Mauro Castelli Il Sole 24 Ore, 22/04/2002, 22 aprile 2002
Anche il mago Silvan deve la sua fortuna a Clementoni, Il Sole 24 Ore, lunedì 22 aprile 2002 Nel cuore antico di Recanati
Anche il mago Silvan deve la sua fortuna a Clementoni, Il Sole 24 Ore, lunedì 22 aprile 2002 Nel cuore antico di Recanati. Fra i ricordi di Giacomo Leopardi («Gli ho dedicato una pubblicazione nella quale sono stati riprodotti i manoscritti delle sue più famose poesie») e il disinteresse per il tenore Beniamino Gigli («Ha dato molto al suo paese, ma di lui rimane poco. Per questo anni fa ho voluto raccogliere e riprodurre in cassetta le sue più belle romanze»). Ed è proprio da qui che è partita l’avventura di Mario Clementoni, quello dei giochi intelligenti, un imprenditore con il debole dichiarato per la lirica e per Dante, che tiene banco nonostante le 77 primavere portate alla grande. In effetti il ”nonno del giocattolo italiano” («Mi hanno battezzato proprio così») non manca di recarsi tutti i santi giorni in ufficio, di tenere d’occhio la produzione, di controllare che i conti quadrino, di seguire con la curiosità di un ragazzino le novità sfornate a getto continuo dai suoi creativi. E in questo suo gran daffare il signor Mario, come affettuosamente lo chiamano in azienda, viene affiancato, nonostante il bastone del comando resti sempre ben saldo nelle sue mani, dai quattro figli: Stefano, responsabile della sede di Hong Kong e degli approvvigionamenti elettronici dalla Cina; Patrizia, alla guida del personale; Pierpaolo, cui fa capo il centro ricerca e sviluppo, e Giovanni, amministratore delegato. Insomma, un patriarca che otto anni fa, pur continuando a sedere sulla poltrona della presidenza, ha avuto la lungimiranza di girare il 90 per cento del pacchetto azionario ai figli, accontentandosi dell’usufrutto e del restante 10 per cento in tandem con la moglie, Matilde Brualdi, che sin dagli inizi aveva seguito gli acquisti e la struttura organizzativa aziendale e che ora si limita a guidare («E mi costa - sorride compiaciuto - un sacco di soldi») la Croce Rossa di Macerata. Di certo una bella realtà imprenditoriale che, pur collocandosi ai piani intermedi nella grande casa dei produttori, risulta tuttavia in cima alla scala dei valori europei nel settore degli ”articoli” educativi. Una realtà peraltro legata a un fatturato di 48,41 milioni di euro (con una previsione per l’esercizio 2002-03, il bilancio chiude infatti al 31 marzo, di oltre 53); che non ha mai registrato perdite (ma sugli utili, casualmente, la memoria fa cilecca); che dà lavoro a 200 dipendenti; che spazia su una superficie di 25mila metri quadrati fra uffici e stabilimenti; che può contare su otto milioni di giochi sfornati, e venduti, ogni dodici mesi. Il tutto a fronte di un export attestato sul 30 per cento e una presenza allargata a 38 Paesi, peraltro sostenuta dal presidio diretto nelle aree ritenute più interessanti. In quest’ottica risultano operative la Clementoni Asia di Hong Kong, la Gmbh di Baden Baden, la Clementoni Francia di Parigi e la Clementoni Iberica di Madrid. Ma facciamo un passo indietro. Il futuro ”partner” di Babbo Natale nasce il 27 gennaio 1925 a Potenza Picena, un paesino del Maceratese a un tiro di schioppo da Recanati. «Mio padre faceva il trasportatore, ma purtroppo morì in un incidente stradale quando avevo appena dodici anni. E io ero il terzo di una nidiata di sei figli. Logico quindi che questa tragedia venisse a pesare come un macigno sulla famiglia». In ogni caso la prima giovinezza era trascorsa senza scossoni. Non per niente il signor Mario ama ricordarsi alle prese, prima a Potenza Picena e poi a Monterotondo dove la famiglia si era trasferita, con le famose palline di terracotta, con i bottoni dei pantaloni che venivano staccati per giocare a battimuro, con il triciclo di ferro e un martello in mano con i quali fu immortalato a tre anni in una fotografia che conserva religiosamente. Sta di fatto che i giorni della spensieratezza finirono di colpo, anche se il ragazzo riuscì ugualmente a proseguire gli studi nel collegio di Fermo («In pratica mi mantenevo con i lavori ai quali mi dedicavo d’estate»), da dove ne sarebbe uscito a vent’anni con il diploma di perito industriale. «Persi infatti più di un anno perché nel 1944, chiamato alle armi dalla Repubblica di Salò, disertai e per questo venni condannato a morte». A questo punto arriva l’assunzione in una fabbrica di armoniche a bocca, la Mancini di Pesaro. «Era una bella azienda nella quale facevo un po’ di tutto: mi occupavo della contabilità, del commerciale e anche delle innovazioni in termini di prodotto. Dopo qualche anno, però, la concorrenza tedesca si fece sentire. Inascoltato, suggerii di seguire altri percorsi: di sviluppare cioè una serie di giocattoli musicali grazie alle tecnologie a disposizione. Ma il titolare non ci sentiva e io gli diedi l’aut-aut: o mi lasci fare o me ne vado, gli dissi. Non ne volle sapere e il giorno dopo mi ero già licenziato». A trent’anni o poco più Clementoni fa la fila per poter riscuotere il sussidio di disoccupazione, ma si rimette subito in pista. E la fortuna lo aiuta: due mesi dopo un rappresentante della Mancini, un italo-americano, viene in Italia dagli States, lo incontra e gli chiede di lavorare per lui. Clementoni accetta proponendo all’amico, per sfruttare un premio del 2% all’export allora in vigore, di comprargli in prima persona gli strumenti musicali di cui aveva bisogno e di rivenderglieli allo stesso prezzo. Nasce pertanto la Clementoni, società individuale, che avrebbe rappresentato il primo timido passo di questo intraprendente marchigiano verso la nomina a commendatore della Repubblica nonché, nel 2000, al riconoscimento di imprenditore dell’anno. Ma allora come oggi Clementoni non amava crogiolarsi sugli allori. Così nel 1958 si recò negli Stati Uniti per visitare la Fiera del giocattolo di New York per «rubare idee». Ma è dal Festival di Sanremo che arriva la scossa propositiva. «Quei motivetti restavano in voga per anni. Così pensai di realizzare - ed ecco venire a frutto le mie esperienze precedenti - una Tombola della canzone. Il prodotto consisteva in una piccola pianola, di quelle con una manovella che si gira e in cui scorre un nastro di cartone forato, che attraverso appositi mantici accennava il motivo. Chi giocava doveva indovinare via via i 45 diversi titoli e ”coprirli” sulla relativa cartella». Il primo prototipo è datato 1962. Presentato alla Fiera di Milano venne accolto con grande interesse. Così, con i quattrini della liquidazione il signor Mario affittò un garage di 45-50 metri quadrati, assunse sette operai, e incominciò la produzione. Fatturando 25 milioni il primo anno e guadagnandone cinque. Nel luglio 1963, non avendo più interessi per restare a Pesaro, Clementoni si trasferisce a Recanati per continuare il lavoro impostato. Quattro anni dopo, con i ricavi saliti a 100 milioni a fronte di 20 dipendenti, il neo-imprenditore acquista un palazzo storico di mille metri quadrati («Era degli eredi di Beniamino Gigli e confinava con la casa della madre di Leopardi»), in parallelo con un altro fabbricato nei paraggi. A questo punto gli affari si moltiplicano grazie alla scatola dei giochi di prestigio ”firmata” dal mago Silvan («L’ho lanciato io. Quando gli offersi 500mila lire fece un salto di un metro...»), affiancata dalla Battaglia navale magnetica e da un gioco poliziesco impostato sugli sceneggiati televisivi del tenente Sheridan interpretati da Ubaldo Lay, seguiti a ruota da Portobello, Io e la befana nonché Chi sa chi lo sa? Ed è sempre in questo periodo che arrivano i giochi educativi, con il boom legato all’invenzione di Sapientino. A cavallo fra il 1973 e il 1974 fu poi la volta dei puzzle, una mossa controcorrente che oggi risulta ”confortata” da 300 offerte per i ragazzi e 260 per gli adulti. Ma un altro gran botto è abbinato anche al lancio dei cubi («In questo settore diventammo ben presto leader in Europa. Oggi ne produciamo tremila scatole al giorno lavorando su tre turni»), quindi dai ”giochi di società”, dagli Atmosfear, dai primi articoli in videocassetta e via via sino all’ultimo nato, l’angelo parlante Serafino. Il tutto tradotto in otto lingue e supportato dall’ancoraggio al mondo fantastico della Walt Disney, di cui in Europa Clementoni rappresenta uno dei migliori clienti in termini di royalties. Inutile dire che, a fronte di una ostinata ricerca del nuovo e un costante investimento sulla pubblicità (circa il 6 per cento del fatturato, percentuale tuttora valida), il mercato si andò via via allargando, tanto da toccare otto anni fa un giro d’affari di oltre trenta miliardi. A questo punto Clementoni capì che era giunto il momento di ”sfruttare” il passaggio generazionale e abbinarlo a una riorganizzazione produttiva e manageriale. Una operazione che avrebbe consentito al signor Mario di togliersi la soddisfazione di rimandare al mittente le richieste di acquisto delle maggiori multinazionali di settore che, ancora oggi, continuano a strizzargli l’occhio. Mauro Castelli