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 2002  aprile 19 Venerdì calendario

In panchina c’è il figlio del fiumarolo, Il Venerdì, 19 aprile 2002 Se uno non conosce Serse Cosmi, mettiamo che non l’abbia mai visto in televisione, che non sappia nulla di calcio, che ignori che Serse Cosmi è l’allenatore del Perugia e il protagonista di una memorabile imitazione di Maurizio Crozza («Liveraniii, ti spezzo la gaaamba!»), e poi legge la storia della sua vita (L’uomo del fiume scritto con Enzo Bucchioni, Baldini&Castoldi, in libreria dal 22 aprile), questo qualcuno dirà per forza: Serse Cosmi dev’essere una magnifica persona

In panchina c’è il figlio del fiumarolo, Il Venerdì, 19 aprile 2002 Se uno non conosce Serse Cosmi, mettiamo che non l’abbia mai visto in televisione, che non sappia nulla di calcio, che ignori che Serse Cosmi è l’allenatore del Perugia e il protagonista di una memorabile imitazione di Maurizio Crozza («Liveraniii, ti spezzo la gaaamba!»), e poi legge la storia della sua vita (L’uomo del fiume scritto con Enzo Bucchioni, Baldini&Castoldi, in libreria dal 22 aprile), questo qualcuno dirà per forza: Serse Cosmi dev’essere una magnifica persona. Uno vero. E forse a questo qualcuno verrà in mente la frase di un personaggio di Almodovar, il travestito Agrado, che mentre racconta del suo corpo rifatto e siliconato dice: «Uno è autentico se somiglia al sogno che aveva di sé». Serse Cosmi, che nel libro sembra parlare di calcio e invece parla di tutt’altro, quel suo sogno l’ha rispettato. L’ha aspettato, l’ha accudito come faceva da bambino col pallone di cuoio numero cinque, tutte le sere lo spalmava di grasso in cantina finché un brutto giorno un camion lo investì. «Il rumore del pallone che muore», scrive Cosmi con la penna sensibilissima di Bucchioni, inviato speciale della ”Nazione”, ed è come se parlasse di una persona cara. E il libro è tutto un palpitare di passato, ricordi, pelli d’oca, trasporti, lo attraversano vecchie auto scassate che Cosmi accarezza come la sua donna, la Rosy conosciuta a quattordici anni (lui, dodici). Le auto: la 850 di suo padre (ma c’è anche un Ape con su scritto: ”Solo Coppi temo”), una 500 azzurrina, una Opel Kadett, una Fiat Uno diesel bianca, una Dyane scoperta color carta da zucchero. Serse Cosmi apre le portiere, scoperchia il tettuccio e invita a salire. Il viaggio all’indietro sarà bellissimo, neanche un po’ patetico (eppure si parla di morte), nemmeno un po’ mieloso. Ma autentico, proprio come il sogno che si aveva di noi. Ma forse vale la pena cominciare dal titolo, che spiega quasi tutto. L’uomo del fiume non è Serse ma suo padre Antonio il fiumarolo, colui che del Tevere perugino era custode, bagnino, tutore. Come in ogni vero romanzo di formazione, la figura paterna è centrale: qui c’è un papà smisurato («ha vissuto di passioni»), coppiano assoluto, uno che un giorno caricò la famiglia sulla 850 per andare in pellegrinaggio a Castellania, sulla tomba di Fausto e Serse (persino troppo facile capire perché il piccolo Cosmi venne chiamato Serse come il fratello del Campionissimo, morto in corsa sulle rotaie del tram), e preso atto che quella tomba era sporca, abbandonata tra le sterpaglie, la famiglia Cosmi si mise a pulirla, così, in silenzio, perché era giusto farlo. Un padre enorme e scintillante di vita che fece del figlio la mascotte della Pontevecchio, poi il bimbo è cresciuto e ha portato in alto quella squadra e tutte le altre che la passione e la scommessa gi hanno affidato, non importa se il padre è morto di infarto all’improvviso, non ha visto nulla ma saprà tutto. « l’autista del mio destino e non c’è verso di fargli una sorpresa». Eppure non è solo una storia di ricordi. Il passato è la spinta, la ragione. «Impazzisco per le casacche di una volta, con i laccetti, aperte davanti e naturalmente senza sponsor». Il bello è che tutto questo gusto, questo rispetto per le radici si innerva nel presente e in qualche modo lo riscatta. Cosmi non ha paura di dire che il calcio di oggi è fatto di «soldi che spengono», di confusione, di animi mestieranti. Però non tutto è perduto. Se c’è ancora posto per uomini come Serse, colui che scelse un giocatore iraniano vedendolo in cassetta o un greco sconosciuto intuendolo in un’amichevole, forse perché era pure lui un signor nessuno. «Arrivo dal basso» scrive il figlio del Pajetta, altro soprannome del padre, e non solo orgoglio proletario ma qualcosa di assai simile alla libertà, al profumo di un campo di calcio, a quell’erba che pare di seta e che l’omone Serse, con la faccia truce e i muscoli da pupazzone cattivo, accarezza chinandosi come farebbe un gigante su un fiore. Il libro è proprio un romanzo, ci sono gli amori e la morte, c’è la malattia di Lauro Minghelli, calciatore promettente bloccato su una sedia a rotelle e c’è l’addio al nipote Giacomo, dieci anni, ucciso da cellule impazzite. C’è la fine di Renato Curi, con quel cielo nero, nuvole apocalittiche e grandiose. Cosmi racconta di quando faceva il maestro di ginnastica semi-abusivo, e i bambini si tassavano di tremila lire al mese perché lui avesse uno stipendio, e di quella volta che organizzò una partita di calcio tra maestre quarantenni, otto contro otto. La direttrice sbagliò un rigore e una bambina le si avvicinò dicendole: «Direttrice, non deve rimproverarsi nulla». Poi, certo, ci sono tutte le squadre allenate, dal basso bassissimo (ma è tra i dilettanti che si accendono gli occhi e la luce speciale) fino all’alto altissimo del Perugia in serie A, della vittoria a San Siro contro il Milan, della curva che canta e piange e di Cosmi che pensa: «Pochi allenatori possono avere tra i loro tifosi ex allievi delle elementari». Serse Cosmi non ha mai cambiato casa, da quand’era nessuno fino ad oggi che è lo stesso, splendido ”qualcuno” di quand’era ragazzo. Stesso condominio popolare, solo un po’ ingrandito comprando gli appartamenti vicini. Serse Cosmi che ama De Andrè e ricorda di quando si metteva le scarpe da pallone dei grandi, come le bimbe provano quelle della mamma e giocano a crescere. Serse Cosmi che sfascia le panchine a pugni e calci (divertente l’elenco di quelle ripagate, città dopo città) e confessa di amarle «eroticamente». E niente pruriti o pudori: Cosmi è quello che metteva le cassette porno nel videoregistratore sul pullman della squadra, per alleggerire il viaggio verso lo stadio, e mai nessun giocatore s’è scaricato così. C’è da sospettare che l’uomo del fiume, cioè papà Antonio, sarebbe contento di come gli è venuto su il figlio. Quello che vinse da allenatore il torneo notturno col Bar Bruna, e adesso dice: «Il livello delle emozioni è sempre uguale, è il contesto che cambia». Ecco perché non si legge neanche una riga falsa, in questo libro che è molto più di una storia di gol e palloni. Lo sport come dovrebbe essere, luogo di crescita e gioia, rabbia e dolore ma senza una sola sconfitta che sia l’ultima davvero. Come quando Serse Cosmi racconta cosa era giocare al calcio da bambini, radiocronisti di se stessi, attori del proprio sogno, ancora spalancato a ogni possibilità come uno stadio vuoto. «La porta erano due sassi, la traversa era il cielo, e la notte fischiava la fine». Maurizio Crosetti