Giovanna Zucconi La Stampa, 02/04/2002, 2 aprile 2002
Il Parlamento degli scrittori non aiuta Moulessehoul, alias Yasmina, perché è un ex militare in carriera, La Stampa, martedì 2 aprile 2002 Parigi
Il Parlamento degli scrittori non aiuta Moulessehoul, alias Yasmina, perché è un ex militare in carriera, La Stampa, martedì 2 aprile 2002 Parigi. «Potevo diventare pazzo, oppure scrittore...». La pioggia batte sul lucernario, fuori Parigi è livida, il caffè si raffredda nelle tazze e lui raffredda le parole, i toni. La sua voce è pacata, civilissima, trattenuta con implacabile disciplina, ma le cose che racconta sono altrettante unghiate. L’uomo che ho di fronte è minuto, aggraziato, composto, ha il cranio rasato da scugnizzo arabo, lo sguardo fermo dietro gli occhiali, scandisce le frasi con compunzione. Il suo racconto non è facile, racconta una guerra civile, quella della sua terra, l’Algeria, ma anche quella della sua anima. Non sta semplicemente rischiando la vita, come molti intellettuali e persone libere del suo paese. Ne sta rischiando due, perché due sono le vite che ha vissuto, perché è soldato e scrittore, scrittore e soldato, e da sempre cerca di tenere insieme due nature, due identità che confliggono, l’obbedienza militare e la libertà della creazione. «... La testa del soldato serve a portare l’elmetto, invece scrivere è dire sempre la verità, disobbedire...». Ha due nomi, anche: Yasmina Khadra, lo pseudonimo con il quale firma i libri, e Mohammed Moulessehoul, ufficiale dell’esercito algerino, a un passo dal diventare generale. Adesso che ha lasciato la vita militare, adesso che vive in esilio in Francia ma può essere interamente e soltanto uno scrittore, adesso che ha raggiunto ciò che ha sognato per 36 anni da dentro una caserma, proprio adesso sta subendo un altro esilio, uno strappo ancora più feroce. Sei stato un soldato, gli dicono dall’establishment culturale occidentale, sua terra promessa, desiderata, ora raggiunta: sei stato un soldato quindi hai commesso violenza, hai partecipato ai massacri, e allora non puoi essere scrittore. un’equazione che schianta. Che schianterebbe Yasmina Khadra, il comandante Moulessehoul, se non avesse imparato da anni a tenere la schiena dritta, a scattare sull’attenti davanti alla scrittura, a ribaltare l’orrore e il dolore in racconto. Da anni, molti anni, almeno dal primo novembre del 1994. «... Era il primo novembre del 1994, festa nazionale. Io ero a Mostaganem, Algeria occidentale, tutto il paese era in piazza, i notabili, le famiglie, un gruppo di meravigliosi giovanissimi scout, e noi, i soldati, che presentavamo le armi. Esplose una bomba, l’avevano nascosta in una tomba, straziò i bambini, cinque morirono, dieci rimasero feriti, io raccolsi i loro piccoli corpi in brandelli. Uno choc mortale. Ancora oggi mi perseguita, quell’immagine. Potevo diventare pazzo, oppure scrittore. in quel preciso momento che è nata Yasmina Khadra...». Pseudonimo dolce, significa gelsomino verde e così si chiama sua moglie, nome dolcissimo e amoroso per uno scrittore che ha raccontato la barbarie, la violenza integralista, la ferocia, in libri torvi e visionari come Cosa sognano i lupi. «... Usare un nome di donna è stato una piccola rivoluzione, ha capovolto una mentalità, per me continua ad essere una sorgente di fierezza...». Anche prima di diventare Yasmina Khadra e sotto quella maschera diventare famoso con romanzi polizieschi di successo, protagonista l’ispettore Llob (in italiano sono tradotti Morituri e Doppio bianco), Mohammed Moulessehoul ha scritto e pubblicato, in arabo poi in francese, in Algeria poi anche all’estero, con il suo vero nome poi di nascosto. «... Sapevo di camminare sul filo del rasoio. Quando si vive in un paese governato da una dittatura dolce non si trova il coraggio per attaccare frontalmente. Poter scrivere era già una libertà inaudita...». Che non poteva durare per sempre. «... Quando mi hanno portato davanti al comitato di censura, era il 1989, avevo due scelte, rinunciare definitivamente alla mia vocazione oppure optare per la clandestinità. E la clandestinità mi ha permesso di essere libero, totalmente libero e responsabile di ogni giro di frase, di ogni virgola. Ero un soldato, non potevo programmare le mie giornate, dovevo obbedire, sempre, appartenevo agli altri, alla gerarchia, e per questo approfittavo di ogni istante di respiro per scrivere. La disciplina, i valori, l’onestà, l’onore, il rigore nel lavoro e nella coscienza, credo nei miei libri ce ne sia il riverbero. La scrittura non è evasione e non è esorcismo, ma mi ha permesso di conservare lucidità nel mezzo della tragedia algerina...». Mentre si celebrano i quarant’anni dell’indipendenza, e ancora si contano i duecentomila morti dell’ultimo nero decennio, la partita tra Francia e Algeria non è terminata. Il match si gioca anche sulla pelle di quest’uomo esile e inflessibile, che dice: «Sì, sono stato un militare, ho praticato la violenza perché a volte si può guarire il male solo con il male, ho visto strangolare neonati, sgozzare famiglie, ho visto esplodere bombe fra la folla, ho visto assassini politici e violenze private confusi nell’orrore della jihad, ho visto i generali condividere gli errori dei politici, e ho anche visto soldati che si vendicavano senza essere puniti, ma contro i terroristi, mai contro la gente... Mai ho letto, visto o scoperto né mai mi sono imbattuto per caso in documenti che incitassero i militari ad uccidere o a commettere violenze contro la popolazione civile...». Una verità alla quale molti non credono, per prudenza o per ipocrisia o per pregiudizio, o anche perché esistono testimonianze opposte, come quella dell’ex parà Habib Souaidia in La sale guerre. «... Tutte le guerre sono sporche, un’irreversibile disperazione, non è più l’uomo a parlare ma parlano le armi, che non hanno coscienza. Il passato dell’Algeria continua a inquinare il presente. Che cosa può fare la verità nuda davanti all’enormità della menzogna? Quante false vittime sono state aiutate, protette, adulate, prima di scoprire che erano degli opportunisti e dei bugiardi? Siamo stati noi algerini ad insegnare ai francesi a non fidarsi di noi...». Mentre l’ex comandante Moulessehoul e la sua famiglia, moglie e tre figli, vivono in un lacerante bagnomaria esistenziale in una cittadina di provincia nel sud della Francia, il Parlamento Internazionale degli Scrittori ritira il sostegno a Yasmina Khadra da quando ha rivelato di essere stato un militare in carriera. Mentre i giornali svelano strillando «gli ultimi segreti della guerra d’Algeria» e gli intellettuali firmano appelli, gli stessi giornali e gli stessi intellettuali accolgono con diffidenza l’ultimo libro dell’algerino, L’imposture des mots, sfogo e denuncia contro chi non sa ascoltare la verità, la sua verità. «... Capisco la prudenza della stampa, è legittima, i rapporti franco-algerini sono controversi. In ogni esercito ci sono difetti che lo rendono poco credibile...». Il dolore di non essere creduto è lucido, cioè ancora più atroce: «Ho avuto l’ingenuità di credere che gli scrittori incarnino le loro opere, che gli intellettuali portino luce, che il verbo sia bellezza: mai avrei osato associare lo spirito alla disonestà. Invece no, ho scoperto che il mondo intellettuale è una copia conforme di quello degli affari, dello sport, dell’industria... Questi parlano dai salotti, dalle scrivanie, davanti a un bicchiere di cognac, e giudicano se chi è nella merda fino al collo è abbastanza profumato. facile criticare il gladiatore, il calciatore in campo, il pugile sul ring, il soldato in guerra, quando non si prendono le botte...». la delusione radicale, che ferisce il senso imposto con sforzo a tutta una vita. Perché la vita di Mohammed Moulessehoul/Yasmina Khadra, cominciata nel 1955 nel villaggio sahariano di Kenadsa, sarebbe potuta finire nove anni dopo a bordo della Peugeot con la quale il padre (il padre!) lo accompagnò nella caserma di Mechouar, confiscandogli la giovinezza per imprigionarlo nella carriera militare. Invece «... ho sempre scritto, fin da bambino, ho sempre trovato il tempo e il modo. Mi hanno perseguitato e irriso perché ero diverso, ma alla fine sono stati loro a cedere, la mia fede infantile non crolla. Oggi in Francia, o in Spagna o dovunque io vada vengono dei soldati e si congratulano: ho spezzato un tabù, anche i militari hanno una creatività intellettuale. In Algeria comprano e amano i miei libri, anche se costano un decimo di uno stipendio medio, anche se io non vado nel mio paese...». Addestrato fin dall’infanzia, Moulessehoul/Khadra continua a mettere in riga parola per parola i démoni suoi, e del suo paese. «... L’integralismo è la reazione naturale agli abusi, alla corruzione, alla bulimia del potere, all’impoverimento spirituale delle generazioni nate dopo l’indipendenza; è una malattia endemica scatenata dall’Occidente per mantenere certi paesi in uno stato di decomposizione permanente, che adesso ha subito una mutazione genetica e può contaminare l’intero pianeta. I musulmani non si rassegnano a non avere più voce in capitolo, proprio loro che hanno regalato al mondo un patrimonio culturale, politico e morale. Reagiscono in fretta e con forza, ovvero rozzamente e con violenza: ma l’Occidente che ha incoraggiato una classe politica incompetente, corrotta e collaborazionista legittima la rivolta. I sogni abortiti dei giovani diventano collera, niente potrà fermarla; gli intellettuali tacciono, le masse sono rese apatiche dal benessere, e allora accanto alla globalizzazione finanziaria esploderà quella della disperazione, tutti gli integralismi del mondo si consolideranno intorno alle reti del terrorismo totalitario. Una visione apocalittica? Magari potesse servire da elettroshock e svegliare questa nuova borghesia gentilmente addormentata, satolla, incosciente...». Lacerazioni nell’infanzia, démoni e rifiuti nelle sue due vite parallele e inconciliabili, apocalisse sull’orizzonte del mondo. Ma Mohammed Moulessehoul/Yasmina Khadra è scrittore e soldato, soldato e scrittore. Sa che il dolore è sopportabile, è un dono: è vita, è spiegazione, è racconto, è scrittura. Giovanna Zucconi