Antonio D’Orrico Sette, 18/04/2002, 18 aprile 2002
Elena Ferrante, un’Ava Gardner che pare Goffredo Fofi, Sette, 18 aprile 2002 Dopo aver scritto e anche intitolato, nella rubrica libri del numero 13 di ”Sette”, che Elena Ferrante è la maggior narratrice italiana dai tempi di Elsa Morante, sapevamo che qualcosa sarebbe successo
Elena Ferrante, un’Ava Gardner che pare Goffredo Fofi, Sette, 18 aprile 2002 Dopo aver scritto e anche intitolato, nella rubrica libri del numero 13 di ”Sette”, che Elena Ferrante è la maggior narratrice italiana dai tempi di Elsa Morante, sapevamo che qualcosa sarebbe successo. Le reazioni, infatti, non sono mancate. Cominciamo dall’entusiasmo che si può riassumere nel grido della lettrice Sandra Piana: «Ferrante! Ferrante! Ferrante!». Il triplice urlo, di marca più calcistica o politica, risuona di rado dalle parti della nostra letteratura e fa piacere sentirlo intonare. Sempre in tema di entusiasmo, c’è poi la lunga missiva di una lettrice che prega di non essere nominata e racconta: «Ieri sera me ne sono andata a letto alle dieci e mezzo. Avevo finito i miei libri, me ne era rimasto solo uno che una mia amica, assolutamente ligia ai suoi consigli, mi aveva costretto a comprare: I giorni dell’abbandono di Elena Ferrante». All’una e mezzo, tre ore dopo, la lettrice ha girato l’ultima pagina del romanzo quella che finisce con la frase: ”Finsi di credergli e perciò ci amammo a lungo, nei giorni e nei mesi a venire, quietamente”. Ecco il commento della nostra affezionata lettrice: «Credevo che non si potesse scrivere un altro libro così, dopo Anna Karenina, e invece mi sono sbagliata. Le donne ne hanno fatta di strada... non si buttano più sotto i treni. Sono incantata. Caro signor D’Orrico quando vede Elena Ferrante, per favore, le baci le mani anche da parte mia». Le bacerei volentieri le mani a Elena Ferrante ma purtroppo l’autrice di L’amore molesto (il suo primo romanzo) e di I giorni dell’abbandono (il suo secondo libro appena uscito da e/o) non è facile da vedere o incontrare. Nessun giornalista l’ha mai vista, nessuno sa chi è, non esistono sue fotografie. Nell’unica intervista da lei concessa e per iscritto (a Goffredo Fofi sul ”Messaggero”) ha detto, tra l’altro: «Non credo che di un testo si riesca a sapere di più, se si hanno informazioni sulle letture e sui gusti di chi l’ha scritto». Ora molti lettori oltre a trovare I giorni dell’abbandono un bellissimo romanzo ci hanno chiesto di saperne di più sulla misteriosa autrice. Il mistero, come è fatale, alimenta leggende e vociferazioni. Secondo le ultime a noi pervenute, Elena Ferrante sarebbe in realtà un uomo («ma una donna non scrive così», è uno dei commenti che spesso si sente fare, da parte femminile, alla lettura dei suoi romanzi). E, per la precisione, la Ferrante (sempre secondo queste dicerie) non sarebbe altro che lo stesso Goffredo Fofi, il suo primo e unico intervistatore. Un bel giallo letterario che però l’editore di I giorni dell’abbandono e di L’amore molesto, Sandro Ferri, il solo ad avere contatti con la scrittrice, a incontrarla e a sentirla spesso, ci smonta subito. «Smentisco che Elena Ferrante sia Goffredo Fofi» dice con aria divertita. Lo ringraziamo della smentita, però forse sarebbe meglio, ai nostri fini, sapere se anche Fofi smentisce. «Anche Fofi smentisce, anzi quando glielo hanno detto è scoppiato a ridere», assicura Ferri. Peccato perché sarebbe stato bello che un critico come Fofi, il quale per almeno una decina di volte ha urlato alla scoperta di un grande scrittore (dopo averne letto il primo libro) e per altrettante volte ha poi decretato che di grande scrittore non si trattava (stroncandone il secondo libro), avesse poi scoperto che il grande scrittore tanto cercato era lui stesso. Ipotizzando sulla vera identità della Ferrante è stato speso pure il nome della scrittrice napoletana (come la Ferrante, come napoletano, d’elezione, è anche Fofi) Fabrizia Ramondino. Anche questa volta Ferri, l’unico a sapere la verità, smentisce. E segue smentita anche alla mirabolante ricostruzione avanzata da un giornale siciliano dove un critico ha tentato di dimostrare, con dovizia di esempi stilistici tratti dai romanzi, che Elena Ferrante è in realtà un omosessuale napoletano. C’è anche in questo giallo d’identità una falsa pista che sembrava verosimile sino alla fine. In un articolo di qualche tempo fa una giornalista del ”Mattino” identificò la Ferrante in una donna che viveva dalle parti di Caserta e i cui dati biografici coincidevano pienamente con quei pochi che si conoscono della Ferrante. La donna, come la scrittrice, aveva sposato un greco e aveva vissuto per un periodo in Grecia. Confessa lo stesso editore: ”Se non conoscessi Elena Ferrante avrei giurato che quella donna fosse davvero lei: molti particolari tornavano alla perfezione». Il giallo resta, anzi aumenta. Ferri, unico teste a nostra disposizione, ci racconta che il primo manoscritto della Ferrante, quello dell’Amore molesto, gli fu dato da amici comuni che lo raccomandarono con convinzione e trasporto. Poi ci fornisce una descrizione della donna del mistero: «Abbastanza alta, bruna, sulla cinquantina, una bella donna, di bellezza meridionale». Focosa. «Sì». La sua descrizione mi fa pensare ad un tipo Ava Gardner. «Direi di sì». Dopo aver vissuto in Grecia e altrove, Elena Ferrante vive adesso in Italia. Ha due figlie, il marito è un ingegnere. Il suo ormai leggendario riserbo nacque all’inizio da una questione pratica. Nel suo primo romanzo c’erano sequenze autobiografiche, personaggi tratti dalla realtà, per cui la scrittrice preferì mantenere l’anonimato e non essere riconosciuta. Il gioco le ha poi preso la mano. E funziona benissimo. «Non è una trovata editoriale», dice Ferri. E infatti non è stucchevole. Essendo una scrittrice unica, assolutamente diversa dai suoi ”colleghi” italiani, il mistero sottolinea la sua unicità la sua rarità. Ed è, anche se alla Ferrante forse darà fastidio sentirlo dire («Non credo che di un testo si riesca a sapere di più, se si hanno informazioni sulle letture e i gusti di chi l’ha scritto»), entrato a far parte dei suoi romanzi che una suggestione di mistero hanno sempre nelle atmosfere, nella tensione di molte scene, nella definizione stessa dei personaggi e delle loro psicologie: la mancanza di informazioni ci fa sapere di più sul testo. Altri particolari. La Ferrante scrive al computer, non fa molte correzioni in bozza (nei Giorni dell’abbandono ha cambiato il finale, aggiungendo fra l’altro quell’ultimo avverbio, ”quietamente”, che lascia come sospeso il romanzo in un lunghissimo rintocco). Ho chiesto a Ferri se la Ferrante sa di essere così brava: «Credo che alterni momenti di grande consapevolezza del suo valore e del suo talento ad altri in cui si sente insicura. Lo stesso tempo di composizione dei suoi libri, dieci anni fra l’uno e l’altro, è significativo di una lunga ricerca. Però poi quando consegna un testo è certa del risultato». La Ferrante non frequenta giri letterari, non si vede con gli altri scrittori, vuole stare fuori dal giro, sentirsi ”normale”. Segno di grande saggezza. Colgo l’occasione per correggere una mia impressione errata: leggendola avevo pensato che la Ferrante non fosse simpatica, che fosse scostante. L’editore mi assicura del contrario: ”Letto il primo romanzo, così crudo, anche io avevo pensato a una donna incattivita. Invece Elena Ferrante ha un modo di fare pieno di calore e molto materno. Un atteggiamento materno che ha anche verso la nostra piccola casa editrice». Elena Ferrante ci perdonerà questa intrusione nel suo privato, ma questi particolari ci confermano nell’idea che sia la maggiore narratrice italiana dai tempi di Elsa Morante. Cesare Cases aveva avanzato per questo titolo (la più grande dai tempi della Morante) la candidatura di Fleur Jaeggy. Alcuni lettori ci hanno chiesto qualche delucidazione in più sulla querelle. Per quanto mi riguarda non ci sono dubbi. Confrontate una frase a caso di Proleterka, il romanzo della Jaeggy, dove si racconta di una crociera in cui la protagonista va a letto con ufficiali della nave («Mi volto ancora indietro. Aspetto un cenno di saluto. Da un immaginario membro dell’equipaggio. Aspetto che l’ufficiale appaia. Il mio amante»); con una frase dei Giorni dell’abbandono: «’Ho i seni piccoli” dissi in un soffio, ma subito mi detestai perché la frase suonava come se chiedessi scusa, scusa se non ti offro tette grandi, spero che tu te la spassi anche così, idiota che ero, se le zizze minuscole gli piacevano, bene, se non gli andavano peggio per lui, era tutto gratis, una bella fortuna gli era capitata a questo stronzo, il miglior regalo di compleanno a cui potesse aspirare, alla sua età». Che ne dite? Io sto per Ava. Antonio D’Orrico