Mario Ajello Il Messaggero, 25/04/2002, 25 aprile 2002
Il nostro Mallarmé parla in mancusese, Il Messaggero, giovedì 25 aprile 2002 I freni inibitori non li ha avuti mai
Il nostro Mallarmé parla in mancusese, Il Messaggero, giovedì 25 aprile 2002 I freni inibitori non li ha avuti mai. E l’impavida follia di dire in faccia alle persone ciò che qualcuno pensa e nessuno avrebbe il coraggio di dire - e quindi Previti è «un bandito» così come Scalfaro è un «quacquaracquino», un «chiericuto», una «grande meretrice circassa» - fa di Filippo Mancuso l’incarnazione più clamorosa dell’Ingestibile in politica. Sua Eccellenza Zu Filippinu è una sorta di Orlando Furioso che, rincorrendo a furia di cavilli l’ampolla del suo genio, provoca puntualmente «la ruina sua e delle persone altre», come direbbe Machiavelli. Questo paladino delle cause perse sembra una Giovanna d’Arco che va al rogo ma non in silenzio. Anzi sussurrando con quella sua vocetta di falsetti e di piccoli acuti: «Poi parleremo di Silvio...». Che è come dire: questa me la lego al dito e chissà che dai miei cassetti prima o poi non spunti fuori qualche cartuscella interessante. Ecco, il personaggio, nel bene o nel male, è così. Ogni volta gli vengono offerte delle ultime chances di vita (per un po’ guardasigilli nel governo Dini, poi un ventilato ministero nel Berlusconi uno e nel Berlusconi due e ora giudice costituzionale a vuoto) e subito dopo lui vede svanire questi miraggi e allora dà fuoco alle polveri del suo ingegno in continua ebollizione. Se ti prende di punta, Scalfaro lo sa e così Di Pietro o Caselli («Chi? I nomi di quei due neppure li pronuncio») o Castagnetti («un semi-analfabeta»), come un pupo siciliano diventa devastante. Da procuratore generale, in ossequio al suo rigorismo causidico e al suo garantismo come sentimento etico sopra le righe, se la prese con l’alto procuratore anti-mafia Domenico Sica durante l’inaugurazione di un anno giudiziario. Accusandolo di usare le lettere anonime come via libera per aprire inchieste giudiziarie. Ne nacque una polemica infinita. Di quelle che piacciono a lui: in punta di diritto, con l’andamento del tormentone, lo stile del barocco e la ricerca del ”cupio dissolvi” che è tipica del ciclone o dell’ultimo giapponese (lui è sia l’uno sia l’altro). La sua maestria nello scontentare tutti divenne leggendaria quando da ministro ordinò le ispezioni al pool di Mani Pulite, suscitando l’indignazione della sinistra («L’Italia delle persone perbene la rimanderà a casa!», tuonò Salvi), mettendo in difficoltà il governo, licenziando gli ispettori che tornarono con un nulla di fatto, provocando le proprie dimissioni. Insomma, un bel rebelot! (un casino, come direbbe Berlusconi in milanese). E siccome Mancuso parla in «mancusese» - Renard disse che il poeta Mallarmé «è intraducibile anche in francese» e Mancuso è il nostro Mallarmè in quanto il suo maccheronico ma non inelegante linguaggio mezzo latino è difficilmente esprimibile in italiano - si rivolse così al centro-sinistra che voleva cacciarlo da guardasigilli: «La menzionata richiesta (attesone il contenuto e la perentorietà) suona immeritata offesa per la presidenza del medesimo Dini». Alla parola ”attesone”, ci fu un momento di estatica sospensione nell’uditorio. Da allora Scalfaro e Dini diventeranno i ”compagni di merende”. Mancuso è l’incarnazione dell’Ingestibilità forse perchè rappresenta l’antitesi al realismo (anche quello in versione ruspante) e ai canoni del moderno («Avete visto che pena estetica quel magistrato belloccio di Cogne che appesta la giustizia col puzzo del suo sigaro?»). Sarà anche un personaggio da barzelletta, ma di un genere di barzelletta antico e collegabile a una civiltà di casta millenaria odorosa di pandette e di corpus juris giustinianeo. Impossibile immaginare Zu Filippinu in short-pants mentre fa la ginnastica alle Bermuda. E se gli chiedi cos’è Pubblitalia, magari neppure lo sa. Berlusconi, che pure lo ha scaricato, gli vuol bene proprio in virtù di questa sua diversità antropologica che lo incuriosisce (un po’ come successe con Colletti dal quale il Cavaliere si faceva perfino dare del pirla) e perché forse gli scatena una sorta di filantropia di tipo assistenziale. Adesso per Silvio, che ama le vecchie canzoni, resta però il problema sintetizzabile nel motivetto di Domenico Modugno: «E il nonnetto / dove lo metto?/ dove lo metto / non lo so...». Mario Ajello