Varie, 15 marzo 2006
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Parks Gordon
• Fort Scott (Stati Uniti) 30 novembre 1912, 7 marzo 2006. Fotografo. Pittore. Musicista. Cineasta. Per la rivista ”Life” scattò centinaia di celebri immagini in bianco e nero sulle lotte degli afro-americani, fu scrittore (tra i suoi romanzi l’autobiografico Ragazzo la tua pelle scotta), compositore e uno dei primi registi neri acclamati a Hollywood, dove esordì nel 1969 con The Learning Tree, tratto dal suo omonimo romanzo del 1963 . Tra gli altri suoi titoli anche Due supercolt a Broadway (1973), Dinamite, agguato, pistola (1974), Io re del blues (1976), ma il suo film di maggior successo è sicuramente Shaft (1971) - poi seguito nel ’72 da Shaft colpisce ancora - dedicato a un detective nero (interpretato da Richard Roundtree) indipendente e politicamente impegnato della polizia di New York. Il suo ultimo lavoro è stato invece una serie televisiva girata nell’84, ”Solomon Northup’s Odyssey”, sull’epopea di un afroamericano nell’America della schiavitù. «’Guerre tra gang ad Harlem - e moda”. Questa la risposta di Gordon Parks quando l’arcigno photoeditor di Life,Wilson Hicks, gli chiese cosa aveva in mente di fare. Parks si era introdotto di soppiatto nel suo ufficio, con una pila di stampe. ”Gli dia almeno un’occhiata veloce”, riuscì a dire mentre Hicks già cercava di buttarlo fuori. Circa mezz’ora dopo, questo fotografo nero di 36 anni (forse l’unico a oltrepassare professionalmente la barriera del colore nell’America della segregazione) aveva un lavoro che sarebbe durato oltre 20 anni. Fotogiornalista, poeta, romanziere, musicista, filmmaker, amato punto di riferimento della sua comunità, Parks [...] è una di quelle figure ”rinascimentali”, complete, che appartengono alla storia e alla mitologia della cultura afroamericana. Nato nel 1912, ultimo dei 15 figli di una povera famiglia del Kansas, ha attraversato e osservato la parabola del ’900 con intelligenza e grandi umanità e passione. Nel 1998 una bella mostra antologica (accompagnata da un ottimo catalogo) gli fu finalmente dedicata dal Museum of the City of New York. Era intitolata ”Half Past Autumn”, un gioco di parole per indicare la fine dell’autunno. La sua prima macchina fotografica (’un’arma che speravo di usare contro un passato distorto e un futuro incerto”) Parks la comprò per 7 dollari e mezzo nel 1940: dopo essersi mantenuto per anni lavando piatti, facendo il cameriere e il pianista in un bordello, aveva convinto la padrona di un negozio di abbigliamento di Minneapolis a fargli fotografare la sua collezione. E fu l’improbabile inizio della sua carriera. Dorothea Lange, Walker Evans, Jack Delano, Arthur Rothstein e gli altri fotografi della rooseveltiana Farm Security Administrion (agenzia che il presidente del New Deal aveva istituito per aiutare i contadini poveri), influenzarono il suo richiamo alla fotografia. Erano immagini inequivocabili, durissime, di miseria e fatica, sullo sfondo di una società rurale ancora immersa nella depressione (’praticamente un atto d’accusa del governo contro se stesso”, scrive Parks). Per la letteratura, lo avevano catturato gli squarci altrettanto radicali di Steinback, Caldwell e del futuro amico Richard Wright. Alla Farm Security Administration, diretta da Roy Stryker, lo chiamarono, unico afroamericano, nel 1942. di quell’anno la famosa foto American Gothic, che gioca con il noto ”Gotico americano” di GrantWood; solo che qui è ritratta una donna nera - Ella Watson (faceva le pulizie alla Fsa) - sullo sfondo di una bandiera a stelle strisce. Nelle mani (al posto del forcone del celebre quadro), una ramazza e uno straccio per lavare per terra. ”Una foto così potrebbe farci licenziare tutti quanti”, commentò Stryker, che però poi lo lasciò fare. Negli anni successivi, Parks puntò il suo obbiettivo sul New England, sul Kansas rurale dove era cresciuto, su realtà industriali e contadine. Un’esplorazione a Harlem (capitata proprio nel bel mezzo di un riot) coglie il disagio delle comunità black. Figure di uomini, donne e bambini emergono quasi a stento dai fondi nero pece, come a cercare di combattere la realtà dell’uomo invisibile evocato da Ralph Ellison. In una foto, Richard Wright fa capolino da un tombino. Di quel periodo è anche l’esperienza presso l’Office of War Information (altra creazione rooseveltiana), dove Parks fu assunto per raccontare la guerra dal punto di vista di una squadra di piloti neri, per poi vedersi negare, all’ultimo momento, il passaggio in Europa: nessuno voleva saperne della loro esistenza. Quando cercò lavoro a Harper’s Bazar, si sentì dire che la Hearst non assumeva ”negroes”. Gli andò meglio con Vogue (come gli aveva consigliato il grande Edward Steichen): Alex Lieberman decise di affidargli 5 anni di servizi di moda. Raffinate, sempre un poco misteriose, le sue immmagini di fashion, fanno da colorato contrappounto ai bianchi e neri contrastatissimi del suo documentarismo sociale. parte di quello che affascina del percorso di Parks, la sua completezza, la diversificazione, la curiosità dell’occhio, e una ”compassione” che va aldilà delle razze, ancor più sorprendente in un’America dove i neri come lui erano confinati nei sedili posteriori dei pullmann e l’astro di Luther King non era ancora emerso. Questo carattere composito, avventuroso, del suo lavoro ebbe modo di manifestarsi al meglio quando Parks venne assunto da Life. Per il mitico mensile di Henry Luce, fotografò di tutto. La vita della gang nere dell’Upper Manhattan e le sfilate parigine, l’Estoril dei monarca europei in esilio e quello dei mendicanti, Barbra Streisand e Duke Ellington, la segregazione al Sud e la violenza delle polizia newyorkese. Uno delle sue storie europee più curiose è probabilmente il reportage su Ingrid Bergman e Roberto Rossellini amanti scandalo a Stromboli. Tra centinaia di paparazzi che minacciavano di riversarsi sul molo solo a Life fu permesso il libero accesso all’isola e, nel suo libro, Parks racconta che Bergman gli chiese di fermarsi a lavorare sul film che Rossellini stava girando ai piedi del vulcano. Il più noto tra i suoi servizi rimane probabilmente quello sulle favelas di Rio De Janeiro, incentrato su un macilento bambino asmatico di nome Flavio (dopo la pubblicazione delle foto, Flavio venne invitato negli Usa e operato ai polmoni). Flavio (’64) fu anche il suo primo documentario. Inquietante è l’incontro con il leader dei musulmani neri Elijah Muhhamad, che gli chiese di fare un libro sulla Nazione dell’Islam (Parks rifiutò) e poi gli permise di fotografare per Life il movimento: ”Se le foto mi piaceranno ti manderò una scatola di sigari. Se no ci faremo sentire”. I sigari non arrivarono mai e, dopo avergli assegnato una storia sulla morte di Malcolm X (amico di Parks, fu padrino di una delle sua figlie), Life (allertato dall’Fbi) mise il fotografo e la sua famiglia sotto protezione armata. Tra le foto della lotta per i diritti civili anche gli indimenticabili ritratti delle Black Panthers. Era la fine degli anni 60. Il passaggio all’immagine in movimento, la decade successiva, coincise con la prima onda di successo commerciale del cinema nero. Il primo titolo di Parks è The Learning Tree, ’69, da un libro autobiografico ambientato in Kansas. Più famoso quello che lo seguì, Shaft, ’71, storia di un detective nero, e pietra miliare della blaxploitation, ovvero quell’improbabile mix di genere, politica e fashion che caratterizzò il cinema nero di quegli anni. Le altre regie di Parks includono Shaft’s Big Score!, The Super Cops, Leadbelly e Solomon Northup’s Odissey (suo figlio Gordon Jr. diresse invece il cult Superfly). E poi non bisogna dimenticare i 15 libri (fiction, poesia, memorie..), i concerti e, nel 1990, il balletto Martin, dedicato a Luther King Jr. Negli ultimi anni Gordon Parks fotografava per lo più composizione astratte, spesso monocromatiche, semplicissime. Petali, foglie, rami, a volte accompagnati da interventi pittorici» (Giulia D’Agnolo Vallan, ”il manifesto” 9/3/2006).