La Stampa 15/03/2006, pag.5 Mattia Feltri, 15 marzo 2006
«Male, male, male» Il premier se ne va seccato. La Stampa 15 marzo 2006. Roma. L’imperdonabile ingiustizia, prossima al sadismo, è stata di sottrarre ai telespettatori tutto il resto
«Male, male, male» Il premier se ne va seccato. La Stampa 15 marzo 2006. Roma. L’imperdonabile ingiustizia, prossima al sadismo, è stata di sottrarre ai telespettatori tutto il resto. Il gelo iniziale e poi la delusione finale di Silvio Berlusconi, che alla conclusione del match si è alzato per primo, ha teso la mano al notarile Clemente Mimun, direttore del Tg1 e moderatore, poi l’ha tesa all’avversario, Romano Prodi, e rapidamente ai due intervistatori, Marcello Sorgi e Roberto Napoletano, e quindi s’è messo in marcia, passi svelti e corti, e quando ancora si sentivano i tacchi battere sulla scale, da lontano è arrivato il giudizio del premier: «Male, male, male». Questo era lo spettacolo. Lo spettacolo erano la diffidenza e la durezza degli sguardi nei minuti d’esordio. Come i pugili in accappatoio che annunciano la ferocia mettendo gli occhi negli occhi del nemico, Prodi e Berlusconi si erano salutati senza aprire bocca, limitandosi alla mano nella mano per gli scatti dei fotografi. E senza dirsi nemmeno buona fortuna si sono diretti alla sedia pronti alle botte. E allora sì, questo era lo spettacolo: niente marachelle, né boccacce né braccia sollevate in segno di protesta, né niente altro che potesse disturbare chi stava parlando con l’esclusiva dell’inquadratura. Lo spettacolo erano quei fogli riempiti di inutili ghirigori, disegnini per far passare il tempo come a scuola, durante le lezioni invernali. Uno diceva la sua, secondo le tecniche studiate, e quell’altro restava a testa china sulle pagine bianche, con la stilografica impegnata allo schizzo, e all’appunto per l’intervento successivo. E invece ai preziosi elettori, sintonizzati da casa, è stata inflitta una tortura a telecamera fissa, eccitante come il premio della critica al festival del cortometraggio di Timisoara. E la scenografia era adeguata alla copertura dell’evento: tutto bianco e trasparente, come la sala d’aspetto di una clinica della Svizzera tedesca; e i candidati, e con loro i tre giornalisti, erano impeccabili nella divisa da pranzo della cresima. Il tutto vivacizzato dalla rigidità dei tempi concessi alle domande e alle risposte: undici cronometri, piazzati sulle pareti, sulla scrivania e persino sui braccioli delle poltrone degli sfidanti, dovevano essere le sentinelle della par condicio. E quando Berlusconi sforava allegramente di dieci secondi, il brivido si concretizzava nell’intervento del depresso Mimun, che inesorabile puntava la penna contro l’autore dell’infrazione, roba da vigile urbano più che da giornalista di razza. E peccato, perché teatrale era stato l’approccio, con lo spettegolare sull’allenamento, sugli sparring partner, sull’abbigliamento fin sotto i pantaloni: boxer per il premier, slip per l’avversario, almeno secondo gli ultimissimi scoop. Teatrale nel preambolo, con Romano Prodi in arrivo con buon anticipo, intorno alle 20,20, dopo una sosta allo storico bar Antonini, al quartiere Prati, per un panino al prosciutto e un bicchiere d’acqua minerale. Non meno studiato era stato l’ingresso di Berlusconi nel cortile di via Teulada, alle 20,56, in extremis, preceduto dallo sgommare dei poliziotti in motocicletta, e poi la macchina parcheggiata col piglio dei telefilm newyorchesi, e tutti che escono: l’autista, gli agenti della scorta, e resta dentro soltanto lui, Berlusconi, da solo, già bello truccato, con la fronte aggrottata a sfogliare gli ultimi documenti per l’ultimo ripasso di trenta secondi almeno, a beneficio degli astanti, con telecamera o taccuino. Peccato anche perché, da un certo punto in poi del confronto, cupamente teatrale è stato il ripiegarsi di Berlusconi, che accoglieva le frasi terminali di Prodi con sorrisi ironici sempre più metallici. Il duello così ardentemento inseguito si stava trasformando in una trappola di aride regolette, devastanti per il politico più esuberante ed estemporaneo degli ultimi decenni. Prodi se ne accorgeva, distendeva sempre più le guanciotte, si annotava la ribattuta sfoggiando il sorriso dell’occasione irripetibile. Ha atteso che tutto terminasse e poi si è goduto la scena onesta del nemico di sempre, carico di muto rammarico: il saluto veloce e secco, i passi, i tacchi sulle scale, e la lapide su se stesso: «Male, male, male». Ed è per questo, per tutto questo, purtroppo sottratto ai telespettatori, che Paolo Bonaiuti è uscito e, prendendo a calci le automobili, e imprecando, ha gridato: «Non mi ascolta mai!». Mentre Prodi si è fermato coi cronisti. Contento come una pasqua. Mattia Feltri