Aldo Cazzullo La Stampa, 17/04/2002, 17 aprile 2002
L’inviato riciclato, La Stampa, mercoledì 17 aprile 2002 Nelle trincee di Bassora e sotto i B-52 a Baghdad, con i mujaheddin e con i contras, e mai una cravatta sbagliata
L’inviato riciclato, La Stampa, mercoledì 17 aprile 2002 Nelle trincee di Bassora e sotto i B-52 a Baghdad, con i mujaheddin e con i contras, e mai una cravatta sbagliata. Figuratevi quando gli affidarono ”Linea Verde”: si affidò a sua volta a Caraceni, che gli allestì un guardaroba di tweed e velluti tipo gentiluomo del Sussex (anche se la sua casa di campagna è a Suniglia, frazione di Savigliano, provincia di Cuneo). Si è discusso fino a notte del destino di Fabrizio Del Noce, ed è davvero strano ci si sia attardati tanto. Oggettivamente, un inviato che abbia fatto la guerra Iran-Iraq, l’invasione sovietica dell’Afghanistan, quella israeliana del Libano, le Falklands, il terrorismo irlandese, la guerra civile in Nicaragua, il sequestro degli ostaggi americani a Teheran, la rivolta contro Marcos, l’Intifada e la guerra del Golfo, «sempre bellissimo, cotonatissimo, elegantissimo» (Giampaolo Pansa), la Rai non ce l’ha. Al ritorno da Baghdad, dov’era l’unico giornalista italiano, Del Noce scrisse un libro (ovviamente: Baghdad, 50 mila copie in un mese), sdrammatizzò («avevo calcolato le probabilità di morire, appena una su 300») e annunciò: «Sono stanco di fare l’inviato. Non ho mai avuto una scrivania. il momento di riciclarmi». Era il maggio del ’91. Fabrizio attende da allora. Una scrivania, a dire il vero, l’aveva trovata già nel ’94. Non da direttore, ma da deputato di Forza Italia. Poté così dare sfogo all’idiosincrasia ereditata dal padre Augusto, uno dei più grandi filosofi italiani del Novecento, verso il cattocomunismo. Qualche dichiarazione. «Al Tg1 c’è una sacca di socialismo reale che non ha ancora capito che il cattocomunismo è finito. Bocciato dalla storia». «Il più grande direttore del Tg1 è stato Emilio Rossi. Il peggiore, Albino Longhi. Un cattocomunista». Poi, quando nel ’95 la saldatura tra cattolici ed ex comunisti ci fu davvero: «Mi auguro non vogliano instaurare un regime sovietico in Italia, perché altrimenti ci dovremo preparare a cinquant’anni di lutti. I padri inizino a piangere per i loro figli». «D’Alema? La logica dei comunisti è sempre la stessa: rassicurano i moderati per potergli tagliare meglio la gola. Anche Lenin nel 1905 disse che ci voleva una rivoluzione borghese». E a chi si disse perplesso sull’accostamento tra Lenin e D’Alema concesse: «Beh, forse la mummia di Lenin si rivolta nel mausoleo». Sono cose che ci si possono permettere quando soccorrono passione e ironia. E mestiere. Cronista dell’infornata dei Frajese e dei Vespa (di cui però è più giovane), assunti dopo anni di precariato e un esame che funzionava così: «Conosce il personaggio ritratto in questa foto? Vada in cabina e ce ne parli per cinque minuti». Anche in questo modo ci si prepara per reggere le no-stop notturne dall’America sull’esecuzione di O’ Dell o i collegamenti da Timisoara dopo il passaggio della Securitate. In un’intervista (vale la pena citare l’autrice: Maria Grazia Cutuli) Del Noce raccontava che «il lavoro dell’inviato è droga pura, nevrosi, tensione all’ultimo stadio; duecento giorni l’anno per il mondo, senza dormire, senza mangiare, e nello stesso tempo sempre lucido e perfetto per apparire in tv». Competenze poi messe a frutto nel ’95, quando organizzò un ”corso di immagine e comunicazioni” per i colleghi parlamentari o aspiranti tali: prima lezione, bella presenza; seconda, oratoria televisiva; terza, cravatte e abbinamento di colori; da tenere a mente: «I colori scuri sono meglio di quelli chiari, le cravatte non devono essere fantasiose ma uniformi. Il nodo della cravatta, poi, dev’essere perfetto sulla camicia...». In Rai è stato molto amato e molto invidiato. Quando arrivava in Ferrari (ora è passato alla Ka). Quando conduceva ”Linea notte” con Badaloni (i due non si piacciono). Quando difese l’allora direttore Bruno Vespa, con tanta generosità da definirlo improbabilmente «un ingenuo». Tormentato anche il rapporto con Angela Buttiglione, antica collega, sorella di Rocco, discepolo prediletto del professor Del Noce. «Mio padre è stato fondamentale nella mia formazione - ha confidato Fabrizio -, anche se era così diverso da me. Lui ha vissuto sui libri, io tra la gente. Non disdegno la mondanità». Come il padre, però, conosce il dolore: come quando, vent’anni fa, la morte spezzò la sua storia con un’annunciatrice Rai, Roberta Giusti. Il potere non lo lascia indifferente, nel ’94 fu lui il regista delle nomine Rai, e a un reporter incontrato per caso all’aeroporto confidò: «Se le faccio vedere il bigliettino che qualche tempo fa ho scritto per il big boss, scoprirà che 4 nomi su 5 siamo riusciti a portarli: Rossella, Mimun, Angelini e Vigorelli. Solo su Beha è andata male». Da allora è stato corrispondente dagli Stati Uniti, ha seguito i viaggi del Papa, è entrato nel consiglio d’amministrazione del Torino (quando viene in città non trascura di passare a trovare la sua balia, signora Adriana), ha reso partecipate cronache del concerto dei tre tenori a Caracalla e del Gay Pride. «Sono sempre stato fuori dal giro - disse anni fa -, fuori dai giochi». Da stanotte, non più. Aldo Cazzullo