Varie, 15 marzo 2006
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Saadat Ahmed
• El Bireh (Israele) 1953. Politico. Accusato d’omicidio, scontava la pena nel carcere di Gerico ma il 14 marzo 2006 fu catturato dalle truppe israeliane che l’avevano preso d’assalto • «Per molti aspetti Ahmed Saadat è un personaggio del passato. Laico in un universo palestinese sempre più dominato dall’Islam radicale. Favorevole agli omicidi mirati nell’era degli attentati kamikaze. Dirigente di un movimento, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, che al momento della sua nascita, il 1967, cavalcava il marxismo imperante nelle Università europee e in Medio Oriente coniugato al pan-arabismo nasseriano. Nulla a che vedere con Hamas e i gruppi vincenti alle elezioni palestinesi [...] Eppure la sua figura è sempre stata molto popolare in Cisgiordania e Gaza. Nato a El Bireh, presso Ramallah, nel 1953, si unì ai gruppi di fuoco del Fatah sin dai primi anni Settanta, salvo poco dopo seguire il leader George Habbash nella scissione del Fronte Popolare contrario a ogni prospettiva di compromesso con Israele (possibilità che invece già allora stava crescendo negli ambienti più moderati dell’Olp). Professore di matematica, sposato, 4 figli, è già un dirigente maturo quando nel 1987 scoppia la prima intifada. il momento del trionfo dei ”palestinesi dell’interno”, contro i quadri ”dell’esterno”, dispersi nella diaspora tra Tunisi, il Libano, la Giordania e la Siria. Saadat fa parte di coloro che stilano i celebri volantini diffusi clandestinamente nei territori occupati per spingere la popolazione alla disobbedienza civile: la giornata del boicottaggio dei prodotti israeliani, il blocco periodico dei lavoratori pendolari, le manifestazioni davanti alle moschee dopo le preghiere del venerdì, l’invito all’autarchia economica. Una militanza che gli costa ben 13 periodi di detenzione. dal carcere che si schiera contro gli accordi di Oslo con Israele, voluti da Yasser Arafat nel 1993. Ma la decisione che lo rende più celebre tra la sua gente arriva nel 2001, quando ormai Hamas fa la parte del leone tra i gruppi della lotta armata. La seconda intifada brucia da meno di un anno, nell’agosto un razzo israeliano uccide nel suo ufficio il suo predecessore, Abu Ali Mustafa. Saadat prende il suo posto e decide la rappresaglia: assassinare Rechavam Zeevi, allora ministro del Turismo, ma soprattutto leader del ”Moledet” (Patria), il partito dell’estrema destra israeliana che non nasconde il desiderio di espellere all’estero il massimo numero di arabi israeliani e di palestinesi residenti nei territori occupati. L’azione ha successo. Zeevi viene ucciso a colpi di pistola davanti a un hotel di Gerusalemme il 17 ottobre 2001. Ma adesso Saadat è un uomo braccato. Fugge per le campagne della Cisgiordania, sino a trovare rifugio nell’ufficio di Arafat a Ramallah, che subito dopo è posto sotto assedio dagli israeliani. Un assedio che terminerà solo con l’accordo mediato da Washington e Londra: Saadat viene rinchiuso nel carcere palestinese di Gerico. Con lui ci sono altri 4 uomini del commando assassino e Fuad Shubaki, il consigliere economico di Arafat accusato da Israele di avere pagato 15milioni di dollari per il carico di armi stivato sulla Karine, il piccolo cargo bloccato dagli israeliani il 3 gennaio 2002 prima che riuscisse a raggiungere le coste di Gaza. Un detenzione comunque dolce la loro, possono ricevere visite praticamente in ogni momento, le celle hanno televisore e aria condizionata, accesso illimitato ai telefoni. [...]» ( L. Cr., ”Corriere della Sera” 15/3/2005).