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 2006  marzo 15 Mercoledì calendario

Piergiorgio Odifreddi è una voce cordiale che mi parla al telefono, con la sicurezza di chi non tiene conto della separazione di vari fusi orari, di un intero oceano e di un bel po’ di terraferma

Piergiorgio Odifreddi è una voce cordiale che mi parla al telefono, con la sicurezza di chi non tiene conto della separazione di vari fusi orari, di un intero oceano e di un bel po’ di terraferma. A Milano sono le 17, minuto più minuto meno. A Manhattan, New York, sono le 11 della mattina. Quasi ora di pranzo. Professore, lei è sempre stato impertinente o lo è diventato da quando è matematico? Beh, probabilmente la vocazione c’era. La matematica ha soltanto affinato il metodo d’indagine. In verità, da quel che ricordo, sono sempre stato un bambino che mal reagiva alle imposizioni dall’alto, alle cose che doveva accettare e non discutere. Insomma, il dogmatismo non mi è mai piaciuto. Per dogmatismo che cosa intende? Le cose che si devono credere o fare senza discutere, senza far domande, senza poter vedere se sono vere o false. Proprio in questo consiste la contrapposizione tra il dogmatismo e l’atteggiamento scientifico: che è fare sì ipotesi, ma comunque verificandole, e non accettandole supinamente o per partito preso. Un impertinente, quindi, è un po’ anche un ribelle. Pensa che alla radice del metodo scientifico vi sia una qualche forma di ribellione? Magari storicamente legata al periodo in cui si è costituito, quando le imposizioni religiose e culturali erano molto rigide? Può darsi. Tutto ciò che si contrappone a regole inflessibili, che non accettano verifica, è in qualche modo ribellione. Nel suo libro, lei è molto duro nei confronti della religione. Eppure esistono scienziati, anche illustri, che credono. Non riesco a pensare che queste persone non possiedano gli strumenti necessari per comprendere se stanno professando un errore (come lei afferma) oppure no. Per me è invece il contrario. Non riesco proprio a concepire uno scienziato credente. Quelli che lo sono, lo sono forse perché ipnotizzati da queste cose fin da bimbi, oppure indossano tali abitudini come un abito... Sto scrivendo un nuovo libro, su questo argomento. S’intitolerà Perché non possiamo essere cristiani. Penso che il titolo dica tutto. Lei è proprio un irriducibile! Ma mi permetta di essere altrettanto impertinente: lei non teme che anche la scienza possa diventare una sorta di religione, di mitologia? Dopotutto, dipendiamo dalle scoperte, dalla tecnologia, dalle mille cose che guidano e riempiono la nostra vita. Sarebbe facile mitizzare tutto questo... Io non penso che oggi come oggi sia un vero problema. Certo, in una società scientista, dove tutto è logica e matematica, il rischio di far diventare la scienza una religione può esserci davvero. Ma non mi sembra che questa società sia così scientista. Anzi, trovo che ci sia un’overdose di umanesimo. Che cos’ha contro l’umanesimo? Nulla. Anzi, una mentalità iperrazionalista mi farebbe paura. Se fossimo in una società scientista, probabilmente scriverei ferocemente in favore dell’umanesimo. A me piacerebbe soltanto riequilibrare le cose. Sono a volte molto aggressivo perché spero di riuscire a dare una scossa alle coscienze. A dire: guardate che le decisioni, le scelte, le convinzioni non si devono basare soltanto sull’ispirazione, sullla sensazione, sull’emozione del momento. O, ancor peggio, su cose accettate per tradizione e abitudine. E poi di libri, cinema, arte si parla sempre tantissimo. Di scienza o di matematica molto meno. Forse perché è più facile parlare o leggere di cose che trattano le scienze umane (oppure le opere d’arte), piuttosto che dissertare su un problema matematico. Senza dubbio. Tutti, in qualche maniera, si sentono in grado di esprimere opinioni su un film, su un libro, su un quadro... A volte basta davvero dire: mi piace, non mi piace. Parlare, che so, del teorema di Pitagora è senz’altro un’altra cosa. Qui non te la cavi dicendo che il teorema in questione, ad esempio, non ti piace. Non è questione di gusto. invece questione di dire se il teorema è vero o falso. Insomma, direi che la prospettiva è ben diversa. E anche l’analisi può esser fatta soltanto con strumenti analitici rigorosi. Devi dimostrare che il teorema non è dimostrabile, oppure che Pitagora ha sbagliato ragionamento... Ma per farlo devi usare strumenti matematici. Non puoi infilare paroloni privi di senso tanto per riempirti la bocca. Potrebbe essere molto difficile anche per i lettori, se si trovassero su un quotidiano pagine e pagine di calcoli matematici... Un momento! Una cosa è disquisire di matematica tra matematici (o persone che se ne interessano), un’altra cosa è scrivere su un quotidiano rivolto a tutti. Non c’è bisogno che le questioni siano presentate in maniera così ”dura”. Se parliamo di divulgazione, è il divulgatore che deve ”digerire” ciò che il matematico ha fatto, rendendolo agibile al lettore. Se no che divulgazione sarebbe? No, il problema è un altro: la matematica (o la scienza) non interessano più di tanto, divulgate, digerite, spiegate o meno che siano. Tutti preferiscono leggersi la recensione di un film o di un romanzo. La questione è che in Italia manca una vera e propria cultura matematica, nonostante ciò che dicono la scuola o gli insegnanti. Nel nostro Paese non si parla di matematica, di geometria, di logica, di vera scienza... C’è un motivo preciso, secondo lei? Mah, immagino che alle radici vi siano soprattutto problemi di marketing. Un romanzo vende più di un libro di matematica. O di divulgazione scientifica... A parte il suo... (Ride) un caso. Speriamo comunque che serva a qualcosa. Inoltre, tutto questo parlare di letteratura, d’arte, di cinema mi sembra causi anche qualche problema. Ossia? Spesso queste operazioni critiche ci allontanano dallo studio dell’originale. Leggiamo libri su Proust e così evitiamo di leggere Proust. Leggiamo articoli di cinema ed evitiamo di andarci... Ecco, mi piacerebbe che la gente si avvicinasse di più alle fonti, lasciando perdere le interpretazioni. Che guardasse le cose con metodo. Non perdiamo di vista la fruizione dell’originale! Anche lei, però, parla di letteratura e d’arte, nel suo libro. Rivela anche una preferenza per le opere che possiedono strutture profonde e complesse... Come la mettiamo? Quando scrivo tento di fare il divulgatore scientifico. E quindi scavo alla ricerca di aspetti artistici che magari sono ignorati dai più. Per esempio la struttura matematica di alcune opere d’arte... Mi limito a sottolinearne la presenza, a spiegarle, a discuterle. Insomma, mi piace pensare di incuriosire il lettore, affinché vada a vedere l’originale con un occhio diverso. E allora andiamo direttamente alla fonte della sua originalità. Lei è docente di quella Logica che la rende tanto impertinente. Esiste uno sviluppo storico in questa materia, oppure ciò che è stato scoperto nell’antichità vale tuttora? Sembra un po’ strano, infatti, essere più o meno logici, secondo le culture o l’epoca in cui si vive. Beh, la Logica come disciplina scientifica ha una sua storia e un suo progresso. Non dobbiamo pensarla come semplice ”buonsenso”. Si tratta invece di capire se un’affermazione è vera o falsa attraverso, appunto, procedimenti logici rigorosi come quelli di un’espressione matematica. Il bello, però, è che delle scoperte logiche non si butta via niente. Ciò che ha fatto Aristotele in questo campo è tuttora valido. E lo è stato per molti secoli. Anzi, si può dire che il progresso in tale disciplina si è avuto molto di recente, più o meno verso la fine dell’800, divenendo logica del ragionamento matematico. Il suo libro ospita anche alcune interviste a famosi premi Nobel. Quali sono quelli che più l’hanno colpita o affascinato? Quelli che mi affascinano sono senza dubbio i ”matti”, quelli che vivono al confine tra genio e follia. Come John Nash, il protagonista di A beautiful mind? A dire il vero, Nash è un caso piuttosto particolare... Intendo piuttosto i geni imprevedibili. Come Brian Josephson, fisico e tra i massimi sostenitori dei poteri paranormali. Oppure come il biochimico Kary Mullis... Mi piacciono anche gli economisti, che forgiano grandi strategie politiche... Matematica ed economia stanno bene assieme. E non soltanto per calcolare i tassi d’interesse dei Bot e dei Cct, immagino: Studiare ciò che fa questa gente è davvero interessante. Parliamoci chiaro: sono loro che forgiano i veri destini del mondo, poiché impostano comportamenti che in seguito influenzeranno la politca interna ed estera di un Paese. Importazioni, esportazioni, ma anche statistiche, comportamenti, decisioni politiche... A proposito: nel suo libro si fa anche politica bella e buona. Senza per forza entrare nel dettaglio (anche per evitare polemiche, lo ammetto), ma che c’entra la logica con la politica? Spesso sembra che non abbiano proprio nulla da spartire! (Sorride) Beh, può esser vero, ma secondo me è vero soltanto in Italia! A parte gli scherzi, politica e logica stanno benissimo a braccetto. In America esistono veri e propri corsi di politica ”matematica”, legati per esempio alla teoria dei giochi, la branca della matematica che studia le reazioni di un individuo nell’interazione con altri individui, sia nel conflitto, sia nella cooperazione. Modelli matematici che possono essere utilizzati anche per dirigere il comportamento delle nazioni. Diciamo che oggi è impensabile che un importante capo di stato, come può essere il presidente degli Stati Uniti, non abbia nel suo team esperti di economia e di teoria dei giochi. Comunque, sto raccogliendo tutte queste interviste in un libro, Incontri con menti straordinarie. Un’altro libro? Ma come riesce a fare tutto? Tento di ottimizzare il tempo come posso. E comunque i miei libri sono spesso raccolte di scritti che produco un po’ alla volta. Inoltre, quando sono in America non leggo giornali e non guardo la televisione. un bel risparmio di tempo, non crede?