giudici costituzionali in 15 votazioni appare del tutto meritevole di un castigo. Eccolo, dunque. Prima due, poi tre, poi magari anche quattro votazioni al dì. Ogni votazione si prende tre ore. Minimo. Il che significa che nell’agognato weekend i parlamentari potrebbero essere condannati a sessioni di 12-14 ore. Accadde qualcosa del genere quando, nel 1964, non si riusciva a eleggere il Presidente del Repubblica. Fu un triste Natale, quella volta, con l’alberello alla buvette e la gente fuori convinta che in aula la stessero a fare tanto lunga per via di un gettone di presenza da 50 mila lire che si erano auto-assegnati. Poi ce la fece Saragat, ma che fatica! E che fatica nel 1971, con Leone eletto il 24 dicembre dopo ben 23 votazioni. Oggi con Mancuso - «quello con tre palle» ha precisato - le cose si mettono male. Ma Pannella, oltre che in sciopero della sete, è anche in agguato, nel senso che conosce bene i suoi polli, non è tipo da farsi incantare dalle parole dei comunicati e quindi cercherà di ottenere da Pera e Casini una seduta che sia più fiume della normale seduta-fiume, più a oltranza delle comuni sedute a oltranza. In altre parole, dramma per dramma, il vecchio e smagato leader radicale pretenderà di inchiodare deputati e senatori al loro dovere in forme che più clamorose e risolutive non potrebbero sembrare. Questo il programmino, o meglio il supplizio che attende ciascuno dei mille rappresentanti dell’elettorato. La maratona sospende infatti ogni altro impegno: si dilatano i tempi; saltano i programmi; sono di colpo limitati i movimenti e al disagio degli appuntamenti mancati e dei telefonini che non funzionano si aggiunge l’ansia acustica di quel maledetto ”cicalino” che suona, suona, suona... Già l’abituale routine parlamentare offre poche soddisfazioni: «Ozio senza riposo, fatica senza lavoro», secondo l’antico e sconsolato motto che si attribuisce ora a Guido Gonella, ora ad Attilio Piccioni. Bene, con la maratona Montecitorio diventa in effetti quanto di più simile a una prigione. Se l’immagine non piace, ce n’è subito pronta un’altra, ma anch’essa suona in verità poco simpatica e riguardosa: lo zoo. La coniò comunque un deputato, l’onorevole Meluzzi, che nella vita faceva lo psichiatra e che durante una maratona parlamentare, appunto, finì per trovare qualche minacciosa assonanza tra i suoi colleghi e le bestie in gabbia. «Direttamente proporzionale all’impotenza - secondo l’analogia meluzziana - può essere il furore». In tal caso può anche succedere che la Camera - ormai assimilabile a ciò che in sociologia si definisce «entità caotica ingovernabile» - si trasformi in un pezzettino d’Inferno. Botte, insulti, torva allegria e cupio dissolvi prolungato anche in orari notturni con scene del tutto surreali. Per la storia è accaduto più volte, anche se di norma quel tipo di seduta-fiume, con le sue rabbiose frustrazioni, era motivata da pratiche ostruzionistiche: Patto Atlantico, Regioni, decretone, legge Reale, decreto Iva e così via. E tuttavia, filibustering o meno, la noia acuta e ripetitiva, la fatica fisica e lo stato di costrizione psicologica sono bastevoli a suscitare nei grandi elettori uno stato certamente alterato dell’essere. Dell’effetto galera e giardino zoologico s’è detto. Ma il dato più immediato che si coglie è la trasformazione scenografica del luogo. Se l’espressione non suonasse anch’essa piuttosto evocativa, si potrebbe dire con assoluta tranquillità che durante la seduta-fiume Montecitorio appare quanto di più simile a un bivacco. I deputati infatti non solo mangiano, bevono, fumano, ma a lungo andare danno anche l’idea di non sapere più da quanto stanno lì dentro e quindi, comprensibilmente, sembrano pure un po’ rintronati. Spesso si addormentano in aula o sui divani del Transatlantico e della ”Corea”, che sarebbe il corrispondente corridoio che dà su piazza del Parlamento. Per ingannare la monotonia, c’è chi racconta storielle e improvvisa coretti. Esistono testimonianze che avvalorerebbero l’ipotesi di qualcuno che ha provato a fumare in aula - cosa ovviamente proibitissima e anche pericolosa. A volte, specie in notturna, sui resoconti stenografici si trova traccia di qualche euforia etilica, spontanea o rinfacciata dagli avversari. Cadono i freni inibitori, si parla anche in aula di bisogni primari, «per dare modo al governo - propose di recente l’onorevole Berruti - di ottemperare a mansioni non delegabili». «Ma dategli un pappagallo!» si oppose il deputato leghista Rizzi. La mattina, poco dopo l’alba, arrivano a volte vassoi con cornetti caldi. Ma non sarebbe meglio eleggerli, questi due giudici costituzionali? Filippo Ceccarelli